Codice Penale art. 498 - Usurpazione di titoli o di onori.Usurpazione di titoli o di onori. [I]. Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 497-ter, abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi (1) di un ufficio o impiego pubblico, o di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato [348], ovvero indossa abusivamente in pubblico l'abito ecclesiastico, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 154 euro a 929 euro (2). [II]. Alla stessa sanzione soggiace chi si arroga dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni indicati nella disposizione precedente (3). [III]. Per le violazioni di cui al presente articolo si applica la sanzione amministrativa accessoria della pubblicazione del provvedimento che accerta la violazione con le modalità stabilite dall'articolo 36 e non è ammesso il pagamento in misura ridotta previsto dall'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (4). (1) Le parole da «Chiunque» a «distintivi» sono state sostituite alle parole «Chiunque abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi», in sede di conversione, dall'art. 1-ter 2 d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, conv., con modif., in l. 21 febbraio 2006, n. 49. (2) L'attuale sanzione amministrativa è stata sostituita alla pena della «multa da lire duecentomila a due milioni» dall'art. 43 1a d.lg. 30 dicembre 1999, n. 507. Per l'individuazione dell'autorità competente all'applicazione di detta sanzione v. art. 19-bis disp. att. (3) Comma modificato dall'art. 431b d.lg. n. 507, cit. (4) Comma così sostituito dall'art. 431c d.lg. n. 507, cit. InquadramentoL'usurpazione di titoli o di onori è stata oggetto di depenalizzazione ad opera dell'art. 43 comma 1 lett. a) e b) d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507 per la sua natura bagatellare. L'attuale formulazione dell'art. 498, perciò, delinea una violazione amministrativa, ma per comprendere la portata della norma è necessario far comunque riferimento al precedente delitto, in quanto gli approdi dottrinari e giurisprudenziali frutto dell'elaborazione precedente si possono ancora ritenere validi. A seguito delle modifiche operate dall'art. 1 ter comma 2 d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 l'usurpazione di titoli o di onori opera nei soli casi in cui il fatto non configuri il reato di cui all'art. 497-ter. Bene giuridicoSecondo un orientamento dottrinario l'usurpazione ex art. 498 era un delitto plurioffensivo perché tutelava, insieme alla pubblica fede, anche interessi amministrativi specifici sottesi al conferimento ed al riconoscimento di titoli ed onori nonché il pubblico potere di conferirli e riconoscerli (Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, 628). La dottrina maggioritaria e la giurisprudenza, invece, individuavano l'interesse giuridico garantito dalla norma solo nella pubblica fede personale, che la generalità dei cittadini ripone nella pubblica esibizione di segni e distintivi (Catelani, 271; Cristiani, 1955, 152; Cass. VI, n. 31427/2012; Cass. V, 1 ottobre 1987; Cass. V, n. 7996/1981). SoggettiSoggetto attivo L'illecito, antecedentemente alla sua depenalizzazione, era classificato come reato comune perché soggetto attivo, può essere “chiunque”, sia il privato cittadino, sia un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, che si mostri per quello che non è (Pagliaro, 52), purché non abbia il diritto di portare il segno distintivo o di arrogarsi il titolo o la dignità. Non vi è, invece, usurpazione, ma soltanto un eventuale illecito disciplinare, nel caso in cui il l'agente abbia il titolo per portare la divisa o i segni distintivi e ne faccia soltanto un uso non conforme al proprio diritto (Manzini, 1025). Se il soggetto attivo è un militare che fa uso abusivamente di decorazioni o distintivi militari si applicherà l'art. 221 c.p. mil. p. Elemento oggettivoOggetto materiale In riferimento al primo comma, l'oggetto materiale dell'illecito è tassativamente individuato (Cristiani, 1955, 156) ed è costituito dalla divisa o dagli altri segni distintivi rilasciati e previsti dall'ordinamento per uffici o impieghi pubblici o per determinate attività professionali o funzioni religiose: le divise militari, la toga del magistrato, del professore universitario, dell'avvocato, del cancelliere, ecc., il segno distintivo del medico, del farmacista o di altro esercente il servizio sanitario o veterinario, ecc., l'abito ecclesiastico della Chiesa cattolica o quello di qualsiasi altra confessione religiosa (Cass. V, n. 2847/1999, Cass. V, n. 7996/1981). I titoli e le qualità oggetto di usurpazione sono esclusivamente quelli riconosciuti ufficialmente dallo Stato italiano (Pagliaro, 652), conseguentemente, non è punibile chi si veste da dignitario di un altro Stato, non hanno rilievo i titoli d'onore attribuiti da altri enti, anche se pubblici, o da associazioni come, ad esempio, il titolo di cittadino onorario attribuito da un Comune o di campione olimpico riconosciuto dal Coni (Manzini, 1030), né rilevano i titoli nobiliari, il cui riconoscimento è escluso dalla XIV disp. trans. Cost. Non è ritenuto necessario che i segni siano autentici o identici a quelli autentici, purché siano idonei ad ingannare il pubblico (Manzini, 1020). Le divise ed i segni distintivi ufficiali e professionali sono quelli stabiliti e descritti nelle leggi, nei regolamenti e negli atti amministrativi o ammessi per consuetudine recepita dalla pubblica amministrazione (Nappi, 1996, 219), è necessario che siano conformi al modello ufficiale o a quello legittimamente in uso e, in assenza della richiesta conformità, la falsa apparenza di divise o distintivi, ad es. facilmente confondibili con quelli ufficiali, potrebbe rilevare penalmente solo in quanto costituisca un mezzo fraudolento, esecutivo di un reato diverso (ad es. truffa, furto, ecc.). Non occorre che la conformità sia assoluta, cioè che siano uguali agli autentici, essendo sufficiente l'idoneità dei segni distintivi a far ritenere il soggetto appartenente al relativo ufficio o impiego. L'illecito, perciò, si concretizza anche se il soggetto agente indossi una divisa o porti un distintivo incompleto, purché non sia stato soppresso o essenzialmente modificato un elemento caratteristico; se egli abusi soltanto di un elemento essenziale della divisa e del distintivo, per se stesso simboleggiante l'ufficio e sufficiente a caratterizzarlo, tenuto conto delle condizioni e delle circostanze concrete. Parte della dottrina e la giurisprudenza (Nappi, 1996, 219), inoltre, ritiene che la norma tuteli gli abiti religiosi, indicativi dello stato sacerdotale, di tutte le confessioni religiose, anche se non costituite in Chiese, purché il culto sia ammesso dallo Stato (Cass. V, n. 2847/1999). Secondo altra parte, invece, la tutela è limitata alle sole confessioni costituite in Chiese e non vi rientrerebbe, quindi, quella israelita. Ad ogni modo, per determinare la liceità meno del fatto è necessario far riferimento all'ordinamento proprio della religione in questione. Pacifico è che il fatto deve avvenire pubblicamente senza che l'agente abbia alcun diritto a rivestire l'abito. Risponde, quindi, sia colui che non ha mai conseguito il titolo idoneo ad indossare l'abito, sia colui che per effetto delle disposizioni contenute nel codice di diritto canonico abbia perso, definitivamente o temporaneamente, tale diritto. Nel secondo comma oggetto materiale dell'illecito sono le dignità, i titoli (ad es. titoli accademici o lauree, diplomi, ecc.) che abbiano una rilevanza giuridica perché ufficialmente riconosciuti dallo Stato (Cristiani, 1955, 157). Di conseguenza autoattribuirsi un titolo conseguito legittimamente all'estero non costituisce illecito ed il suo uso senza l'osservanza delle prescrizioni dell'ordinamento giuridico italiano integra, invece, la contravvenzione (anch'essa depenalizzata) di cui all'art. 2 l. 15 marzo 1958 n. 262 (Pagliaro, 652). Se si tratta di titoli corrispondenti a quelli italiani conseguiti all'estero l'illecito si concretizzerà se sono utilizzati in Italia senza autorizzazione, in quanto il soggetto si arroga un titolo che non può assumere senza quest'ultima.
Condotta Si tratta di illecito di mera condotta commissiva, tipicamente definita. L'elenco contenuto nella norma è tassativa e, di conseguenza, l'art. 498 non si può estendere ai casi in esso non preveduti (Nappi, 1989, 4). L'articolo 498 prevede due distinte condotte (in giurisprudenza Cass. V, n. 5534/1999): a) portare abusivamente in pubblico un emblema ovvero la divisa o i segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico, o di un corpo politico, amministrativo o giudiziario o di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ovvero nell'indossare abusivamente in pubblico l'abito ecclesiastico: l'azione deve essere posta in essere “abusivamente” cioè in violazione delle norme che disciplinano l'uso della divisa o del contrassegno e “in pubblico'', ovvero secondo le modalità indicate dall'art. 266 comma 4 n. 2 e 3 (Catelani, 271; Manzini, 1019; in giurisprudenza Cass. V, n. 5534/1999). Affinché la condotta sia abusiva l'uso del contrassegno deve assumere il significato di attribuzione della relativa qualifica al soggetto che lo porta, con la conseguenza che non sussisterà il reato quando il fatto sia commesso in occasione di spettacoli teatrali, travestimenti di carnevale o, comunque, di situazioni in cui non vi sia alcuna possibilità di inganno circa la mancanza della qualifica (Manzini, 1026; Pagliaro, 653). Nel concetto generico di “portare” rientrano indubbiamente quello specifico di “indossare”, che si riferisce propriamente agli abiti, nei quali si ricomprendono anche le divise; quello di “adoperare” personalmente divise od altri segni distintivi secondo la loro tipica destinazione ed il significato ad essi proprio, o comunque “esibirli” in pubblico (Nappi, 1996, 220), sia pure in maniera saltuaria (Catelani, 271); quello di “collocare” l'emblema nel luogo dove esso svolge normalmente la sua funzione di contrassegno personale (Pagliaro, 652). Generalmente, infatti, la divisa e l'abito ecclesiastico devono essere indossati, mentre gli altri segni distintivi, secondo i casi, possono essere portati sulla persona, sull'automobile, ecc. (Pagliaro, 652). D'altra parte si può portare una divisa od un distintivo senza indossarli, come nell'ipotesi in cui un soggetto tenga in mano ed ostenti, in determinate circostanze, una sciarpa da funzionario di pubblica sicurezza (Manzini, 1020). L'illecito sussiste anche se la divisa, ecc., venga fatta portare, nel senso sopra specificato, da altri al proprio servizio. In questa ipotesi, infatti, il portatore materiale o agisce dolosamente (e, di conseguenza, sono entrambi correi: l'agente per determinazione ed il portatore per esecuzione), o non è imputabile, ovvero non è punibile a causa di una condizione o qualità personale e risponderà dell'illecito solo il determinatore (Manzini, 1020). Ogni fatto diverso dal “portare”, nel senso appena precisato, non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 498, ma potrà dar luogo ad altre sanzioni (ad es. art. 28 r.d. 18 giugno 1931, n. 773). b) Arrogarsi illegittimamente dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni: “arrogarsi” significa autoattribuirsi una determinata qualifica indebitamente (Catelani, 273; Nappi, 1989, 4), “facendone mostra” in modo tale che i terzi siano indotti a credere che il soggetto attivo abbia diritto a tale attribuzione: l'arrogarsi può esplicitarsi sia in un'espressa dichiarazione od esternazione di qualifica sia in una condotta concludente od implicita, cioè attraverso un comportamento od un'attività che equivalga a tale attribuzione, come, ad es., uno scritto su un biglietto da visita, l'intestazione della carta da lettere, ecc. I modi (forma verbale, scritta, ecc.) ed i mezzi della condotta sono indifferenti, purché siano idonei a concretare il mendacio, che costituisce il dato caratteristico della condotta stessa (Manzini, 1031). L'attribuzione postula un comportamento attivo (Pagliaro, 652) per cui l'agente risponde comunque dell'illecito se si è arrogato il titolo o la qualifica con un comportamento “equivalente'' (Catelani, 273) ovvero se ha autorizzato il terzo ad operare la falsa attribuzione o se l'ha avallata o confermata, in un momento successivo, con il proprio significativo atteggiamento. Egli, invece, non risponderà dell'illecito se ha tenuto una condotta inerte, lasciandosi attribuire, senza protesta o senza rettificare, titoli, dignità, gradi, ecc. a cui non ha diritto (Pagliaro, 652). Ciò che rileva, infatti, non è l'origine materiale del fatto causativo dell'attribuzione abusiva, ma il comportamento comunque tenuto dal soggetto. Si ha, altresì, arrogazione anche quando il titolo cessa di essere proprio dell'agente o quando è stato ottenuto con provvedimenti illegittimi o ancora quando, pur sussistendo le eventuali condizioni per ottenere l'attribuzione della qualifica, ecc., questa non sia stata conseguita per la mancata osservanza delle formalità prescritte dall'ordinamento (Cass. VI, n. 715/1999). La giurisprudenza ha precisato che per la configurabilità dell'illecito ex art. 498 non basta la mera attribuzione di un titolo non spettante, ma è necessario che il conferimento sia rivolto a sorprendere o ingannare la fede altrui. Da ciò consegue che il semplice fatto di arrogarsi titoli, gradi e decorazioni al solo scopo di soddisfare la propria vanità non integra gli estremi dell'illecito, sempre che l'attribuzione non sia rivolta ad un terzo estraneo per approfittare o abusare di esso in relazione ad un evento specifico (Cass. V, 1 ottobre 1987). Parte della dottrina (Catelani, 273; Pagliaro, 652) ritiene che, pur non essendo richiesto esplicitamente, anche il comportamento descritto al secondo comma non possa prescindere da forme di esternazione e, quindi, da “un minimo grado di pubblicità'', perché l'azione tipica dell'attribuirsi un titolo che non spetta implica necessariamente un contatto con i terzi e lo stesso termine arrogarsi sottointende il “far mostra” in relazione ad estranei (Cass. V, 1 ottobre 1987). Diversamente parte della giurisprudenza ha affermato che l'estremo della pubblicità del comportamento non è richiesto nell'ipotesi di cui al secondo comma perché il termine usato “si arroga” si riferisce essenzialmente solo al fatto di attribuirsi indebitamente o illegittimamente titoli od onori (Cass. V, n. 5534/1999). In entrambe le ipotesi di condotta descritte dalla norma è richiesto il requisito dell'abusività del comportamento che nel primo caso si realizzerà sia quando l'agente non ha mai avuto il diritto di portare pubblicamente divise e di altri segni distintivi in base alla specifica normativa dell'ordinamento giuridico, sia quando, pur possedendolo, lo ha perduto o gli è stato sospeso (Pagliaro, 652); nel secondo, invece, si concretizzerà solo in quanto il titolo, la decorazione, l'onorificenza, il grado, siano muniti di riconoscimento ufficiale dell'ordinamento italiano. In caso contrario il fatto potrà eventualmente costituire elemento della condotta di altro reato, come, ad es., per una truffa commessa da chi, per suggestionare il soggetto passivo, si arroghi un titolo altisonante che non esiste. Elemento psicologicoOriginariamente l'elemento soggettivo di entrambe le ipotesi previste dall'art. 498 era il dolo generico (Nappi, 1996, 223), non occorrendo alcun fine specifico, consisteva nella coscienza e volontà di portare la divisa o i segni distintivi, ecc. e di arrogarsi i titoli (Cass. V, n. 11224/1995), le dignità, ecc., con la piena consapevolezza di agire senza avere il correlativo diritto (Nappi, 1989, 4) e di compiere ciò “in pubblico”. Era indifferente il movente (vanità, fini di lucro, ecc.) o lo scopo (ad es. poter estendere la clientela). In seguito alla depenalizzazione ai sensi dell'art. 3 l. 24 novembre 1981, n. 689 in astratto è sufficiente la colpa. Consumazione e tentativoConsumazione L'illecito ha carattere istantaneo e solo eventualmente permanente (ad es. quando un soggetto espone un cartello con l'indebita qualifica di dottore in psicologia o quando faccia inserire in un elenco telefonico, accanto al proprio nome, la qualifica, non conferitagli, di dottore Cass. V, 7 ottobre 1975), perché la norma non richiede che il fatto sia continuativo ed è sufficiente ad integrarlo anche un solo atto di attribuzione della qualifica inesistente (Nappi, 1996, 222). Nella prima ipotesi l'illecito si consuma con il portare in pubblico la divisa o i segni distintivi. Nella seconda con l'arrogarsi, espressamente o in modo implicito, i titoli ed onori di cui si tratta. Tentativo Non si ritiene il tentativo configurabile perché gli atti preparatori sono espressione di un mero proposito criminoso (Cristiani, 1955, 165), mentre il fare uso in pubblico o l'arrogarsi dignità, ecc. costituiscono già consumazione del delitto (Nappi, 1996, 223). Rapporti con altri reatiL'illecito, in quanto di portata più generale, non si applica qualora ricorrano gli estremi delle disposizioni speciali di cui agli artt. 1130 c. nav., 221 c.p. mil. p., 164 e 180 c.p. mil. g. Sostituzione di persona La giurisprudenza ha precisato che la condotta del soggetto non appartenente all'amministrazione di esibire una paletta della Polizia di Stato per evitare la contestazione di sosta del proprio veicolo in zona vietata integra il delitto di sostituzione di persona, poiché l'uso illecito del segno distintivo è finalizzato all'ottenimento di un vantaggio (Cass. V, n. 12753/1998). Possesso di segni distintivi contraffatti Prima dell'introduzione dell'art. 497 ter, la condotta di porto abusivo di divise o di segni di un Corpo di polizia poteva acquisire rilevanza ex art. 498 come usurpazione di titoli. A seguito delle modifiche operate dall'art. 1 ter d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, conv. con modif. in l. 21 febbraio 2006, n. 49 l'usurpazione di titoli opera nei soli casi in cui il fatto non configuri il reato dell'art. 497 ter. Concorso di reatiIn generale se il porto abusivo implica anche il vilipendio vi sarà concorso con una delle ipotesi previste dagli artt. 290, 291, 292 e 402 che sussiste in concreto (in dottrina Manzini, 1019). Esercizio abusivo della professione L'illecito di cui all'art. 498 non può considerarsi assorbito dal delitto di abusivo esercizio di una professione di cui all'art. 348 perché per la sua applicabilità è sufficiente il solo porto abusivo delle divise o dei distintivi: chi, oltre a compiere l'illecito de qua, eserciti abusivamente una professione, risponde di entrambe le infrazioni, in concorso materiale tra loro ai sensi dell'art. 9 l. 24 novembre 1981, n. 689 (Cass. S.U., n. 1963/2010), atteso che, in particolare, le due norme tutelano distinti beni giuridici (in dottrina Nappi, 1996, 229; Cass. VI, n. 715/1999; Cass. VI, 9 novembre 1984). Truffa L'illecito di cui all'art. 498 concorre materialmente con il delitto di truffa, poiché i beni giuridici tutelati sono differenti. Inoltre non è necessario per la consumazione dell'illecito amministrativo, diversamente dalla truffa, il conseguimento di un profitto e quest’ultima, poi, può essere realizzata anche con raggiri diversi da quello dell’arrogazione di titoli, gradi e dignità non posseduti. Secondo parte della dottrina se il raggiro consiste nella sola falsa attribuzione di cui all'art. 498 si ha concorso apparente di norme con il vincolo a ritenere soltanto l'ipotesi di truffa (Antolisei, 2008, 162). Usurpazione di pubbliche funzioni Per un primo orientamento l'illecito concorre (materialmente) con il reato di cui all'art. 347 c.p. sia per la diversa oggettività giuridica sia per incontinenza strutturale (Cristiani, 1955, 155; in giurisprudenza Cass. VI, n. 31427/2012). Per un'altra impostazione l'usurpazione di funzioni pubbliche assorbe per consunzione l'usurpazione di titoli ed onori (Pagliaro, 652). CasisticaUsurpazione dell'abito religioso La giurisprudenza ha affrontato in diverse decisioni il problema dell'usurpazione dell'abito religioso. In primo luogo ha precisato che in caso di dismissioni dall'ordine l'utilizzo del predetto abito è consentito, e, quindi, non si realizzerà l'illecito, fino a quando il provvedimento di dismissione non divenga definitivo. Inoltre, affinché si configuri l'illecito è sufficiente che l'abito ecclesiastico per le sue caratteristiche essenziali e nel suo insieme sia tale da indurre la generalità dei cittadini a ritenere che la persona che lo indossa sia un ministro di culto ammesso nello Stato (Cass. V, n. 7996/1981). Pertanto non occorre che l'abito sia conforme, in tutti i suoi dettagli ed accessori, alla veste talare ufficialmente riconosciuta con provvedimento emanato dalla competente autorità ecclesiastica. Arrogazione illegittima di dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ecc Integra l'illecito di cui all'art. 498, secondo comma: a) l'arrogarsi il titolo di avvocato, ancorché abilitato in Francia a esercitare la professione di Avocat, se non si è provveduti ad ottemperare alle condizioni normative previste (Cass. VI, n. 715/1999); b) l'arrogarsi il titolo di dottore commercialista esponendo una targa di studio professionale che riporta la dizione «Dott. Rag. — Commercialista» (Cass. V, n. 11224/1995); c) l'indossare un abito ecclesiastico, anche se non corrispondente integralmente alla veste talare riconosciuta (Cass. n. 7996/1981); d) arrogarsi una qualifica accademica (nella specie, «dottore») mai conferita (Cass. V, 3 aprile 1978); e) l'attribuirsi una qualifica di pubblico funzionario, anche attraverso l'abusivo uso di contrassegno senza alcun concreto esercizio di atti inerente a tali funzioni (Cass. VI, n. 31427/2012); f) l'attribuirsi titoli corrispondenti ad uno reale conferito da un ente straniero fittizio o fraudolento perché l'illecito si configura se il titolo inesistente può, per la somiglianza con un titolo riconosciuto, generare confusione e ingannare la pubblica fede (ad es. “primario medico chirurgo delle università di Napoli e di Roma”)(in dottrina Nappi, 1996, 221). L'illecito è stato escluso nei seguenti casi: a) attribuzione di titoli assolutamente fantastici o inesistenti; b) attribuzione di titoli inerenti ad un ufficio di un ordinamento diverso (oggetto di tutela sono solo quelli che si riferiscono ad un ufficio o ad un impiego pubblico o ad una professione soggetta ad abilitazione dello Stato); c) attribuzione di titoli non riconosciuti come quelli meramente onorifici o nobiliari; d) attribuzione del titolo di professore accompagnato da specificazioni relative a materie o attività (ad es. giochi o ballo) che non trovino nella legge un particolare riconoscimento e che non formino oggetto di insegnamenti ufficialmente impartiti nella scuola pubblica; e) qualificarsi come Rev. sac. in una richiesta di rilascio di passaporto con allegata una propria fotografia in clergyman, omettendo di specificare la propria appartenenza alla chiesa denominata «Syro-Antiochena» (Cass. V, n. 2847/1999). SanzioniPer entrambe le ipotesi di condotta è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929. Il terzo comma dell'art. 498 contempla la sanzione amministrativa accessoria della pubblicazione del provvedimento che accerta la violazione con le modalità stabilite dall'articolo 36. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta previsto dall'articolo 16 della l. 24 novembre 1981, n. 689. BibliografiaFulvi, Usurpazione di titoli o di onori, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la fede pubblica, X, Milano, 2013. V. anche sub art. 494. |