Codice Penale art. 515 - Frode nell'esercizio del commercio.Frode nell'esercizio del commercio. [I]. Chiunque, nell'esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile [624 2] per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto [440-445, 455-459], con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 2.065 euro [518] (1). [II]. Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a 103 euro [518]. (1) Per un'ipotesi particolare, v. art. 4 d.l. 17 gennaio 1977, n. 3, conv., con modif., nella l. 18 marzo 1977, n. 63. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: v. 2902 c.p.p. procedibilità: d'ufficio InquadramentoTale delitto punisce colui che consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra o diversa da quella dichiarata o pattuita durante l'esercizio di un'attività commerciale, o di uno spaccio aperto al pubblico. La pena è più grave nel caso in cui le cose mobili in questione siano oggetti preziosi. Bene giuridico protettoIl bene giuridico tutelato va individuato nel leale esercizio e nell'onesto svolgimento del commercio e non nella protezione degli interessi patrimoniali dei singoli acquirenti. Non può essere attribuita rilevanza, al fine di escludere la configurabilità del reato di cui all'art. 515 c.p., al fatto che l'acquirente non abbia ricevuto un danno economico in conseguenza della consegna dell'«aliud pro alio», atteso che, stante la tutela dell'interesse al leale esercizio dell'attività commerciale, è irrilevante la circostanza che la cosa diversa possa risultare di maggiore valore rispetto a quella richiesta dall'acquirente (Cass. III, n. 16055/2006). Soggetto attivoLa norma ha portata generale in quanto il soggetto attivo può essere chiunque agisca nell'esercizio di una attività commerciale o in uno spaccio aperto al pubblico. Possono pertanto essere soggetti attivi del reato,non soltanto il titolare della ditta,ma anche i dipendenti, i familiari, il rappresentante o il semplice mandatario,ed anche il socio che rappresenti la ditta e che non abbia ingerenza nella consegna della merce, sempre che abbia concorso in qualsiasi modo nel fatto delittuoso. Non è richiesta la qualità di commerciante, ma è sufficiente che l'attività delittuosa si esplichi nell'esercizio di un atto obbiettivamente commerciale o in uno spaccio aperto al pubblico, cosicché anche il privato agricoltore o l'artigiano che vende i suoi prodotti direttamente al consumatore può essere soggetto attivo del reato. Il titolare di un piccolo esercizio commerciale, gestito direttamente dal medesimo e da un familiare, è responsabile per la vendita di «aliud pro alio» anche se non è l'autore materiale della cessione (Cass. III, n. 14257/2015). Nelle aziende di notevoli dimensioni, i titolari (amministratori o legali rappresentanti), in mancanza di effettiva delega di funzioni a determinati soggetti, rispondono del reato di frode in commercio, essendo tenuti ad osservare e far osservare tutte le disposizioni imperative concernenti gli aspetti dell’attività aziendale (Cass. III, n. 35159/17). Soggetto passivoIl soggetto passivo, che nel contempo è anche la persona offesa del reato, è l'acquirente al quale il colpevole consegna (con ciò perpetrando la "frode") una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella pattuita. Tale reato può talvolta essere plurioffensivo, come nel caso in cui l'azione del colpevole cada su un prodotto industriale tutelato dal marchio o il cui nome commerciale sia assistito da particolare tutela. In queste ipotesi, l'uso di tali contrassegni, effettuato al fine di trarre in inganno l'acquirente, può indirettamente arrecare nocumento anche al produttore sotto il profilo del lucro cessante, conseguente alla minore vendita del prodotto ed al discredito riflettentesi sullo stesso. Persone offese del reato di frode nell'esercizio del commercio sono il produttore della merce surrettiziamente scambiata e l'acquirente-consumatore della stessa, ai quali deve essere riconosciuta la legittimazione all'opposizione alla richiesta di archiviazione (nel caso di specie, la S.C. ha escluso la qualifica di persona offesa in capo al legale rappresentante di un'impresa concorrente) (Cass. I, n. 5588/2008). Elemento oggettivoCondotta La condotta tipica punita consiste nella consegna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella oggetto del contratto, indipendentemente dal fatto che l'agente abbia usato particolari accorgimenti per ingannare il compratore o dalla circostanza che quest'ultimo potesse facilmente, applicando normale attenzione e diligenza, rendersi conto della difformità tra merce richiesta e consegnata (Cass. II, n. 48026/2014; Cass. III, n. 54207/2016). Non rientrano nel concetto di cosa mobili il denaro, i diritti su beni immateriali, le prestazioni personali e quelle meccaniche. Il termine «consegna» fa riferimento ad un'attività contrattuale (pattuizione-dichiarazione) tra venditore ed acquirente. Per diversità di origine si deve intendere una cosa prodotta in un luogo geografico diverso da quello indicato quando questo attribuisce alla cosa particolare apprezzamento per le qualità del prodotto e diventa decisivo per la scelta del consumatore. Per diversità di provenienza si deve intendere una cosa diversa da quanto risulta nell'indicazione originaria utilizzata per contraddistinguere il prodotto o qualora venga indicata nella confezione di un prodotto una diversa azienda di produzione. Per diversità per qualità si deve intendere una cosa che rimane all'interno del genere e della specie pattuita ma ha caratteristiche non essenziali diverse come una diversa composizione o una variazione di gusto. Per diversità per quantità si deve intendere una cosa diversa per peso, misura o numero. La frode in commercio si sostanzia nel solo fatto dell'esecuzione sleale del contratto mediante consegna dell'aliud pro alio, né ad integrare il reato concorre uno speciale atteggiamento del venditore né manipolazioni, sotterfugi o raggiri. Il delitto è configurabile anche nel caso in cui l'acquirente non effettui alcun controllo sulla merce offerta in vendita, essendo irrilevanti sia l'atteggiamento, fraudolento o meno, del venditore, che la possibilità per l'acquirente di accorgersi della diversità della merce consegnatagli rispetto a quella richiesta (Cass. III, n. 23819/2009) e anche se il prodotto consegnato non sia alterato o nocivo alla salute del consumatore, in quanto il reato è integrato dalla semplice messa in vendita di un bene difforme da quello dichiarato (Cass. III, n. 37602/2009). Integra il reato di frode in commercio la consegna di un bene diverso, per caratteristiche essenziali, rispetto a quello pattuito, anche se avvenuta nell'ambito di una trattativa individuale, non richiedendo la norma incriminatrice l'offerta al pubblico del bene o l'idoneità della condotta a trarre in inganno una pluralità di consumatori quale elemento costitutivo del reato (Cass. III, n. 30685/2021). L'atteggiamento psicologico del compratore non assume rilevanza rispetto alla consegna di cosa diversa da quella dichiarata e la punibilità del venditore non è esclusa per il fatto che l'acquirente sia a conoscenza della diversità del prodotto rispetto a quello da lui richiesto (Cass. III, n. 49578/2009). Non si richiede, ai fini della sua configurabilità, che il prodotto sia socialmente pericoloso, essendo sufficiente la mendace commercializzazione dello stesso come diverso da quello reale (Cass. III, n. 39714/2010) Agente provocatore Di agente provocatore può parlarsi, con proprietà di espressione, solo quando una persona (che può essere anche un agente di polizia giudiziaria), camuffandosi da delinquente, determini altri a una impresa delittuosa e all'attuazione di questa eventualmente partecipi, si da diventare correo morale ed eventualmente anche materiale del reato che poi si commette. La persona che, nell'interesse della casa produttrice di un determinato prodotto al fine di controllare che lo smercio avvenga senza frodi, chieda al venditore tale prodotto, non può mai assumere la figura di agente provocatore, dato che la sua volontà non è diretta a indurre il venditore o a determinarlo, al compimento del reato di frode in commercio, ma è rivolta, invece, a controllare se l'altro dà leale esecuzione al contratto, essendo evidente che il suo comportamento non differisce da quello di un qualsiasi altro acquirente che si determini a chiedere in vendita il prodotto, onde il venditore, in entrambe le ipotesi, è libero di dare la cosa richiesta, eseguendo lealmente il contratto, o di consegnarne, volontariamente e consapevolmente altra, commettendo frode e diventando, cosi, responsabile del delitto di cui all'art 515 (Cass. VI, n. 323/1970). Pertanto, qualora taluno, al fine di controllare la regolarità della vendita di alcuni prodotti, faccia richiesta di acquisto di una merce ben specificata, non ricorre l'ipotesi dell'agente provocatore per la cui configurabilità si richiede un'attività rivolta ad indurre taluno a commettere un reato (Cass. VI, n. 4437/1976). Elemento soggettivoL'elemento psicologico del delitto di frode in commercio consiste nel solo dolo generico, ossia nella coscienza e volontà di consegnare cosa diversa da quella pattuita ovvero una cosa mobile che, per origine, provenienza, qualità o quantità, sia difforme da quella dichiarata come posta in vendita (Cass. III, n. 13998/2018). I moventi dell'azione criminosa sono, invece, estranei ed irrilevanti ai fini della configurabilità di tale delitto, che sussiste, pertanto, anche se l'agente non si proponga come scopo l'inganno o il danno dell'acquirente. Consumazione e tentativoConsumazione Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui viene consegnata la cosa mobile. Il reato di frode nell'esercizio del commercio si considera commesso nel territorio nazionale nel caso in cui la condotta abbia ivi avuto inizio con la consegna della merce al vettore per la spedizione all'estero (Cass. III, n. 34873/2009). Il reato di frode in commercio, nel caso di vendita di merce da piazza a piazza, si consuma non nel luogo in cui, ai sensi dell'art. 1510 c.c., il venditore si libera della propria obbligazione rimettendo la merce al vettore o spedizioniere, ma in quello in cui avviene la materiale consegna della stessa merce all'acquirente, posto che è solo in tale momento che quest'ultimo, ottenuta la disponibilità della cosa, può verificarne la corrispondenza a quella pattuita o dichiarata, subendo, conseguentemente, gli effetti della non veridica rappresentazione dei requisiti del prodotto (Cass. III, n. 28689/2017). Tale delitto, essendo posto a tutela della pubblica funzione dello Stato di assicurarne il suo onesto svolgimento e non degli interessi patrimoniali dei singoli acquirenti, si perfeziona a prescindere dall'identificazione dei soggetti passivi, la cui tolleranza, per la natura indisponibile del diritto, non ha efficacia scriminante (Cass. III, n. 35121/2024). Tentativo Il tentativo è configurabile. Mentre la fattispecie consumata è integrata dalla consegna materiale della merce all'acquirente, per la configurabilità del tentativo non è necessaria la sussistenza di una contrattazione finalizzata alla vendita, essendo sufficiente l'accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite (Cass. III, n. 45916/2014). Integra il tentativo di frode in commercio, perché idonea e diretta in modo non equivoco alla vendita della merce ai potenziali acquirenti, la condotta dell'esercente che esponga sui banchi o comunque offra al pubblico prodotti alimentari scaduti sulle cui confezioni sia stata alterata o sostituita l'originale indicazione del termine minimo di conservazione. (Nell'affermare tale principio la Corte ha altresì precisato che il tentativo non è viceversa configurabile, per l'assenza del requisito dell'univocità degli atti, ove i prodotti con etichetta alterata o sostituita siano semplicemente detenuti all'interno dell'esercizio o in un deposito senza essere esposti o in qualche modo offerti al pubblico) (Cass. S.U. , n. 28/2000). Inoltre, integra il reato tentato anche la sola detenzione (ad esempio presso i magazzini aziendali) di un prodotto di natura diversa, per origine, provenienza, qualità o quantità, da quella dichiarata, ove si tratti di merce destinata alla vendita (Cass. IV, n. 17545/2024 - Fattispecie relativa alla riscontrata presenza, all'interno delle cantine di un'azienda vinicola, di bottiglie di vino Barolo DOCG, prodotto e invecchiato fuori dalla zona di produzione tutelata). Circostanze aggravantiIl comma 2 dell'articolo prevede una circostanza aggravante speciale se si tratta di oggetti preziosi cioè quegli oggetti che hanno un valore superiore al normale in quanto sono rari, o antichi, o di valore artistico o storico. Si applica la circostanza aggravante prevista dall'art. 517-bis comma 1 che prevede un aumento di pena nel caso in cui l'oggetto materiale sia un alimento o una bevanda la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette da norme vigenti. Circostanze attenuantiSecondo un orientamento, la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è incompatibile con il reato di frode nell'esercizio del commercio, in quanto è un reato plurioffensivo che tutela, in primo luogo, il leale esercizio dell'attività commerciale e la condotta tipica consiste nella consegna di una cosa diversa per origine,provenienza, qualità o quantità rispetto a quella offerta in vendita, sicché non può neppure prospettarsi un danno di speciale tenuità per quel che attiene al principale bene giuridico tutelato (Cass. III, n. 37602/2009). Secondo un orientamento contrastante, invece, in relazione al reato di cui all'art 515, che prevede e punisce un reato plurioffensivo che va annotato fra i reati che “comunque” offendono il patrimonio, è configurabile il danno patrimoniale di speciale tenuità (Cass. VI, n. 340/1972; Cass. VI, n. 9384/1974; Cass. VI, n. 5087/1978). Espressione di un orientamento intermedio, infine, risultano alcune decisioni che, pur non ritenendo pregiudizialmente incompatibile tale attenuante con il delitto «de quo», ne subordinano l'applicabilità al rigoroso accertamento giudiziale, soprattutto laddove si tratti di prodotto tutelato con marchio industriale. In tal senso si è affermato che la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità non si riferisce esclusivamente ai delitti contro il patrimonio, ma si estende a quelli che comunque offendono il patrimonio e cioè a un delitto che provochi in concreto una diretta offesa al patrimonio altrui. Il reato di frode nell'esercizio del commercio, pur collocato tra i delitti contro l'industria e il commercio in quanto incide negativamente su tali attività ledendo la pubblica fiducia e alterando il credito, può anche danneggiare direttamente il patrimonio dell'acquirente e del produttore. Non si può pertanto escludere che la misura di tale danno diretto, se ritenuta in concreto di speciale tenuità, possa agire quale circostanza attenuante non solo nel caso di frode quantitativa, ma anche nel caso di frode qualitativa e cioè di consegna di aliud pro alio. È compito del giudice di merito accertare di volta in volta se la frode abbia realmente provocato un danno patrimoniale diretto e, in caso positivo, di valutare se il danno sia o no di speciale tenuità. Nel condurre l'accertamento il giudice dovrà tener presente particolarmente quando si tratta di cosa protetta da un marchio, che il danno del produttore non si esaurisce nel mancato guadagno provocato dai singoli episodi di frode accertati, ma si estende alle lesioni dirette di natura patrimoniale (non venendo in considerazione in questa indagine il danno non patrimoniale) eventualmente provocate dalla frode per sviamento della clientela, discredito commerciale, deprezzamento del marchio e dovrà pure considerare, anche quando il pregiudizio patrimoniale del produttore sia stato accertato in relazione ad un solo episodio, che occorre stabilire se detto episodio, per le modalità che lo caratterizzano o perché costituisce espressione di un comportamento usuale del venditore, sia di per sé idoneo ad escludere l'ipotesi della speciale tenuità del danno (Cass. VI, n. 1598/1971; Cass. VI, n. 605/1971). Cause di non punibilitàIn relazione all’entità della pena, è possibile applicare la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis, salvo la verifica in concreto degli altri parametri previsti dalla norma. Responsabilità dell'ente: sanzioneIn relazione alla commissione del delitto ex art. 517-quater, è prevista la responsabilità amministrativa da reato dell'ente; infatti, l'art. 25-bis.1 d.lgs. n. 231/2001, introdotto dall'art. 15 comma 7, l. n. 99/2009, così recita: «In relazione alla commissione dei delitti contro l'industria e il commercio previsti dal codice penale, si applica all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per i delitti di cui agli artt. 513, 515, 516, 517, 517-ter, 517-quater la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote». Rapporto con altri reatiIl delitto di frode in commercio ha natura sussidiaria in quanto nel comma 1 si legge « qualora il fatto non costituisca un più grave delitto» È configurabile il concorso materiale tra il reato di frode nell'esercizio del commercio e quello di vendita di prodotti industriali con segni mendaci exart. 517, in quanto gli stessi hanno una diversa obiettività giuridica costituita, per il primo, dalla consegna di «aliud pro alio» con conseguente violazione del leale esercizio dell'attività commerciale e, per il secondo, dalla sola vendita o messa in circolazione del prodotto, indipendentemente dalla consegna, con conseguente violazione dell'ordine economico che deve essere garantito contro gli inganni tesi al consumatore (Cass. III, n. 32388/2020). Il delitto di cui all'art 515 può concorrere con il delitto di contraffazione di prodotti industriali exart. 473 ove ne ricorrono i presupposti, attesa la diversa obiettività giuridica dei due reati. Il delitto di cui all'art. 516, vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, rappresenta una forma di tutela avanzata rispetto al reato di frode in commercio di cui all'art. 515, in quanto relativo ad una fase preliminare ed autonoma rispetto alla relazione commerciale vera e propria, che si consuma con la messa in commercio delle cose non genuine, configurando un reato di pericolo (Cass. III, 50745/2016). Integra il reato di frode nell'esercizio del commercio — e non quello di cui all'art. 474 (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) — l'apposizione di una falsa marcatura CE su beni posti in commercio che ne siano privi, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 515 fa riferimento al marchio come elemento che serve ad attestare la conformità del prodotto a normative specifiche, ed è posta a tutela degli acquirenti dei beni, siano essi consumatori finali oppure commercianti intermediari nella catena distributiva, mentre la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 474 fa riferimento al marchio come elemento (segno o logo) idoneo a distinguere il singolo prodotto industriale rispetto ad altri (Cass. V, n. 5068/2013). La vendita di prodotti con dicitura "CE" contraffatta integra il delitto di frode nell'esercizio del commercio e non il delitto di detenzione per la vendita di prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi contraffatti o alterati (art. 474, comma 2), atteso che siffatta dicitura non identifica un marchio propriamente detto, inteso come elemento, o segno, o logo, idoneo a distinguere un manufatto da un altro, ma assolve alla diversa funzione di garantire al consumatore la conformità del prodotto su cui è apposta ai livelli di qualità e di sicurezza previsti dalla normativa dell'Unione europea (Cass. II, n. 30026/2021). La fattispecie della truffa contrattuale ex art. 640 si distingue da quella della frode in commercio perché l'una si concretizza quando l'inganno perpetrato nei confronti della parte offesa sia stato determinante per la conclusione del contratto, mentre l'altra si perfeziona nel caso di consegna di una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita, ma sul presupposto di un vincolo contrattuale costituito liberamente senza il concorso di raggiri o artifici (Cass. III, n. 40271/2015). Il reato di frode nell'esercizio del commercio può concorrere con gli illeciti amministrativi di cui alla normativa in materia di pubblicità ingannevole di cui al d.lgs. n. 206/2005 (che ha sostituito il previgente d.lgs. n. 74/1992) atteso che quest'ultima opera su un piano e risponde ad una «ratio» diversi rispetto a quelli della fattispecie penale, sia per il più ampio campo di applicazione sia perché l'intervento sanzionatorio è previsto indipendentemente dal verificarsi della materiale consegna dell'«aliud pro alio», necessaria per la sussistenza del reato (Cass. III, n. 27105/2008). Il reato poi, si pone in relazione di concorso reale con la disposizione di cui all'art. 2 l. n. 586/1962, divieto di immissione al consumo di miscele di risi, sanzionata amministrativamente, atteso che quest'ultima è posta a garanzia della qualità dei prodotti e della salvaguardia della salute, mentre la disposizione codicistica tutela la correttezza e lealtà commerciale (Cass. III, n. 1356/2007). I reati di cui agli artt. 515 e 5 l. n. 283/1962si pongono in relazione di specialità reciproca e possono pertanto concorrere. Infatti il delitto viene commesso da chi pone in vendita sostanze alimentari non genuine come genuine, ovvero di qualità o quantità diverse da quella dichiarata o pattuita. La contravvenzione è commessa da chi impiega nella preparazione del prodotto sostanze private in parte dei propri elementi naturali o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale. Inoltre nel delitto è determinante la consegna all'acquirente o la messa in commercio, mentre nella contravvenzione si ha riguardo al fatto intrinseco della preparazione o della distribuzione per il consumo. Infatti il delitto ha come oggetto la tutela giuridica della correttezza del commercio, la contravvenzione la tutela della salute (Cass. III, n. 8507/1999). Il delitto di frode in commercio non viene assorbito, ma concorre con l'illecito amministrativo previsto dall'art. 44 l. n. 580/1967 sulla produzione di pasta alimentare di grano duro. Le due norme, infatti, riguardano due oggetti giuridici diversi, in quanto la norma di cui all'art. 515 tutela l'interesse degli acquirenti alla correttezza ed alla lealtà degli scambi commerciali, mentre le disposizioni della l. n. 580/1967 tutelano la salute pubblica e l'interesse pubblico alla regolarità nell'impiego di ingredienti destinati all'alimentazione (Cass. III, n. 11640/1998). In materia alimentare, la normativa speciale di cui all'art. 13 l. n. 283/1962, che tutela, in via amministrativa, la qualità del prodotto, concorre, nel caso di commercio come prodotti «d.o.p.» di alimenti privi delle necessarie caratteristiche, con le disposizioni incriminatici di cui agli artt. 515 e 517, finalizzate, invece, a tutelare il leale esercizio del commercio e l'interesse del consumatore (Cass. III, n. 20125/2009). CasisticaOlio extravergine Integra il reato la commercializzazione di bottiglie d'olio extravergine di oliva con etichetta recante una mendace indicazione in ordine all'azienda che ne ha curato la produzione e l'imbottigliamento, essendo tale dicitura idonea ad ingannare il consumatore sul reale ciclo produttivo della merce e, di conseguenza, sulla sua provenienza e qualità (Cass. III, n. 44072/2014). Integra il delitto di frode nell'esercizio del commercio la commercializzazione come olio "extra-vergine" di oliva di una miscela contenente anche olio "lampante", non potendo essere qualificato come "extra-vergine" un olio che non rispetti i requisiti analitici previsti dal Regolamento (CEE) n. 2568/1991 e, in specie, rispetto al quale sia superato anche solo il valore limite di 20 mg/kg previsto per i perossidi dalla normativa comunitaria (Cass. III, n. 50753/2023). La Suprema Corte, nello stabilire tale principio di diritto, ha rilevato che dall'allegato I del Regolamento n. 2568/91 emerge che, quanto al requisito del numero di perossidi, esso è stabilito in misura massima nella soglia di 20 mEq O2/kg (milliequivalenti di ossigeno attivo per Kg di olio) per gli oli vergine di oliva ed extra vergine, e nella misura massima di 5 mEq O2/kg per l'olio raffinato, di 15 mEq O2/kg per l'olio di oliva composto di oli di oliva raffinati e di oli di oliva vergini di 5 mEq O2/kg per l'olio di sansa di oliva raffinato e di 15 mEq O2/kg per l'olio di sansa di oliva. Pertanto, il mancato rispetto e quindi il superamento dei valori soglia dei perossidi per gli oli di oliva vergini, comporta il cambiamento di categoria del campione analizzato e quindi della partita di riferimento, pur rimanendo classificato in una delle sotto-categorie proprie degli oli di oliva vergini (il regolamento descrive una macro categoria degli oli di oliva vergini, al cui interno sono l'olio extra vergine di oliva, l'olio di oliva vergine, l'olio di oliva vergine corrente, l'olio di oliva vergine lampante). Marchio CE Integra il reato la consegna di merce (nella specie, occhiali da sole) recante la marcatura CE (indicativa della locuzione «China Export») apposta con caratteri tali da ingenerare nel consumatore la erronea convinzione che i prodotti rechino, invece, il marchio CE (Comunità Europea), poiché l'apposizione di quest'ultimo ha la funzione di certificare la conformità del prodotto ai requisiti essenziali di sicurezza e qualità previsti per la circolazione dei beni nel mercato europeo (Cass. III, n. 45916/2014). Integra il delitto di frode in commercio l'apposizione del marchio "CE" su prodotti rispetto ai quali l'operatore economico, al momento della messa in vendita, sia privo di documentazione attestante la "dichiarazione di conformità" del produttore o del fabbricante, trattandosi di cose di qualità diversa da quella dichiarata, posto che tale dichiarazione costituisce, ai sensi del Regolamento n. 765/2008/CE, una precondizione necessaria per la marcatura (Cass. III, n. 28704/2024 - Fattispecie relativa a lampade led non assistite da certificato di conformità alla direttiva UE 2014/30, in cui la Corte ha ritenuto irrilevante la produzione solo in sede giudiziaria dell'attestato, non rinvenuto all'atto della perquisizione). Erronea applicazione del bollo IT L'erronea applicazione del bollo IT o l'apposizione di un bollo IT di un altro produttore integra i presupposti del delitto di cui all'art. 515 c.p.. in quanto esso risulta mendace in ordine alla provenienza del bene, e, quindi, lede la correttezza nei rapporti commerciali, ingannando il consumatore e, al contempo, danneggiando l'effettivo produttore. Il Regolamento n. 853/2004/CE prevede, infatti, norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale, destinate agli operatori del settore alimentare. Dette norme integrano quelle previste dal regolamento (CE) n. 852/2004". Ai sensi dell'art. 4, comma 1, "Gli operatori del settore alimentare immettono sul mercato prodotti di origine animale fabbricati nella Comunità solo se sono stati preparati e manipolati esclusivamente in stabilimenti che: a) soddisfano i pertinenti requisiti di cui al regolamento (CE) n. 852/2004, agli allegati II e III del presente regolamento e altri pertinenti requisiti della legislazione alimentare; e b) sono registrati presso l'autorità competente o riconosciuti, qualora richiesto ai sensi del paragrafo 2". Il comma 2 stabilisce che "gli stabilimenti che trattano i prodotti di origine animale per i quali sono previsti requisiti ai sensi dell'allegato III del presente regolamento possono operare solo se l'autorità competente li ha riconosciuti a norma del paragrafo 3 del presente articolo", salvo talune puntualmente previste. L'art. 5, comma 1, stabilisce che "Gli operatori del settore alimentare immettono sul mercato un prodotto di origine animale manipolato in uno stabilimento soggetto al riconoscimento a norma dell'articolo 4, paragrafo 2, solo se questo è contrassegnato: a) da un bollo sanitario apposto ai sensi del regolamento (CE) n. 854/2004; o b) qualora tale regolamento non preveda l'applicazione di un bollo sanitario, da un marchio di identificazione apposto ai sensi dell'allegato II, sezione I, del presente regolamento". Il successivo comma 2 prevede che "gli operatori del settore alimentare possono applicare un marchio di identificazione a un prodotto di origine animale solo se esso è stato prodotto ai sensi del presente regolamento in stabilimenti che soddisfano i requisiti di cui all'articolo 4". Il legislatore ha stabilito che gli stabilimenti di produzione di alimenti di origine animale possano operare solo se, oltre ai requisiti igienico-sanitari "di base" previsti dal Regolamento CE 852/2004, rispettano anche quelli aggiuntivi fissati dal Regolamento CE 853/2004; tale scelta è determinata dalla constatazione che i prodotti di origine animale possono presentare rischi specifici per la salute dei consumatori. Se l'azienda rispetta i requisiti richiesti, le viene attribuito un codice identificativo univoco (Bollo CE) e viene inserita in speciali elenchi dell'Unione Europea. Tale codice svolge una duplice funzione: mediante la sigla CE garantisce il rispetto dei pertinenti requisiti di cui al regolamento (CE) n. 852/2004, e attraverso un codice alfanumerico, individua uno specifico produttore. Tale norma, quindi, non tutela solo il compratore ma anche l'interesse del produttore Mozzarella di bufala Il reato, per le condotte antecedenti al 30 giugno 2013, non è integrato dalla immissione sul mercato del prodotto Dop denominato «mozzarella di bufala campana», che sia stata realizzata in caseifici non dedicati esclusivamente a tale produzione o all'interno di stabilimenti nei quali siano detenute anche materie prime e cagliate diverse da quelle idonee alla lavorazione del predetto alimento, in quanto l'art. 1 del D.M. 10 aprile 2013, che ha stabilito la separazione degli stabilimenti destinati alla produzione della mozzarella di bufala Dop da quelli in cui ha luogo la preparazione di altri formaggi non è applicabile ai fatti posti in essere in epoca antecedente alla sua entrata in vigore (Cass. III, n. 37755/2014). Prosciutto In tema di tutela degli alimenti, la consegna di un tipo di prosciutto diverso da quello indicato nell'etichetta e protetto da denominazione di origine integra il reato previsto dall'art. 515 e 517 bis che, avendo per oggetto la tutela del leale esercizio del commercio, protegge sia l'interesse del consumatore a non ricevere una cosa differente da quella richiesta, sia quello del produttore a non vedere i propri articoli scambiati surrettiziamente con prodotti diversi. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto la configurabilità del reato nell'ipotesi di confezioni riportanti sull'etichetta le denominazioni «Prosciutto di Parma» e "Prosciutto San Daniele, sebbene le attività di affettamento del prodotto fossero avvenute con modalità diverse da quelle previste nel Disciplinare D.O.P.) (Cass. III, n. 2617/2014). Integra l'illecito amministrativo di cui all'art. 6, comma 5, d.lgs. 6 novembre 2007, n. 193, e non il delitto di frode in commercio, la condotta di chi detiene per la vendita prosciutti conservati, durante la fase di stagionatura, in sale sottoposte a trattamenti di disinfestazione eseguiti con insetticidi nebulizzati, il cui utilizzo è vietato con riguardo agli alimenti (Cass. III, n. 15117/2024). Frazionamento in porzioni Non integra il delitto di frode in commercio la consegna di prodotti privi del marchio originale in seguito al frazionamento in porzioni di quello iniziale regolarmente marchiato, ancorché eseguito in violazione della normativa concernente il frazionamento e il confezionamento di beni marchiati. (Fattispecie relativa alla vendita di tranci di altrettanti prosciutti di origine conforme a quella attestata in etichetta e regolarmente marchiati «Parma») (Cass. V, n. 3214/2012). Prodotto distillato E' configurabile il reato di cui all'art. 515 anche nel caso di vendita di una sola bottiglia di prodotto distillato recante sull'etichetta una gradazione alcolica superiore rispetto a quella accertata, essendo estensibile lo scarto di gradazione all'intero lotto di bottiglie in ragione della produzione seriale, tale da escludere l'alterazione del contenuto di una sola bottiglia. (Fattispecie di vendita di sambuca con gradazione alcolica di 36°, difforme da quella dichiarata sull'etichetta pari a 38°) (Cass. III, n. 19992/2008). Medico odontoiatra Non si configura il delitto di frode nell'esercizio del commercio nei riguardi del medico odontoiatra che impianta sul paziente una protesi dentaria di origine e qualità diverse da quelle dichiarate, in quanto lo svolgimento dell’attività medica, a differenza delle attività commerciali, connaturate dalla causa di scambio di merci o servizi verso un corrispettivo, si caratterizza per il fine di cura dei pazienti e di salvaguardia della loro salute (Cass. III, n. 39055/2017). Azienda di grandi dimensioni Nelle aziende di notevoli dimensioni, i titolari (amministratori o legali rappresentanti), in mancanza di effettiva delega di funzioni a determinati soggetti, rispondono del reato di frode in commercio, essendo tenuti ad osservare e far osservare tutte le disposizioni imperative concernenti gli aspetti dell’attività aziendale. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato senza rinvio la condanna nei confronti dell'amministratore della società, rilevando come la sentenza impugnata avesse omesso il necessario accertamento sulle dimensioni dell'azienda e sull'esistenza di una delega effettiva di funzioni nei confronti del preposto, già condannato in concorso con l'imputato) (Cass. III, n. 35159/2017). Casistica sul tentativoAlimenti congelati o surgelati Ai fini dell'integrazione del reato di tentativo di frode in commercio, nell'ipotesi in cui siano detenuti per la somministrazione alimenti congelati o surgelati all'interno di una pasticceria senza che sia indicata tale caratteristica, è irrilevante che tali trattamenti avvengano in fase di lavorazione ovvero a prodotto finito, posto che non è oggetto di contestazione il procedimento produttivo o di conservazione degli alimenti, ma la mancanza di adeguata informazione ai consumatori, ai quali i prodotti dolciari vengano presentati come freschi (Cass. III, n. 899/2016). La detenzione di alimenti congelati o surgelati all'interno di un ristorante, senza che nella lista delle vivande sia indicata tale caratteristica, integra il reato di tentativo di frode in commercio, trattandosi di condotta univocamente idonea a consegnare ai clienti un prodotto diverso, per qualità, da quello dichiarato (Cass. III, n. 5474/2014; Cass. III, n. 30173/17; Cass. III, n. 39082/2017). La disponibilità nelle cucine di un ristorante di alimenti surgelati non indicati come tali nel menu perfeziona il tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall'inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore, mentre la condotta del ristoratore che, a seguito della richiesta del cliente, rifiuti di consegnare il prodotto congelato, può rilevare quale desistenza (Cass. III, n. 44643/2013; si veda anche Cass. III, n. 30173/2017). Giocattoli Integra il tentativo di frode nell'esercizio del commercio l'esposizione di giocattoli non regolamentari (nella specie, veicoli elettrici a batteria sui quali risultava indebitamente apposto il marchio CE) presso un negozio destinato all'esercizio dell'attività di vendita degli stessi, trattandosi di condotta che, per il luogo di esposizione della merce, si risolve in un'offerta al pubblico costituente concreta proposta contrattuale (Cass. III, n. 44340/2015). Marchio CE Integra il tentativo in quanto condotta idonea e diretta in modo non equivoco alla alienazione della merce ai potenziali acquirenti, anche la semplice offerta in vendita o la cessione a titolo gratuito di un prodotto privo di valido marchio CE a fronte dell'acquisto di articoli di altro settore merceologico, trattandosi comunque di un bene con caratteristiche non conformi ai requisiti essenziali di sicurezza e qualità previsti per la circolazione dei beni nel mercato europeo (Cass. III, n. 1980/2015). L'esposizione per la vendita al pubblico di giocattoli con un marchio CE, acronimo di China Export, differente da quello CE (Comunità Europea) per la sola impercettibile diversa distanza tra le due lettere, integra il tentativo del reato di frode nell'esercizio del commercio di cui all'art. 515 c.p., in quanto la marcatura europea non solo consente la libera circolazione del prodotto nel mercato comunitario, ma, attestando la conformità del bene agli standard europei, costituisce anche una garanzia della qualità e della sicurezza di ciò che si acquista (Cass. III, n. 43622/2018). La mancata consegna da parte di colui che pone in vendita prodotti che recano il marchio CE, nel corso di un controllo, della documentazione che attesta la regolarità dell'apposizione di tale marchio, integrando l'omissione di una condotta richiesta agli operatori economici, costituisce un comportamento significativo, in assenza di elementi contrari, della irregolarità dell'apposizione, non comportando un'inammissibile inversione dell'onere della prova della sussistenza del reato di tentativo di frode nell'esercizio del commercio di cui all'art. 515 (Cass. III, n. 2617/2014). Minimotociclette Integra il tentativo di frode in commercio l'immissione sul mercato di «minimotociclette» aventi qualità diverse da quelle prescritte perché non conformi ai requisiti essenziali di sicurezza o prive di valida marcatura CE, in quanto per le loro intrinseche caratteristiche di funzionamento tali prodotti sono da qualificarsi come «macchine» sottoposte, con riguardo agli «standard» di sicurezza, alla disciplina prevista dalla Direttiva 2006/42/CE del 17 maggio 2006 (recepita con d.lgs. n. 17 del 27 gennaio 2010) (Cass. III, n. 1980/2015). Prodotti finiti Integra il tentativo la detenzione, presso il magazzino di prodotti finiti dell'impresa di produzione, di prodotti alimentari con false indicazioni di provenienza, destinati non al consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi. (In motivazione la Corte, in una fattispecie in cui il prodotto alimentare risultava confezionato in uno stabilimento diverso da quello indicato sulle etichette, ha escluso la sussistenza del rapporto di specialità tra il delitto di cui all'art. 515 e la fattispecie, sanzionata amministrativamente, di cui all'art. 2, d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109) (Cass. III, n. 22313/2011). Profili processualiFrode nell'esercizio del commercio è un reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale monocratico: a) Non sono consentiti l'arresto in flagranza e il fermo; b) tra le altre misure cautelari personali, è consentito solo il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali. Si applica la pena accessoria della pubblicazione della sentenza prevista dall'art. 518. Alle persone offese dal reato cioè il produttore della merce surrettiziamente scambiata e l'acquirente-consumatore della stessa, è riconosciuta la legittimazione all'opposizione alla richiesta di archiviazione (Cass. I, n. 5588/2008). BibliografiaBerenini, Delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio: Titolo VIII del libro II del Codice penale, Milano, 1937; di Amato, Codice di diritto penale delle imprese e delle società, Milano, 2011; Guariniello, Codice della sicurezza degli alimenti, Milano, 2015. |