Codice Penale art. 579 - Omicidio del consenziente.

Maria Teresa Trapasso

Omicidio del consenziente.

[I]. Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui [50], è punito con la reclusione da sei a quindici anni (1).

[II]. Non si applicano le aggravanti indicate nell'articolo 61.

[III]. Si applicano le disposizioni relative all'omicidio [575-577] se il fatto è commesso:

1) contro una persona minore degli anni diciotto [580 2];

2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti [580 2];

3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno [613 2].

(1) V. per un'ipotesi di aumento di pena, art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104.

competenza: Corte d'Assise; Tribunale collegiale (tentativo)

arresto: facoltativo (primo comma); obbligatorio (terzo comma)

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

La fattispecie, benché riaffermi il principio di indisponibilità del bene della vita, tuttavia, prevedendo una responsabilità attenuata, rispetto alla fattispecie di cui all'art. 575 cp, per chi cagioni la morte di un uomo col consenso di questi, dimostra di riconoscere il rilievo che il consenso esercita sulla valutazione della colpevolezza del soggetto attivo (Antolisei, PS, 64; Fiandaca-Musco, 36; la soluzione adottata con il codice Rocco attraverso l'incriminazione dell'omicidio del consenziente, è tuttavia significativa di una preclusione severa e incondizionata contro l'eutanasia attiva, anche volontaria, Pulitanò, 66).

Soggetti

Si tratta di un reato comune, che può essere commesso da chiunque.

L'incapacità del soggetto passivo di prestare un valido consenso (in quanto minore o infermo di mente) determina l'applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 575-577 ( v. infra).

Materialità

La condotta consiste nel cagionare la morte di un uomo con il suo consenso. In dottrina si è qualificata la condotta come un “suicidio per mano altrui”: la volontà, infatti, è della stessa vittima, mentre il consenso è un fattore determinante per il soggetto attivo della condotta (nel senso che se non fosse stato prestato, l'agente non si sarebbe determinato alla condotta, Mantovani, 119).

Consenso

Il consenso rappresenta pertanto l'elemento specializzante rispetto alla fattispecie di omicidio di cui all'art. 57. L'indisponibilità del bene della vita impedisce il richiamo al consenso scriminante di cui all'art. 5.

Perché sia efficace, il consenso deve essere espresso da persona capace (non minore degli anni diciotto e non in condizioni di infermità di mente o deficienza psichica- per altra infermità, per abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti — ex art. 579, comma 3), attraverso una manifestazione di volontà libera, cioè immune da violenza, minaccia, inganno (Mantovani, 119).

Non si richiede che il consenso sia espresso secondo modalità predeterminate; è pertanto ammissibile anche il consenso tacito, a patto che sia desumibile in modo inequivoco dal contegno del soggetto (Antolisei, PS, 64).

Secondo la giurisprudenza il consenso deve essere: serio, esplicito, non equivoco (Cass. I, n. 32851/ 2008).

Il consenso deve essere attuale, cioè persistente al momento della condotta (in tal senso la S.C., la quale ha affermato la necessità che sia perdurante anche sino al momento in cui il colpevole commette il fatto (Cass. I, n. 32851/2008).

Nel senso appena riferito, anche la dottrina (Mantovani, 120; un lasso di tempo troppo ampio tra la manifestazione del consenso e la realizzazione della condotta di omicidio impone un nuovo accertamento della volontà della vittima, Dolcini-Gatta, 2921.

Il consenso è revocabile in ogni momento. Nel caso in cui intervenga prima della condotta di omicidio, la revoca determinerà l'applicazione delle fattispecie di omicidio comune. La revoca sopravvenuta alla realizzazione della condotta (ma prima del prodursi della morte), viene ritenuta irrilevante da autorevole dottrina (rilevando eventualmente solo ai fini della commisurazione della pena, Mantovani, 120).

Laddove il consenso sia condizionato a determinate modalità esecutive del cagionare la morte, la realizzazione della condotta con mezzi e modalità diverse determina l'applicazione del delitto di omicidio comune (Antolisei, PS, 64).

Eutanasia passiva

La rilevanza penale dell'eutanasia passiva, o mediante omissione, riguarda soltanto i soggetti titolari della posizione di garanzia rilevanti ex art. 40, comma 2.

Per quanto concerne la qualificazione della condotta del medico che non pratichi (o interrompa) il trattamento terapeutico rifiutato dal paziente, gli orientamenti interpretativi (per un quadro, in dottrina, Dolcini-Gatta, 2922 s.) si dividono tra coloro che ritengono il fatto scriminato dall' “adempimento del dovere”, ex art. 51 e coloro che invece individuano nel dissenso del paziente l'elemento che elide l'obbligo giuridico del medico (nel primo senso la sentenza che ha deciso il “caso Welby”, G.u.p., Roma, 23 luglio 2007, Riccio, Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 437; nel secondo, il provvedimento di archiviazione, Pr. Sassari, 23 gennaio 2008, cit. in Gatta, 2925, che ha deciso il “caso Nuvoli”).

L' interruzione di trattamento medico di sostegno vitale su paziente incosciente del quale si conosca la volontà espressa in precedenza di rifiutare la predetta tipologia di cura, è un fatto lecito. (Cass. civ. I, n. 21748/ 2007, nel noto “caso Englaro”).

Eutanasia attiva

La somministrazione da parte del medico di un terapia che cagioni (o acceleri) la morte del paziente che vi consente, configura il delitto di cui all'art. 579 (l'omicidio del consenziente viene ritenuto un aspetto della questione dell'“eutanasia volontaria”, Pulitanò, 65; si è tuttavia rilevato come la condizione di infermità di mente, sovente ricorrente nei malati terminali che richiedono la morte, integrando una delle condizioni di invalidità del consenso descritto dal comma 3 dell'art. 579, ne impedirebbe l'operatività, così da trovare applicazione la fattispecie dell'omicidio comune di cui all'art. 575 cp, Fiandaca-Musco, PS, 39).

È altresì sempre vietato il c.d. accanimento terapeutico, consistente in trattamenti da cui non può fondatamente attendersi un beneficio del paziente (art. 36 Codice di deontologia medica; quanto alle cure palliative, quelle cioè volte ad alleviare la sofferenza, si ritiene che esse non integrino il delitto di cui all'art. 579, in quanto non concorrono alla causazione della morte: nel caso in cui abbiano anticipato la morte, si profila per il medico un conflitto di doveri tra non accelerare la morte e rendere meno dolorosa la malattia, Dolcini-Gatta, 2926).

Elemento psicologico

Il delitto è doloso; il dolo, generico, deve avere ad oggetto la rappresentazione e volontà del cagionare la morte di un uomo con il suo consenso (Mantovani, 121).

L'erronea rappresentazione dell'esistenza del consenso (mai prestato o revocato), registra soluzioni diverse: mentre una parte della dottrina ritiene debba trovare applicazione l'art. 579 (motivando, taluni, sulla base dell'art. 47; altri, sul rilievo secondo il quale il dolo dell'omicidio del consenziente non ricomprende quello del reato più grave di omicidio; altri ancora richiamando l'interpretazione analogica dell'art. 59, comma 4); altro orientamento afferma doversi applicarsi il delitto di cui all'art. 575 (per un quadro delle prospettazione interpretative, Dolcini-Gatta, 2927; medesime alternative interpretative vengono riproposte nel caso in cui il soggetto uccida la vittima ignorando che essa avesse prestato il consenso).

La giurisprudenza ha affermato come, nel caso di errore sulla sussistenza del consenso – elemento costitutivo del reato – trovi applicazione l'art. 47, in base al quale l'errore sul fatto che costituisce un determinato reato, non esclude la punibilità per un reato diverso, nel caso di specie individuabile nell'omicidio volontario (Cass. I, n. 12928/ 2015, in tale sede si è precisato come il consenso scriminante,di cui all'art. 50 non corrisponda al consenso richiesto dall'art. 579, incidente sulla tipicità del fatto e non quale causa di giustificazione).

Consumazione e tentativo

Si tratta di un delitto che si consuma nel momento del verificarsi della morte del soggetto passivo.

Il tentativo è configurabile.

Forme di manifestazione

Secondo l'art. 579, comma 1, non trovano applicazione le circostanze aggravanti di cui all'art. 61 (ciò viene spiegato in dottrina con il giudizio di prevalenza dell'efficacia attenuatrice del consenso rispetto all'eventuale presenza di elementi di gravità del fatto, Fiandaca-Musco, 42; Mantovani, 121).

Il consenso invalido, per incapacità del soggetto passivo di prestarlo (minore degli anni diciotto, da persona inferma di mente o in stato di deficienza psichica, per altra infermità o per abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti), o perché viziato (in quanto estorto dal colpevole con violenza, minaccia, suggestione o inganno), determina l'applicazione del più grave regime sanzionatorio previsto dalle disposizioni sull'omicidio di cui agli artt. 575-577.

L'assenza di una valutazione generale positiva, da un punto di vista etico-morale, sul tema dell'eutanasia, quale fattore condizionante la qualificazione del motivo come di “particolare valore morale e sociale” — rilevante ai fini dell'applicazione dell'attenuante dell'art. 62 n. 1 — ne impedisce l'applicazione nei casi di condotta sussumibile nello schema di cui all'art. 579 (Cass. I, n. 2509/1989).

Nel caso in cui il soggetto passivo sia una persona handicappata, trova applicazione l'aggravante di cui all'art. 36 l. n. 104/1992.

Rapporti con altri reati

Quanto al rapporto con la fattispecie di istigazione al suicidio (art. 580), la distinzione è stata ravvisata nella partecipazione o meno del soggetto attivo all'azione esecutiva: solo per l'ipotesi di cui all'art. 579 il colpevole vi deve prendere parte. Si avrà pertanto omicidio del consenziente nel caso in cui colui che provoca la morte si sostituisca in pratica all'aspirante suicida, seppure con il consenso di questi, sia sul piano della esecuzione materiale che su quella della generica determinazione volitiva; ricorre invece l'istigazione al suicidio tutte le volte in cui la vittima abbia conservato il dominio dell'azione, nonostante la presenza di una condotta di determinazione o aiuto alla realizzazione del suo proposito e lo abbia realizzato, anche materialmente, di mano propria (Cass. I, n. 3147/1998).

Si configura il delitto di omicidio tutte le volte in cui la manifestazione di volontà del consenziente debba ritenersi viziata (per presunzione legale o per accertamento di fatto, Cass. I, n. 2501/ 1989).

Casistica

È configurabile il delitto di omicidio volontario e non l'omicidio del consenziente, nel caso in cui manchi una prova univoca, chiara e convincente della volontà di morire manifestata dalla vittima, dovendosi in tal caso riconoscersi assoluta prevalenza al diritto alla vita, quale diritto personalissimo che non attribuisce ai terzi il potere di disporre anche in base alla propria percezione della qualità della vita, dell'integrità fisica altrui (Cass. I, n. 43594/2010), si v. pure Cass. I, n. 747/2019, i n cui la S.C. ha ritenuto che correttamente i giudici di merito avessero qualificato come omicidio doloso, e non come omicidio del consenziente, la condotta dell'imputato che, con un grosso coltello da cucina, aveva inferto plurimi fendenti mortali alla moglie gravemente malata, non risultando che questa, durante la fase di lucidità, riconducibile ad epoca remota della progressione della malattia, avesse espresso una scelta certa di voler essere uccisa per porre fine alle proprie sofferenze ).

Non risponde del delitto di omicidio del consenziente il medico che interrompa il funzionamento del respiratore artificiale, di cui il paziente, affetto da grave distrofia muscolare, aveva chiesto lo spegnimento, sebbene indispensabile per la sua sopravvivenza, in quanto il fatto è scriminato dall'adempimento del dovere di rispettare la volontà del paziente (G.u.p. Roma, 23 luglio 2007, Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 437).

È responsabile di omicidio comune e non di omicidio del consenziente colui che uccide un amico, per il quale la vita costituiva una condizione tormentosa ed angosciante, che tuttavia non aveva né espressamente richiesto, né allusivamente fatto intendere di volerla far cessare in quel contesto (Cass. I, n. 8128/1992).

Profili processuali

Il delitto è procedibile d'ufficio; la competenza è della Corte d'Assise; nel caso di tentativo, il Tribunale collegiale.

Il fermo è consentito; l'arresto è facoltativo, per le ipotesi di cui al primo comma; obbligatorio, per i casi di cui al comma 3.

È consentita sia la custodia cautelare, che le altre misure cautelari.

Bibliografia

Bartoli, Ragionevolezza e offensività nel sindacato di costituzionalità dell’aiuto al suicidio, in penalecontemporaneo.it, 8 ottobre 2018; Cornacchia, Profili giuridico-penali del rifiuto di cure, in Riv. it. med. leg., 2014, p. 529; Cupelli, La disattivazione di un sostegno artificiale tra agire ed omettere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 1145; M.L. D’Andria, Art. 578, in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di Lattanzi G., Lupo E., Milano, 2010; Dolcini-Gatta, Art. 579, in Codice penale commentato, a cura di Dolcini-Gatta, II, Milano, 2015; Fiandaca, Il diritto di morire tra paternalismo e liberalismo penale, in Foro it., 2009, 227; Giunta, Diritto di morire e diritto penale. I termini di una relazione problematica, in Riv. it. dir. proc. pen. 1997, 74; Magro, Eutanasia e diritto penale, Torino, 2001; Mantovani, Aspetti giuridici dell’eutanasia, in Riv. it. dir. proc. pen.,1988, p. 448; Mantovani, Diritto penale, p.s., Delitti contro la persona, Torino, 2013; Mantovani, Suicidio assistito: aiuto al suicidio o omicidio del consenziente, in Iustitia, 2017, 123; D. Pulitanò, L’omicidio, in D.Pulitanò, Diritto penale, Parte speciale, I, Tutela penale della persona, Torino, 2014, 65; F. Ramacci, I delitti di omicidio, Torino, 1997; Viganò, Decisioni mediche di fine vita e “attivismo giudiziale”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1594.

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