Codice Penale art. 603 bis - Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro 1 2[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque: 1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; 2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno3. [II]. Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. [III]. Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni: 1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti. [IV]. Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà: 1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre; 2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa; 3) l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro
competenza: Trib. monocratico (udienza prelim. 1° e 2° comma); Trib. collegiale (4° comma) arresto: facoltativo (1° comma); obbligatorio in flagranza (2° comma) fermo: non consentito (1° comma); consentito (2° comma) custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio [1] Articolo inserito dall'art. 12 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. con modif., in l. 14 settembre 2011, n. 148 e successivamente così sostituito dall'art. 1, comma 1, della l. 29 ottobre 2016, n. 199. Il testo precedente era il seguente: «Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. - [I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un'attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. [II]. Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze: 1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) la sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti. [III]. Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà: 1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre; 2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa; 3) l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.» [2] V. quanto disposto dagli artt. 11, 12, 13 e 14 della l. 7 luglio 2016, n. 122 (Legge europea 2015-2016) e dall'art. 3 l. n. 199, cit. [3] V. l'art. 103, comma 14, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. con modif. in l. 17 luglio 2020, n. 77, ai sensi del quale quando i fatti di cui al presente art. 603-bis c.p. sono commessi ai danni di stranieri che hanno presentato l'istanza di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo di cui al comma 2 dell'art. 103, la pena prevista al primo comma dello stesso art. 603-bis è aumentata da un terzo alla metà. InquadramentoIl delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro è stato introdotto nel codice penale dal d.l. 13 agosto 2011 n. 138, conv. con modif. nella l. 14 settembre 2011 n. 148 per fornire di una tutela più pregnante la posizione del lavoratore da forme di sfruttamento di natura economica, ma anche rispetto a trattamenti degradanti tesi a svilirne la dignità allo scopo di massimizzarne la redditività. Si trattava, in particolare, di colpire il redivivo fenomeno del caporalato, nuovamente irrobustitosi a seguito dei flussi migratori dei lavoratori extracomunitari, rispetto al quale il tradizionale assetto sanzionatorio — fatto delle contravvenzioni previste da leggi speciali, quanto agli aspetti strettamente lavoristici, e delle tradizionali norme del codice penale a tutela della persona — non si era mostrato adeguato.La norma è stata riformulata con la l. 199/2016, entrata in vigore il 4 novembre 2016, con l’intento di ampliare lo spettro punitivo, sia sfrondando la disposizione da alcuni dei requisiti previsti, sia prevedendo la punibilità anche del datore di lavoro che sfrutti i lavoratori SoggettiSoggetto attivo L'intermediazione illecita è un reato comune, che può essere commesso da «chiunque»; non è corretto ritenerlo reato proprio dell'intermediario, giacché la qualifica suddetta non preesiste rispetto alla commissione del fatto. L'intermediario può essere sia un soggetto totalmente abusivo, sia un operatore ufficiale nell'ambito dell'attuale sistema del collocamento di manodopera (Relazione Massimario, cit.) che si occupa di intermediazione intesa ai sensi dell'art. 2 d. lgs. n. 276/2003. Nella formulazione anteriore all’entrata in vigore della l. n. 199/2016, si trattava di reato plurisoggettivo improprio, perché richiedeva il coinvolgimento di almeno due soggetti, l'intermediario e l'utilizzatore del lavoro, cioè il datore di lavoro che si avvaleva dei servigi dell'intermediario. Tuttavia solo il primo era punibile ex art. 603-bis, mentre l'utilizzatore - salvo che non fosse l’istigatore della condotta dell’intermediario - poteva eventualmente rispondere dei reati legati alle condizioni di lavoro imposte al lavoratore ovvero di riduzione in schiavitù o di reati contro la persona del dipendente (Mantovani, 2013, 297). Dal 4 novembre 2016 il datore di lavoro viene sanzionato espressamente come sancito al punto 2) del co. 1; ciò nonostante, mutuando lo stesso principio sopra enunciato rispetto all’intermediatore, anche questa nuova fattispecie potrebbe essere ritenuta comunque un reato comune, in quanto il rapporto di dipendenza lavorativa non precede la condotta, ma ne costituisce (laddove caratterizzato da modalità sfruttatrici ed approfittatrici) proprio l’estrinsecazione. MaterialitàCondotta in generale Il reato era un delitto a più fattispecie, siccome strutturato su distinte condotte tipiche. a) L’ intermediazione-reclutamento, che consisteva 1) in un minimo di organizzazione, ancorché non imprenditoriale, che consentisse un’attività di carattere non occasionale; 2) in un’attività di intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro; 3) nel reclutamento di mano d’opera. b) L’ intermediazione-organizzazione, che consisteva nell’organizzazione di attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento. Entrambe le fattispecie — come si desume dal fatto che la specificazione delle condotte di cui sopra era inserita in un inciso che poi lasciava spazio al profilo modale — erano integrate solo allorché l'autore agisse secondo determinate modalità, vale a dire, alternativamente, mediante violenza, minaccia, intimidazione, altresì approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori. Per le prime due non vi erano particolari questioni definitorie, mentre l'intimidazione andava intesa, secondo la dottrina (Mantovani, 2013, 300), come una soggezione frutto non già di una minaccia espressa, ma di una situazione di coartazione ambientale legata alle prassi invalse nell'ambiente o alla vis che promanava dall'appartenenza del caporale ad organizzazioni criminali. Secondo la giurisprudenza (Cass. V, n. 14591/2014), l’intimidazione evocava l’effetto di qualunque condotta palese, ma anche implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, purché idonea, in relazione alle circostanze concrete ed ambientali, alla personalità dell’agente ed alle condizioni soggettive della vittima, ad incutere timore ed a coartare la volontà della p.o.. Il reato ex art. 603-bis, sub specie di intermediazione, non presupponeva necessariamente una forma associata, giacché il riferimento normativo all'attività organizzata integrava un requisito modale della condotta, la quale doveva svolgersi in modo non occasionale, ma attraverso una strutturazione che comportasse l’impiego di mezzi (Cass. V, n. 6788/2017). Contra, Nazzaro, cit. L’approfittamento dello stato di bisogno o di necessità sembrava condizione richiesta non alternativamente ma congiuntamente alle altre connotazioni modali della condotta. La situazione di necessità costituiva una condizione di bisogno particolarmente pesante e non coincideva con il concetto di cui all’art. 54, giacché richiamava una situazione meno intensa e cogente, riferibile al concetto di vulnerabilità di cui si è detto sub art. 600, come qualsiasi situazione di debolezza e di mancanza materiale o morale che fosse idonea a condizionare le scelte del singolo (Marino, cit.). Nel nuovo testo sono previste due condotte distinte, commesse da chi: 1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; 2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1, sfruttando i lavoratori ed approfittando del loro stato di bisogno. Dal 4 novembre 2016 sono quindi sanzionate sia la condotta dell'intermediario - il caporale in senso proprio – sia quella del datore di lavoro - quest'ultimo sia che utilizzi sia che non utilizzi manodopera fornita dal primo - quando essi, reclutino, destinino ovvero utilizzino lavoratori sfruttati, approfittando del loro stato di bisogno. E' venuta meno, invece, la figura dell'intermediario-organizzatore. La punibilità del datore di lavoro non dipende dalla formalizzazione del rapporto di lavoro, che può anche essere - e nella pratica facilmente sarà - non ufficiale (De Santis, cit.) La norma-base si è semplificata perché non è più richiesto, per l’intermediario, che l’attività sia organizzata, non sono più richieste né violenza, né minaccia, né intimidazione ed è stato eliminato il riferimento allo stato di necessità, in quanto concetto ricompreso nella più ampia nozione di stato di bisogno. Per la definizione di stato di bisogno, la dottrina ha richiamato il concetto di cui all'art. 644, co. 5, n. 3, c.p. e, nel diritto civile, quello attinente alla rescissione del contratto ai sensi dell'art. 1448 c.c. (De Santis, cit.) In giurisprudenza si è sostenuto che lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose (Cass. IV, n. 24441/2021). Secondo Cass. IV, n. 7861/2022, non realizza le condizioni di sfruttamento l'assunzione di una persona in stato di bisogno, ove sia assicurato il rispetto delle prerogative retributive ed orarie del lavoratore e sia garantita la sua sicurezza nel luogo di lavoro. La violenza e la minaccia sono state, invece, previste quali connotazioni della condotta (co. 2) che determinano una pena più grave che è pari a quella prevista per la fattispecie base nel testo in vigore fino al 3 novembre 2016; sembra che tale previsione non disciplini un'aggravante, ma un’autonoma ipotesi di reato, come evincibile dai lavori preparatori e dalla circostanza che le aggravanti speciali hanno una collocazione diversa, essendo tutte contemplate dal co. 4 dell’articolo in commento (contra, in dottrina, Nazzaro, cit.). Lo sfruttamento Rispetto al testo previgente, va ricordato che autorevole dottrina (Mantovani, 2013, 297) aveva segnalato come, secondo un'interpretazione letterale della norma, lo sfruttamento del lavoratore sembrasse richiesto solo con riferimento alla fattispecie sub (b) (quella dell'organizzazione) e non già per l'altra (quella del reclutamento), ma come, nella sostanza, la situazione fosse diversa. Sarebbe stato invero difficile immaginare un'attività organizzata di reclutamento, attuata secondo le modalità di cui sopra, senza che l'intermediario ne ricavasse alcuna utilità economica percependola dall'utilizzatore ovvero dal lavoratore, nel primo caso pagandone comunque il prezzo quest'ultimo in termini di condizioni di lavoro e trattamento retributivo inadeguato, id est, di sfruttamento. Non solo. Se il reclutamento avesse potuto prescindere dallo sfruttamento del lavoratore, l'equiparazione sanzionatoria tra la fattispecie sub a) e quella sub b) sarebbe stata del tutto irragionevole. La nuova formulazione ha eliminato tali dubbi interpretativi, in quanto lo sfruttamento è connotazione tipica di entrambe le figure. Secondo Cass. V, n. 7891/2018 non è richiesta una finalità di lucro. Lo sfruttamento, sia nella vecchia che nella nuova formulazione della norma, è ancorato ad almeno uno degli indici, previsti in via disgiuntiva (Cass. V n. 17939/2018, annotata da Fiandanese, cit.) ed anch'essi rimaneggiati dalla l. n. 199/2016. Eccoli: a) nel testo previgente, era necessario che la retribuzione fosse sistematicamente e palesemente difforme rispetto a quanto previsto nei contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionata rispetto alla quantità o qualità del lavoro prestato. Per “retribuzione” deve intendersi il trattamento economico complessivo erogato in ragione dell'attività lavorativa e inclusivo di tutti gli istituti retributivi diretti e indiretti, monetari o in natura (De Santis , cit.) Nel testo oggi in vigore, fermo restando che la difformità rispetto ai contratti collettivi ovvero la sproporzione devono essere palesi, non occorre più che ess siano sistematiche, ma è sufficiente che siano reiterate, aggettivo quest’ultimo che richiama condotte meno “strutturali”, cioè portate avanti per un certo lasso di tempo ancorché non caratterizzanti sempre e comunque il rapporto di lavoro (v. Nazzaro, cit.). Secondo Cass. IV, n. 45615/2021, la reiterazione delle condotte di cui all'art. 603-bis, comma 3, nn. 1 e 2, è da intendersi riferita ad ogni singolo lavoratore, e non alla sommatoria di comportamenti episodici in danno di lavoratori diversi, in quanto oggetto di tutela non è un bene collettivo, ma la dignità della singola persona. La difformità rispetto ai contratti collettivi rileva oggi anche per quelli territoriali e non solo nazionali, sempre che gli uni e gli altri siano stati stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale. b) Nel testo previgente, la normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria ed alle ferie doveva essere sistematicamente violata. Anche in questo caso non rileva la violazione episodica. Oggi è sufficiente che la violazione sia reiterata. c) Nel testo previgente, dovevano sussistere violazioni della normativa in materia di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro, tali da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza e l'incolumità personale. In questo caso non era richiesta la sistematicità, ma l'esposizione effettiva a pericolo del prestatore d'opera. Nel testo attuale è sufficiente, ad integrare lo sfruttamento, l'esistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro, ancorché non foriere di pericoli ed ancorché, oggi come ieri, non sistematiche o reiterate; l'utilizzo del plurale <<violazioni>> in entrambe le formulazioni lascia tuttavia ritenere che non possa trattarsi di violazione unica. d) Nel testo previgente, il lavoratore doveva essere sottoposto a condizioni di lavoro, di sorveglianza od alloggiative particolarmente degradanti. L'attuale dettato vede espunto l'avverbio <<particolarmente>>, con il conseguente ampliamento delle situazioni in cui la norma opera. Anche in questo caso non era e non è richiesta la sistematicità. Le condizioni suddette possono ricorrere singolarmente o cumulativamente, come risulta dal dato testuale e come sancito dalla giurisprudenza (Cass. V n. 17939/2018). In assenza delle condizioni suddette, la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da una situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all’art. 603-bis (Cass. IV, n. 27582/2020, Cass. IV, n. 11547/2020; Cass. IV, n. 49781/ 2019; contra Cass. V, n. 17939/2018). Cass. IV, n. 7857/2022 ha sancito che l'elencazione degli indici di sfruttamento di cui all'art. 603-bis, co. 3, c.p., non ha carattere tassativo, potendo il giudice individuare ulteriori condizioni suscettibili di dare luogo alla condotta di abuso del lavoratore. Elemento psicologicoI reati sono puniti solo a titolo di dolo. Entrambe le fattispecie ante riforma erano a dolo generico, essendo solo richiesta la coscienza e volontà degli elementi costitutivi del fatto tipico (Mantovani, 2013, 300).Quanto alla formulazione attuale, si è sostenuto che la condotta del reclutatore sia a dolo specifico (De Santis, cit.). Secondo, Cass. IV, n. 3554/2022, il delitto previsto dall'art. 603-bis, co. primo, n. 1, è caratterizzato dal dolo specifico, essendo necessario che l'intermediario recluti la manodopera al fine di destinarla al lavoro presso terzi, mentre per quello previsto dall'art.603-bis, co. primo, n. 2, , è sufficiente il dolo generico, essendo richiesto che l'utilizzatore abbia agito con coscienza e volontà di sottoporre i lavoratori a condizioni di sfruttamento e di approfittare del loro stato di bisogno. Consumazione e tentativoIl delitto, nella formulazione anteatta, si consumava nel momento e nel luogo in cui si realizzava l'attività di organizzazione o intermediazione connotata da sfruttamento; lo stesso dicasi, quanto al testo attuale, per le condotte di reclutamento ed utilizzo. Sia per la vecchia che per la nuova formulazione può dirsi che il reato è solo eventualmente abituale, essendo sufficiente, per la sua consumazione, che sia posta in essere anche una sola condotta di intermediazione, reclutamento, utilizzo, assunzione o impiego ovvero che la condotta sia portata anche contro un solo lavoratore. Quest'ultima conclusione (Mantovani, 2013, 301) è supportata dalla constatazione che 1) nel caso si agisca contro tre o più lavoratori, è prevista un'aggravante e non già un'ipotesi di concorso di reati 2) la multa è commisurata al numero di lavoratori colpiti. Il tentativo è configurabile per entrambe le fattispecie. Unicità o pluralità di reatia) Condotte riferibili alle due fattispecie. Poiché il vecchio art. 603-bis era norma a più fattispecie, nel caso in cui fossero poste in essere sia l'intermediazione-reclutamento che l'intermediazione-organizzazione, l' agente rispondeva di un solo reato (in dottrina Mantovani, 2013, 297). b) Condotte riferibili a più persone offese. Si tratta di reato unico, cfr. supra. CircostanzeLe circostanze aggravanti speciali contemplate al terzo comma della versione abrogata dell’art. 603 bis (oggi al quarto comma) sono integrate allorché: a) i lavoratori reclutati siano superiori a tre; b) almeno uno dei soggetti reclutati sia un minore in età non lavorativa; c) i lavoratori intermediati (oggi quelli sfruttati) siano esposti a situazioni di grave pericolo a causa delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro. La difformità nell'utilizzo, nel vecchio testo, del termine «reclutati» per le prime due circostanze e di quello «intermediati» per le altre non ha sostanzialmente spiegazione (Mantovani, 2013, 301). Il riferimento al solo termine «reclutati» non è stata ritenuta idonea a limitare l’applicazione delle aggravanti alla sola condotta del caporale (Nazzaro, cit.). La situazione di grave pericolo a cui è esposto il lavoratore nell'ipotesi sub (c) doveva essere più pregnante e concreta rispetto a quella necessaria e sufficiente per integrare la condizione di sfruttamento descritta al n. 3) del co. 2 nella vecchia formulazione (v. supra). Quando il reato è commesso in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, la pena è aumentata da un terzo alla metà (art. 36 co. 1 l. n. 104/1992). Una speciale circ. attenuante era prevista, fino al 3 novembre 2016, dall'art. 600-septies.1 , cui si rinvia; la l. n. 199/2016 ha inserito un’apposita previsione nell’art. 603 bis.1; si rinvia ad entrambi i commenti. Concorso di personeV. supra. Rapporti con altri reatiCon le contravvenzioni di cui all'art. 18 d.lgs. n. 276/2003 e con la riduzione o il mantenimento in schiavitù o servitù L'art. 603-bis sussiste quando sono attuati comportamenti che non si risolvono nella mera violazione delle regole dettate dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (v. in particolare, l'art. 18, quanto al versante punitivo), senza peraltro neanche raggiungere le vette dello sfruttamento estremo, di cui alla fattispecie prefigurata dall'art. 600, come confermato dalla clausola di sussidiarietà con la quale si apre la previsione (Cass. V, n. 14591/2014). Con la riduzione o il mantenimento in schiavitù o servitù Nel caso in cui ne sussistano gli elementi costitutivi, opererà, a favore della sua applicazione, la clausola di salvezza (Mantovani, 2013, 301), che è rimasta anche nella nuova formulazione. Sui profili problematici del rapporto tra i due reati, cfr. De Rubeis, cit.) Si rimanda anche al commento sub art. 600. Con il reato di cui all’art. 22, comma 12 d.lgs. n. 286/1998 L'approfittamento dello stato di bisogno, unitamente alle condizioni di sfruttamento, rende speciale la fattispecie in esame rispetto a quella di cui all'art. 22, comma 12, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Fiandanese, cit.). PrescrizioneIl termine prescrizionale è raddoppiato ai sensi dell'art. 157 co. 6. Pene accessoriePer le pene accessorie, cfr. sub art. 603-ter. La confiscaLa Corte di cassazione ha escluso che, prima della l. n. 199/2016, la disciplina della confisca fosse contenuta nell'art. 600-septies; oggi il legislatore ha previsto una disciplina specifica per questo reato, contemplata dall'art. 603-bis.2, cui si rimanda, che è tuttavia applicabile solo ai fatti commessi dopo il 4 novembre 2016 (Cass. IV, n. 54024/2018, con nota di Minnella, cit.; in dottrina, De Santis, cit. aveva invece ritenuto che la confisca ex art. 600-septies fosse applicabile anche alla fattispecie in commento). Altra forma di confisca era prevista dall'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, conv. con modif., in l. n. 356/1992, disposizione oggi transitata nell'art. 240-bis ex d.lgs. n. 21/2018; si rinvia al commento di quest'ultimo articolo. Profili processualiGli istituti Il reato in commento è procedibile d'ufficio e di competenza del Trib. (monocratico per la fattispecie base e collegiale per le aggravanti). Per detta fattispecie: a) era ed è possibile effettuare intercettazioni; b) con riferimento alla vecchia formulazione, era previsto l'arresto facoltativo in flagranza ed era possibile il fermo; la l. n. 199/2016, inserendo la lettera d.1 dell'art. 380 co. 2 c.p.p., ha previsto l'arresto obbligatorio in flagranza per l'ipotesi di cui al secondo comma; per quella di cui al primo comma, è previsto l'arresto facoltativo in flagranza, mentre il fermo è oggi consentito solo per la fattispecie di cui al secondo comma; c) era ed è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali; d) a norma dell'art. 3 l. n. 199/2016, è oggi possibile il controllo giudiziario dell'azienda in luogo del sequestro preventivo di cui all'art. 321 co. 1 c.p.p. (che non può, invece, essere disposto quando il sequestro sia prodromico alla confisca (Sez. IV, n. 40554/2021) BibliografiaDe Rubeis, Bene giuridico e corretta definizione delle fattispecie. sui rapporti tra riduzione in schiavitù e intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, in Cass. pen., fasc. 12, 2018, 4361; De Santis, Caporalato e sfruttamento di lavoro: politiche criminali in tema di protezione del lavoratore. pregi e limiti dell'attuale disciplina, in Resp. Civile e Previdenza, fasc. 6, 1 giugno 2018, 2055; Fiandanese, Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. La condizione di clandestinità dei lavoratori integra lo stato di bisogno, in ilPenalista.it, 24 giugno 2018; Marino, Il caporalato quale nuova forma di schiavitù. Analisi dell’art. 603-bis c.p. in attesa di una riforma effettiva, in Il Penalista; relazione dell’Ufficio del Massimario n. III/11/2011 del 5settembre 2011, in cortedicassazione.it; Marino, Caporalato. Il nuovo art. 603-bis c.p., in ilPenalista 4 novembre 2016; Dossier n° 491/1 del servizio studi della Camera dei Deputati, A.C. 4008, 14 novembre 2016; Minnella, Nota a Cassazione penale, 27 settembre 2018, n. 54024, sez. IV, in Diritto & Giustizia, fasc. 214, 2018, 11; Nazzaro, Misure di contrasto al fenomeno del caporalato: il nuovo art. 603-bis c.p. e l’ardua compatibilità tra le strategie di emersione del lavoro sommerso e le politiche migratorie dell’esclusione, in Cass. Pen., 2017, 2617; Scarcella, Il reato di «caporalato» entra nel codice penale, in Dir. Pen. e Processo 2011; Silvestre, Caporalato. La disciplina della confisca e il controllo giudiziale dell’azienda, in ilPenalista 8 novembre 2016. |