Codice Penale art. 607 - Indebita limitazione di libertà personale.Indebita limitazione di libertà personale. [I]. Il pubblico ufficiale [357], che, essendo preposto o addetto ad un carcere giudiziario o ad uno stabilimento destinato all'esecuzione di una pena [17] o di una misura di sicurezza [215 2], vi riceve taluno senza un ordine dell'Autorità competente [94 att. c.p.p.; 214 coord. c.p.p.], o non obbedisce all'ordine di liberazione dato da questa Autorità [981 att. c.p.p.], ovvero indebitamente protrae l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, è punito con la reclusione fino a tre anni (1). (1) Per un'ipotesi di aumento della pena, v. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: non consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoIl delitto ha natura plurioffensiva a tutela del bene della libertà personale e dell'interesse pubblicistico alla legalità dell'azione dei pubblici ufficiali. La norma contempla l'interesse dello Stato a garantire il bene della libertà individuale e personale avverso tutte le aggressioni operabili per effetto della violazione dei doveri funzionali che spettano a categorie date di soggetti e che si traducono nella indebita detenzione di una persona: destinatari di questa norma sono i preposti (i pubblici ufficiali ai quali è riconosciuta la competenza ad ammettere una persona sottoposta a legittima restrizione della libertà) o gli addetti (i pubblici ufficiali che hanno il dovere di eseguire l'ordine di ammissione o liberazione dato dal superiore). Oltre alla libertà dell'individuo, la tutela offerta dalla norma spazia sino all'interesse funzionale della P.A. all'osservanza di tutti i doveri d'ufficio incombenti ai preposti ed agli addetti, quindi all'interesse assunto come proprio dallo Stato, che in tal modo vede garantito il corretto funzionamento di tutti i suoi poteri. La norma costituisce un'ipotesi specifica di tutela penale in linea con i riferimenti costituzionali dell'art. 13 Cost. che sancisce l'inviolabilità della libertà personale e consente la sua restrizione soltanto in virtù di un atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Soggetto attivoIl reato è proprio e può essere commesso dal solo pubblico ufficiale preposto o addetto a un carcere giudiziario o a uno stabilimento per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza. «Preposto» è il pubblico ufficiale al quale una norma giuridica o un atto amministrativo conferisce la competenza ad ammettere nell'istituto, su ordine dell'autorità competente, i soggetti ristretti nella libertà personale o a procedere alla loro liberazione: sono ritenuti tali il direttore, il vicedirettore ed il reggente (Mantovani, PS, I, 309; Antolisei, PS, I, 162). «Addetto» è il pubblico ufficiale che, pur non rivestito della suddetta competenza, ha il dovere di eseguire l'ordine di ammissione o di liberazione, dato dal superiore (Mantovani, PS, I, 309, secondo cui è errata la corrente inclusione, tra gli addetti, dei funzionari di segreteria e ragioneria, dei medici, dei cappellani, degli insegnanti, dei dirigenti, degli assistenti tecnici, trattandosi di soggetti che non sono pubblici ufficiali; Antolisei, PS, I, 162, che include, invece, i soggetti menzionati tra i possibili soggetti attivi del delitto; nello stesso senso Fiandaca, Musco, PS, II-1, 194). Poiché la norma richiede che i preposti e gli addetti siano pubblici ufficiali, è stata sollevata la questione della configurabilità del reato nei confronti degli agenti della Polizia penitenziaria (Mazzi, 1071; Manzini, VIII, 738, con riferimento al disciolto Corpo degli agenti di custodia). I preposti o gli addetti devono inoltre essere destinati ad un «carcere giudiziario» o ad uno «stabilimento destinato all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza» (per la cui individuazione ed attuale denominazione occorre fare riferimento agli artt. 59 e 62, ord. penit.). MaterialitàLa norma descrive tre distinte condotte: a) il fatto di ricevere taluno in uno degli istituti indicati in assenza di un ordine dell'autorità competente. Le condizioni e le modalità di ricezione negli istituti penitenziari sono disciplinate all'art. 22, nuovo reg. esec. ord. penit e dall'art. 94, disp. att. c.p.p. b) il fatto di non obbedire all'ordine di liberazione dato dall'Autorità Giudiziaria (caso di mancato rilascio di detenuti o internati, in violazione dell'art. 43, ord. Penit) c) il fatto di protrarre indebitamente l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza. Ipotesi che ha perduto significato pratico, dal momento che la dimissione dei detenuti od internati può essere eseguita solo su ordine scritto dell'Autorità Giudiziaria (art. 43, ord. Penit). Quanto ai rapporti tra le tre ipotesi, parte della dottrina ritiene che si tratti di condotte alternative tra loro (Antolisei, PS, I, 162); altra parte ritiene configurabile un concorso materiale (Mantovani, PS, I, 311, ma soltanto tra la prima e la seconda ipotesi, nel caso che il soggetto ponga in essere prima una indebita ricezione e poi disobbedisca all'ordine di liberazione; Manzini, VIII, 740; Marini 911). Elemento soggettivoIl delitto è punibile soltanto a titolo di dolo, quale volontà cosciente e libera ed intenzione di ricevere abusivamente nel carcere giudiziario o in uno stabilimento di prevenzione o di pena una persona ovvero di disobbedire all'ordine di liberazione dato dall'Autorità competente o di non adempiere al dovere di provvedere direttamente alla liberazione del detenuto; si tratta di dolo generico: la norma richiede solamente coscienza e volontà: a) della ricezione nello stabilimento di taluno senza un ordine preciso dell'Autorità competente; b) della disubbidienza all'ordine di liberazione data da questa stessa Autorità; c) della protrazione indebita dell'esecuzione della pena. Pertanto, la colpa non basta ad integrare il delitto; alla repressione dei fatti colposi provvedono le sanzioni disciplinari. L'ignoranza o l'errore anche colposo circa i doveri del proprio ufficio esclude la punibilità esattamente come accade per l'impossibilità di provvedere alla liberazione: mentre per altro verso, il fine ed il motivo del delitto sono assolutamente estranei alla nozione ed alla definizione del reato (Manzini, 741). Profili processualiL’arresto e il fermo non sono consentiti, così come le misure cautelari personali. La procedibilità è d'ufficio e la competenza è del Tribunale monocratico. BibliografiaMarini, Libertà personale (delitti contro la), in Nss.D.I., agg., IV, Torino, 1983, 911. |