Codice Penale art. 641 - Insolvenza fraudolenta.Insolvenza fraudolenta. [I]. Chiunque, dissimulando il proprio stato d'insolvenza [2221, 2462 2, 2545-terdecies c.c.], contrae un'obbligazione col proposito di non adempierla è punito, a querela della persona offesa [120], qualora l'obbligazione non sia adempiuta, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 516 euro. [II]. L'adempimento dell'obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato [649]. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: non consentite procedibilità: a querela di parte InquadramentoLa dottrina ha individuato il bene giuridico protetto dall'art. 641 c.p. nell'inviolabilità del patrimonio che deve essere protetta contro quei fatti fraudolenti che consistono nel contrarre un'obbligazione, dissimulando il proprio stato d'insolvenza e con il proposito di non adempierla (Manzini). Si è parlato anche di un reato volto a tutelare il rispetto dei vincoli obbligatori in genere ed anche la buona fede contrattuale (Antolisei, PS, 357). Soggetti
Soggetto attivo Trattasi di un reato comune, che, per la sua realizzazione, richiede la cooperazione artificiosa della vittima (Mantovani, 123), caratteristica, quest'ultima che, nell'ambito de delitti contro il patrimonio, li contraddistingue dai delitti di aggressione unilaterale. Soggetto passivo Il soggetto passivo del delitto previsto dall'art. 641 è il creditore dell'obbligazione non eseguita, che può essere persona diversa dal soggetto nei confronti del quale è diretta la condotta di dissimulazione. Soltanto il primo è il soggetto legittimato a proporre la querela. Riguardo al termine di proposizione della querela si è ritenuto che lo stesso decorre non già dalla data in cui si verifica l'inadempimento dell'obbligazione, ma da quella in cui il creditore acquisisce la certezza che l'obbligato, contraendo l'obbligazione, aveva dissimulato il proprio stato di insolvenza ed aveva contratto l'obbligazione con il proposito di non adempierla (Cass. II, n. 9552/1997). Nella fattispecie è stato ritenuto termine iniziale quello del tentativo di esecuzione forzata esperito dal creditore. Elemento materialePresupposto del reato è lo stato d'insolvenza del soggetto attivo, che consiste nell'incapacità di soddisfare le proprie obbligazioni; esso potrà essere assoluto o relativo esclusivamente all'obbligazione assunta e deve sussistere quando sorge l'obbligazione e permanere sino al momento dell'adempimento (Fiandaca-Musco, PS II 1997, 193). La giurisprudenza individua lo stato d'insolvenza nella condizione di insolvibilità del soggetto agente, che consiste nell'impossibilità attuale di adempiere l'obbligazione assunta; ciò in quanto l'art. 641 comma 2 prevede come speciale causa estintiva del reato proprio il pagamento dell'obbligazione assunta prima che intervenga la condanna (Cass. S.U., n. 77638/1997). La condotta punita consiste nella dissimulazione del proprio stato d'insolvenza e nella contestuale assunzione di un'obbligazione. La dottrina definisce la dissimulazione come una condotta, positiva o negativa, idonea a celare uno stato d'insolvenza, in conseguenza della quale la vittima viene a trovarsi in uno stato di ignoranza (Mantovani, 124). La Cassazione ha parlato di un comportamento diretto a nascondere una circostanza vera, appunto lo stato d'insolvenza, che impedisce l'adempimento dell'obbligazione assunta (Cass. II, n. 3538/1980). In precedenza la dissimulazione era stata definita come un fatto positivo, ossia in un fatto che, senza assumere le caratteristiche degli artifizi o dei raggiri, sia tale da guadagnare la fiducia del soggetto passivo, cosi da vincere la sua normale diligenza nei rapporti contrattuali e da metterlo in condizione di non rendersi conto dello stato di insolvenza dell'agente. Nel caso concreto la dissimulazione era stata ravvisata nella condotta di persona che, nel prendere alloggio presso un albergo, non si sia limitato a tacere il suo stato di insolvenza, ma si sia presentato come un normale cliente, esibendo altresì un biglietto da cui risultava titolare di un Esercizio commerciale. Si è stabilito che ai fini della configurabilità del reato di insolvenza può assumere rilievo anche il silenzio dell'agente, quale forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza, nel caso in cui tale condizione non sia stata manifestata all'altra parte contraente al momento della stipula del contratto, con il preordinato proposito di non adempiere alla prestazione scaturente dal rapporto contrattuale (Cass. II, n. 8893/2017). Il principio è stato recentemente ribadito, affermandosi che la prova della condizione di insolvenza dell’agente, al momento dell’assunzione dell’obbligazione, può essere desunta dal comportamento precedente e successivo all’inadempimento, assumendo rilievo anche il mero silenzio dell’agente, quale manifestazione di dissimulazione del proprio stato (Cass. V. n. 30718/2021); nel caso di specie oggetto della decisione ora citata, l’agente, alla data di emissione delle fatture, aveva taciuto ai fornitori la situazione di costante e progressivo indebitamento della società dallo stesso amministrata e la contestuale costituzione di una società con denominazione similare all’obbligata verso la quale distrarre le risorse acquisite. La prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, dissimulando lo stato di insolvenza, può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell'azione e dal comportamento successivo all'assunzione dell'obbligazione, ma non esclusivamente dal mero inadempimento che, in sé, costituisce un indizio equivoco del dolo (Cass. II, n. 6847/2015). Nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto che l'acquisto della merce tramite assegni, post-datati e privi di copertura fino al giorno precedente la scadenza dei titoli, fosse espressione del successivo inadempimento ma non della preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza. Si è ritenuto rilevante, allo stesso fine, anche il comportamento precedente all'inadempimento, ritenendosi provato lo stato di insolvenza di una società di autotrasporto, amministrata e gestita dagli autori del reato, desumendolo dalla circostanza che, all'epoca dei fatti, la società aveva accumulato debiti per mancato pagamento dei pedaggi stradali, rimasti insoluti (Cass. II, n. 39887/2015). La dottrina ha affermato che la condotta dell'agente deve determinare l'ignoranza del soggetto passivo circa lo stato d'insolvenza del soggetto agente, l'atto di disposizione da parte dello stesso soggetto passivo, il danno patrimoniale della persona offesa e l'ingiusto profitto del soggetto agente (Mantovani, 127). Sulla questione relativa alla rilevanza penale dell'omesso pagamento del pedaggio autostradale sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione affermando che, poiché l'art. 176, comma 17, d.lgs. n. 285/1992 (codice della strada) — che punisce con la sanzione pecuniaria chiunque ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio autostradale — espressamente ed inequivocabilmente stabilisce la sussidiarietà di tale illecito amministrativo rispetto alle fattispecie penali eventualmente concorrenti, nei cui confronti, pertanto, non si pone in rapporto di specialità, nell'ipotesi di omesso adempimento, da parte dell'utente, dell'obbligo di pagamento del pedaggio autostradale, ben può configurarsi, ove ne sussistano in concreto gli elementi costitutivi, il delitto di insolvenza fraudolenta (Cass. S.U., n. 7738/1997). Al suddetto principio si sono uniformate le sezioni semplici affermando che l'art. 176 d.lgs. n. 285/1992, che punisce chiunque eluda il pagamento del pedaggio autostradale, si pone in rapporto di sussidiarietà e non di specialità rispetto al reato di insolvenza fraudolenta, che non è pertanto escluso dalla coesistenza dell'illecito amministrativo: è onere del giudice di merito verificare di volta in volta la configurabilità della fattispecie penale citata sia sotto il profilo materiale che della sussistenza dell'elemento psicologico (Cass. II, n. 11734/2008; Cass. II, n. 11686/2016). Elemento psicologicoLa giurisprudenza ritiene sufficiente, per l'integrazione del reato da un punto di vista psicologico, il dolo generico di non adempiere l'obbligazione, specificando trattarsi di dolo diretto ed iniziale, che deve, appunto, sussistere nell'atto in cui si realizza la condotta esecutiva del reato, non potendo assumere la forma del dolo eventuale (Cass. S.U., n. 7738/1997). La dottrina ha al riguardo parlato di dolo generico ed intenzionale in quanto la norma richiede la coscienza del proprio stato d'insolvenza, la coscienza e volontà di dissimularlo e di contrarre un'obbligazione e l'intenzione iniziale di non adempierlo (Mantovani, 128). La Cassazione ha affermato che la prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, dissimulando lo stato di insolvenza, può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell'azione e dal comportamento successivo all'assunzione dell'obbligazione, ma non esclusivamente dal mero inadempimento che, in sé, costituisce un indizio equivoco del dolo (Cass. II, n. 6847/2015). Nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto che l'acquisto della merce tramite assegni, post-datati e privi di copertura fino al giorno precedente la scadenza dei titoli, fosse espressione del successivo inadempimento ma non della preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza. La Cassazione ha ritenuto che l'inadempimento dell'obbligazione — elemento costitutivo del reato — non è configurabile qualora il termine per la prestazione dovuta non sia ancora scaduto. A ciò consegue che il dolo specifico — consistente nel proposito di non adempiere l'obbligazione fin dal momento della sua esistenza giuridica — può essere desunto da eventuali difficoltà sopravvenute per l'inadempiente (anche se da parte di questi prevedibili (Cass. II, n. 6478/1997). Del resto si è, in proposito, affermato che non integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta di colui che assume un'obbligazione con la riserva mentale di non adempiere per causa diversa dallo stato di insolvenza (Cass. II, n. 46903/2011). Nel caso di specie l'imputato non pagava le cambiali, tranne la prima, asserendo che la scelta del mancato pagamento era collegata, come ripicca, ad un precedente acquisto di autovettura, che non andava bene su strada. Consumazione e tentativoLa Cassazione ha ritenuto che il reato di insolvenza fraudolenta si consuma non nel momento in cui viene contratta l'obbligazione o in quello in cui viene a manifestarsi lo stato di insolvenza, bensì in quello dello inadempimento si consuma non nel momento in cui viene contratta l'obbligazione o in quello in cui viene a manifestarsi lo stato di insolvenza, bensì in quello dell'inadempimento, che costituisce l'ultima fase dell'«iter» criminoso, dovendosi pertanto accertare, ai fini della determinazione del momento consumativo, la data dell'inadempimento in base alle norme che disciplinano, in materia civile, l'adempimento delle obbligazioni, con particolare riguardo al termine per adempiere (Cass. VI, n. 28117/2015). Il tentativo è astrattamente possibile, ma concretamente è escluso dalla previsione contenuta nell'art. 641 comma 2, che prevede l'adempimento tardivo come causa di estinzione del reato. Al riguardo la Cassazione ha affermato che, a differenza di quanto previsto dall'art. 62 n. 6 — secondo cui il risarcimento del danno idoneo ad integrare la circostanza attenuante comune ivi disciplinata deve avvenire «prima del giudizio» — l'art. 641 cpv. stabilisce che l'adempimento dell'obbligazione estingue il reato se avvenuto «prima della condanna», sicché il tempo utile per provvedervi e determinare in tal guisa l'effetto estintivo si protrae fino al momento in cui la sentenza passa in giudicato; secondo la terminologia del codice, infatti, si ha «condanna» soltanto quando questa sia contenuta in una sentenza divenuta definitiva, per cui l'adempimento in questione può attuarsi efficacemente anche dopo decisione di primo o secondo grado e fino a che, pendente il ricorso per cassazione, la Corte suprema non abbia ancora deciso in ordine al ricorso medesimo (Cass. II, n. 2318/1996). Si è anche precisato che, la speciale causa di estinzione del reato di cui all'art. 641 comma 2 presuppone lo integrale adempimento dell'obbligazione, e non può estendersi alle altre cause di estinzione dell'obbligazione stessa, non essendo consentita in tale materia l'interpretazione estensiva o analogica (Cass. II, n. 4463/1984); quindi nel caso di specie, in applicazione di tale principio, non era stata considerata come causa estintiva del reato la risoluzione consensuale del contratto con restituzione della merce ricevuta dall'imputato. Si è ancora affermato che, in caso di adempimento dell'obbligazione va dichiarata l'estinzione del reato di insolvenza fraudolenta ai sensi dell'art. 641 comma 2 e non per remissione di querela (Cass. II, n. 2218/1981). Estinzione del reatoL'art. 641 comma 2 stabilisce che l'adempimento dell'obbligazione che sia avvenuto prima della condanna estingue il reato. In proposito a Corte di Cassazione, riprendendo un precedente filone giurisprudenziale (Cass. II, n. 2318/1996), ha recentemente chiarito che l'integrale adempimento dell'obbligazione che estingue il reato, previsto dall'art. 631 comma 2 c.p., deve avvenire prima della condanna e può, pertanto, attuarsi anche dopo la sentenza di primo o secondo grado e fino a che non sia deciso il ricorso per cassazione, a differenza del risarcimento del danno idoneo ad integrare la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6, che deve avvenire prima del giudizio (Cass. II, n. 23017/2016). Rapporti con altri reatiLa Cassazione ha affermato che il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente (Cass. VII, n. 16723/2015; conf. Cass. V, n. 44659/2021). Del resto anche in precedenza si era ritenuto che non integra il delitto di insolvenza fraudolenta la condotta di colui che, trattenendo la caparra ricevuta dall'acquirente, non adempie l'obbligo di vendere assunto sulla base di un contratto preliminare di compravendita, la cui stipula può peraltro risultare sufficiente alla configurabilità del diverso reato di truffa ove sostenuta dal precostituito proposito di non adempiervi (Cass. II, n. 14674/2010). Si è ritenuto, poi, integrato il delitto di truffa, e non quello meno grave dell'insolvenza fraudolenta, l'utilizzazione della carta di credito ben oltre i limiti di solvenza, nel caso in cui l'autore non si sia limitato alla dissimulazione dello stato di insolvenza ma si sia avvalso di un complesso di modalità frodatorie costituite da artifici e raggiri (Cass. II, n. 16629/2007). Nel caso concreto l'autore del fatto prima si accreditò presso i funzionari dell'istituto bancario quale agente di commercio e versò, per superare la loro ritrosia al rilascio della carta di credito, una consistente somma di denaro, e poi, ottenuta la carta, si affrettò a ritirare quasi per intero la provvista e a utilizzare la carta di credito in modo massiccio e continuo sul circuito internazionale, nella consapevolezza che al tempo non era operativo il sistema di sicurezza dell'immediato blocco della carta su detto circuito, che si avvaleva di lettori manuali. La Cassazione ha ritenuto inoltre possibile la riqualificazione come truffa dell'insolvenza fraudolenta, precisando che se la nuova definizione giuridica, a differenza di quella originaria, non consente l'applicazione di una causa estintiva del reato, il giudice deve escludere tale applicazione e la conseguente estinzione del reato; ciò in quanto il divieto di reformatio in peius riguarda unicamente la pena sotto il profilo sia della specie, sia della quantità della sua complessiva determinazione (Cass. II, n. 4640/2021). Recentemente la Cassazione ha ribadito che si realizza il delitto di truffa e non quello di insolvenza fraudolenta nel caso in cui la parte lesa sia stata tratta in errore mediante la creazione di una situazione artificiosa da parte dell'imputato, il quale non si sia limitato semplicemente a nascondere il proprio stato d'insolvenza, ma abbia rappresentato, in un ampio arco di tempo, circostanze inesistenti e sia ricorso ad artifizi per farsi credere solvibile (Cass. II, n. 22/2018). Si è affermato che ovunque vige il sistema di prelievo diretto degli oggetti esposti sui banchi di vendita o sugli appositi scaffali, risponde di furto e non di appropriazione indebita o di insolvenza fraudolenta chi, dopo aver prelevata direttamente la merce, la porti via senza pagarla (Cass. VI, n. 5228/1993). La Cassazione ha stabilito che integra il delitto di truffa e non quello di insolvenza fraudolenta, per la presenza di raggiri finalizzati ad evitare il pagamento del pedaggio, la condotta di chi transita con l'autoveicolo attraverso il varco autostradale riservato ai possessori di tessera Viacard pur essendo sprovvisto di detta tessera (Cass. VII, n. 33299/2018). Si è ritenuto che risponde dei concorrenti reati di insolvenza fraudolenta e di minaccia e non, invece, di quello di rapina impropria colui che rifornisce la propria autovettura di carburante presso un distributore a cui può lecitamente accedere con immediatezza, e poi si allontana omettendo di corrispondere il relativo importo e minacciando l'impiegato del distributore, attesa l'assenza di una condotta di sottrazione (Cass. II, n. 18039/2014). l delitto di bancarotta impropria exart. 223, comma 2, n. 2, l.fall. può concorrere con quello di insolvenza fraudolenta exart. 641 c.p. qualora la condotta di acquisizione di obbligazioni con il proposito di non adempierle si collochi storicamente solo come antefatto di una serie di più complesse operazioni fraudolente finalizzate a causare (od aggravare) il dissesto della società fallita (Cass. V, n. 18089/2018). CasisticaOriginaria contestazione del reato di insolvenza fraudolenta. Condanna per il reato di truffa Si è affermato che non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione di condanna con la quale il giudice, nel prendere in esame e valutare la condotta dell'imputato di non avere, in modo preordinato, adempiuto l'obbligazione contratta, qualifica l'originaria imputazione di insolvenza fraudolenta come truffa, perché la condotta tenuta dall'agente in entrambi i reati consiste in un comportamento fraudolento tale da ingenerare errore nella vittima (Cass. II, n. 29507/2015). Profili processualiIl reato è punibile a querela della persona offesa. È punito con la sanzione della reclusione fino a due anni o della multa fino ad € 516,00. BibliografiaFanelli, L'illiceità dell'omesso pagamento, reiterato e volontario, del pedaggio autostradale, in Cass. pen. 2008, 3278; Gioffrè, Insolvenza fraudolenta e omesso pagamento del pedaggio autostradale: primi chiarimenti delle sezioni unite, in Cass. en. 1997, 2057; Mantovani, Insolvenza fraudolenta, in Dig. d. pen., VII, Torino, 1993. |