Codice Penale art. 695 - Fabbricazione o commercio non autorizzati di armi.

Roberto Carrelli Palombi di Montrone

Fabbricazione o commercio non autorizzati di armi.

[I]. Chiunque, senza la licenza dell'Autorità, fabbrica o introduce nello Stato [4 2], o esporta, o pone comunque in vendita armi [704], ovvero ne fa raccolta per ragioni di commercio o d'industria, è punito con l'arresto da tre mesi a tre anni e con l'ammenda fino a 1.239 euro [700, 701] (1).

[II]. Non si applica la pena dell'arresto, qualora si tratti di collezioni di armi artistiche, rare o antiche.

(1) Le pene previste dal testo originario del codice erano l'arresto fino a un anno e l'ammenda fino a lire diecimila. A parte i successivi aggiornamenti di tale pena pecuniaria, tanto la pena detentiva quanto la pena pecuniaria erano state in un primo momento raddoppiate dall'art. 7 l. 2 ottobre 1967, n. 895, e poi triplicate dall'art. 14 l. 14 ottobre 1974, n. 497. L'ammenda risulta ora ulteriormente raddoppiata ad opera dell'art. 113 4 l. 24 novembre 1981, n. 689. Per un'ulteriore ipotesi di aumento delle pene, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, che ha sostituito l'art. 7 1 l. 31 maggio 1965, n. 575.

Inquadramento

La dottrina ha individuato l'interesse tutelato dalle norme penali in materia di armi nell'ordine pubblico inteso come interesse alla prevenzione dei reati in genere ed in particolare di quelli contro la vita e l'incolumità individuale (Antolisei, I, 118). Non a caso le norme contenute nel codice penale in materia di armi sono collocate in apposito paragrafo intitolato “Delle contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro la vita e l'incolumità individuale”.

Soggetto attivo

Soggetto attivo del reato previsto dall'art. 695  può essere chiunque esplichi una di quelle attività previste nella norma incriminatrice in assenza della licenza prescritta dall'art. 31 r.d. n. 773/1931.

Elemento materiale

La dottrina ha precisato che, per effetto della normativa emanata in materia di armi da guerra ed armi comuni da sparo (l. 2 ottobre 1967 n. 895; l. 14 ottobre 1974 n. 497; l. 18 aprile 1975 n. 110), l'ambito di applicazione della contravvenzione in esame risulta limitato, quanto alla condotta di fabbricare, introdurre nello Stato, mettere in vendita o fare raccolta, alle sole cosiddette armi bianche, cioè pugnali, stiletti, spade, sciabole e simili, nonché alle armi antiche, artistiche, o rare, in relazione alle quali non trovano applicazione le norme in materia di armi comuni da sparo in forza della previsione contenuta nell'art. 2 lett. h) l. n. 110/1975 (Vigna-Bellagamba, 305).

La giurisprudenza della Cassazione ha chiarito quali sono le armi soggette all'obbligo della licenza previsto dall'art. 31 r.d. n. 773/1931 per le varie attività previste nell'art. 695 c.p.; così in primo luogo si è affermato che sono soggette alla licenza del questore per la vendita soltanto le armi proprie e gli strumenti da punta e da taglio, la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona (Cass. I, n. 439/1983). Ed in precedenza si era stabilito che nella nozione di armi, secondo la definizione contenuta nell'art. 704 c.p., rientrano tanto le armi cosiddette bianche, quanto quelle da sparo, fra le quali vanno annoverate oltre le armi da fuoco, che sfruttano, cioè, per l'espulsione del proiettile le energie fornite dall'esplosione di un'apposita carica di esplosivo, anche quelle che per il medesimo scopo si avvalgono di una forza di propulsione diversa immagazzinata in un apposito serbatoio (Cass. VI, n. 217/1970). E nell'occasione si era precisato che rientrano nella nozione di armi anche le munizioni, per cui chi introduce clandestinamente in Italia munizioni risponde del reato previsto dall'art. 695 c.p. Recentemente la Cassazione ha affermato che rientrano nel novero delle armi bianche proprie, la cui importazione senza licenza integra il reato di cui all'art. 695 c.p., le “katane” giapponesi, le spade, i pugnali, le scimitarre e le tesserine rettangolari taglienti e appuntite destinate all'offesa (Cass. I, n. 15431/2010).

Si è anche stabilito che, poiché la licenza per la vendita di armi ha carattere specifico, nel senso che abilita alla vendita di armi che, per rendere possibile un efficace controllo, vanno predeterminate quanto alla categoria ed al numero, la vendita di coltelli a scatto da parte di un soggetto abilitato a vendere armi da sparo integra il reato di cui all'art. 695, non potendosi i primi fare rientrare tra le seconde (Cass. I, n. 9318/1998).

Le condotte previste nell'art. 695 c.p

La giurisprudenza ha chiarito che si ha fabbricazione allorché l'oggetto, arma, ordigno o congegno, manipolato ha raggiunto una sufficiente caratterizzazione che lo distingua come strumento autonomo dalle sue componenti materiali, pur senza raggiungere l'idoneità al pronto impiego (Cass. I, n. 9337/1985).

La dottrina ha precisato il concetto di fabbricazione nel senso che esso implica svolgere un'attività, a livello artigianale o industriale, utilizzando più o meno strumenti organizzativi di lavoro, in maniera permanente o saltuaria, diretta a costruire armi o parti di esse (Mosca, 8).

L'introduzione nello Stato consiste nell'ingresso di un'arma nello Stato per finalità diverse e comprende anche l'attività di importazione, che è finalizzata al commercio delle armi. L'art. 28 r.d. n. 773/1931 prevede che per l'importazione di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse occorra una licenza del Ministero dell'interno, mentre per l'importazioni di armi comuni da sparo e non è sufficiente la licenza del Questore prevista dall'art. 31 r.d. n. 773/1931.

La Cassazione ha chiarito che, in tema di importazione di armi, l'obbligo della licenza, previsto dall'art. 28 comma 2 r.d. n. 773/1931, riguarda tanto l'introduzione definitiva che l'introduzione provvisoria o in transito di armi nel territorio dello Stato (Cass. V, n. 12342/1990); nell'occasione la Cassazione ha precisato che tale affermazione non contrasta con la previsione contenuta nel comma 3 dello stesso art. 28, in base alla quale per il trasporto delle armi all'interno dello stato è necessario darne avviso al prefetto, in quanto quest'ultima disposizione concerne esclusivamente quelle armi che, legittimamente fabbricate o introdotte in Italia, devono essere poi trasportate, per qualsiasi morivo, nell'ambito del territorio dello Stato.

L'esportazione senza licenza, da parte di un privato o di un soggetto esercente un'attività commerciale, di armi comuni proprie, da sparo non, sarà punibile ai sensi dell'art. 695 c.p., in quanto la normativa speciale in materia di armi non prevede il reato di esportazione senza licenza. Ove invece si tratti di armi da guerra e delle relative munizioni, il fatto di effettuare esportazione, importazione o transito di materiali di armamento è previsto come delitto dall'art. 25 l. 9 luglio 1990 n. 185, punito con la reclusione da tre a dodici anni.

La fattispecie del porre comunque in vendita si riferisce ad un'attività di carattere continuativo ed abituale che implichi la possibilità di offerta ad un numero indeterminato di acquirenti; in tal senso si è espressa la giurisprudenza della Cassazione affermando che dal complesso della disciplina vigente in materia di armi, si desume che la necessita della licenza per la vendita o la cessione di armi comuni da sparo e delle relative munizioni è imposta nei confronti di coloro che svolgono professionalmente tale attività e non invece quando si tratti di un singolo caso di vendita o cessione occasionalmente effettuata da un privato; difatti in quest'ultimo caso non è prevista un'apposita licenza e la vendita o la cessione non costituiscono reato, essendovi solo l'obbligo di darne avviso all'autorità di P.S. da parte del cessionario e di denunciarne il possesso da parte dell'acquirente (Cass. I, n. 10363/1985).

Quanto alle modalità della cessione, la giurisprudenza ha costantemente ritenuto che la previsione incriminatrice del porre in vendita ha riguardo ad ogni operazione di carattere negoziale o prenegoziale, ivi comprese le trattative, purché serie, comunque dirette alla circolazione della armi (Cass. II, n. 43054/2007).

La raccolto di armi a fini di commercio o di industria consiste nel fatto di procurasi il possesso di un numero notevole di armi, da destinare alla vendita, allo scambio o al noleggio o da destinare a trasformazione, perfezionamento o utilizzazione delle loro parti (Antolisei, I, 122).

Elemento soggettivo

Per la punibilità del fatto previsto dall'art. 695 c.p. è sufficiente la colpa.

Rapporto con altri reati

La Cassazione ha precisato che gli elementi strutturali della fattispecie delittuosa prevista dall'art. 1 l. 2 ottobre 1967 n. 895 non corrispondono a quelli della contravvenzione prevista dall'art. 695 c.p.; a ciò consegue che, ai fini della sussistenza dell'ipotesi delittuosa, la vendita non deve presentare alcun carattere di abitudinarietà, essendo sufficiente anche un singolo atto, in quanto ciò corrisponde alla ratio della citata legge volta ad un più rigoroso trattamento della materia relativa alle armi da guerra (Cass. I, n. 4914/1981).

Casistica

Detenzione per la vendita di un numero di armi superiore al consentito

La Corte di Cassazione ha ritenuto configurabile la contravvenzione prevista dall'art. 695 c.p. in caso di detenzione, per la vendita, di un numero di armi superiore a quello consentito in base alla licenza, limitatamente alle armi in eccedenza (Cass. I, n. 4657/1993).

Profili processuali

Il reato è procedibile d'ufficio.

È punito con la sanzione dell'arresto fino a tre anni e dell'ammenda fino ad euro 1.239,00.

 

Trattamento sanzionatorio

È prevista l’applicazione della sola pena dell’ammenda qualora si tratti di collezioni di armi artistiche, rare o antiche. Ed al riguardo, ai sensi dell’art. 10 comma 7 l. n. 110/1975, sono armi antiche quelle ad avancarica e quelle fabbricate anteriormente al 1890.

 

Bibliografia

Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale I, Milano, 1999; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1981; Mosca, Armi e munizioni, in Enc. giur. Treccani, 1989, I; Vigna-Bellagamba, Armi, munizioni, esplosivi. Disciplina penale e amministrativa, Milano, 1991.

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