Codice Civile art. 10 - Abuso dell'immagine altrui.Abuso dell'immagine altrui. [I]. Qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni. InquadramentoL'immagine costituisce uno dei modi dell'essere della persona, una delle possibili proiezioni esteriori e concrete della personalità del soggetto: si tratta della principale proiezione esterna dell'individuo. Essa si include nei diritti della personalità (Cassano, 30). Il diritto all'immagine, conseguentemente, tutela l'interesse del soggetto a che il suo ritratto non venga diffuso o esposto pubblicamente (Bianca C. M., 2014, 105). Originariamente, il diritto all'immagine veniva trattato come particolare aspetto del diritto sul proprio corpo e, conseguentemente, il suo contenuto veniva sostanzialmente ridotto alla titolarità dei benefici discendenti dall'utilizzazione del ritratto. Taluni, peraltro, negavano a questa posizione di vantaggio il carattere dell'autonomia, sussumendola sotto la volta di altri diritti, come quello all'onore o alla integrità morale. Gli Autori oggi riconoscono nel diritto all'immagine un diritto della personalità anche se non si esprimono in modo conforme in merito alla sua esatta collocazione sistematica: situazione giuridica del tutto autonoma o, piuttosto, espressione del diritto alla riservatezza o alla identità personale. Prevalente è l'opinione che la configura come diritto della personalità tipico e autonomo, svincolato dalla mera fisicità (Cendon, 594). Manca nel codice civile una norma descrittiva di questo diritto: tuttavia, corrisponde a un patrimonio nozionistico ormai acquisito, l'intendere l'immagine come rappresentazione visiva o riproduzione grafica delle sembianze fisiche di un soggetto o, in senso più ampio, dei suoi tratti morali, intellettuali e sociali. Il diritto all'immagine è riconosciuto anche in capo alle persone giuridiche e agli enti non personificati. Regime giuridicoIl diritto all'immagine è tutelato in modo tipico dal codice civile. Non è situazione giuridica soggettiva espressamente menzionata nella Costituzione, ma quivi certamente alberga come diritto fondamentale (art. 2 Cost.). Nelle leggi speciali, il diritto all'immagine incontra, invece, diversi momenti di tutela e regolamentazione: in particolare, negli artt. 96 e 97 l. n. 633/1941 (l. diritto d'Autore). Questa normativa, precisa che il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa. Tuttavia, non occorre il consenso della «persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico». Il ritratto «non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata». Qualora l'immagine sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi sopra indicati, «l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni». L'art. 10, dunque, consente il ricorso all'azione inibitoria e a quella risarcitoria. La legittimazione attiva spetta, in primis, all'interessato ma è anche riconosciuta ai genitori, al coniuge e ai figli, in nome del principio di solidarietà familiare. È predicabile una estensione della legittimazione attiva anche al convivente ove la relazione si distingua per intensità e stabilità del vincolo al punto da giustificare il medesimo trattamento giuridico. Questa tesi è oggi avvalorata dal riconoscimento della convivenza di fatto ad opera della l. n. 76/2016. Per la protezione preventiva, è ammissibile il ricorso al procedimento d'urgenza, ex art. 700 c.p.c. (Cian, Trabucchi, 87). Immagini di persona privata della libertà personaleLa giurisprudenza e la dottrina si soffermano molto sulla liceità della pubblicazione delle immagini di una persona privata della libertà personale (v. Cass. n. 7261/2008). Secondo la giurisprudenza della Cassazione, la diffusione per finalità giornalistiche dell'immagine di persona cui è attribuito un reato, quale dato personale sottoposto allo stesso trattamento dei dati identificativi anagrafici, è essenziale per l'esercizio del diritto di cronaca, in relazione all'interesse pubblico alla identificazione del soggetto, purché sia rispettosa degli ulteriori limiti della pertinenza e della continenza (Cass. n. 12834/2014). La S.C. richiama comunque al rispetto sia dei limiti di essenzialità per illustrare il contenuto della notizia, sia di quelli dell'esercizio del diritto di cronaca, con le particolari cautele imposte a tutela della persona ritratta dal codice deontologico dei giornalisti che costituisce fonte normativa integrativa (Cass. n. 194/2014). La questione ha comunque indotto anche il Legislatore a intervenire sul tema, attraverso la disciplina di diritto comune inclusa nell'art. 114 c.p.p. (nella sua versione dapprima modificata con l'art. 10, comma 8, l. n. 112/2004 e, più di recente, con l'art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 216/2017. L'art. 114, comma 6-bis, c.p.p. (introdotto dalla l. n. 479/1999) prevede che “E' vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta”. Questa norma è tesa a salvaguardare la dignità e la riservatezza della persona arrestata o altrimenti sottoposta a restrizione della libertà personale mirando, tra l'altro, a porre freno a certe deplorevoli forme di spettacolarizzazione della giustizia da tempo invalse in tema di cronaca giudiziaria (così Triggiani, in Perchinunno , 341). Consenso dell'avente dirittoCi si interroga circa la disponibilità (e quindi negoziabilità) del diritto alla immagine. Quale che sia la tesi sposata, è certo che è possibile disporre dell'esercizio del diritto all'immagine, mediante un contratto avente ad oggetto lo sfruttamento economico del ritratto della persona fisica della cui identità si dispone. I profili suscettibili di disposizione sono i più vari: non solo la mera immagine dell'avente diritto ma anche la sua rappresentazione sotto forma di segni, avatar o personaggi virtuali. Si discorre, in questo caso, di right of publicity ossia diritto allo sfruttamento commerciale della propria immagine, inteso come diritto a sé stante, legato all'immagine ma avente carattere autonomo (Tozzi, 97). La Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all'immagine ma soltanto l'esercizio di tale diritto, sicché, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, il consenso resta distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene ed è sempre revocabile, qualunque sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita ed a prescindere dalla pattuizione convenuta, che non integra un elemento del negozio autorizzativo (Cass. n. 1748/2016). Ai sensi dell'art. 10, nonché degli artt. 96 e 97 l. n. 633/1941 sul diritto d'autore, la divulgazione dell'immagine senza il consenso dell'interessato è lecita soltanto se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione, non anche quando sia rivolta a fini pubblicitari. (Cass. n. 1748/2016 cit.). Sempre in argomento è stato quindi specificato che l'esimente prevista dall'art.97 della l. n.633 del 1941, secondo cui non occorre il consenso della persona ritratta in fotografia quando, tra l'altro, la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico ricoperto, ricorre non solo allorché il personaggio noto sia ripreso nell'ambito dell'attività da cui la sua notorietà è scaturita, ma anche quando la fotografia lo ritrae nello svolgimento di attività a quella accessorie o comunque connesse, fermo restando, da un lato, il rispetto della sfera privata in cui il personaggio noto ha esercitato il proprio diritto alla riservatezza, dall'altro, il divieto di sfruttamento commerciale dell'immagine altrui, da parte di terzi, al fine di pubblicizzare o propagandare, anche indirettamente, l'acquisto di beni e servizi (Cass. n.19515/2022). Questione complessa è quella relativa alla pubblicazione di immagini di persona nota. Recentemente, la Suprema Corte ha affermato che dall'espressa volontà di vietare la pubblicazione di foto relative alla propria vita privata, riferita ad un soggetto molto conosciuto (nella specie un notissimo attore) non discende l'abbandono del diritto all'immagine che ben può essere esercitato, per un verso, mediante la facoltà, protratta per il tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinate fotografie, senza che ciò comporti alcun effetto ablativo e, per altro verso, mediante la scelta di non sfruttare economicamente i propri dati personali, perché lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto. Ne consegue che, nell'ipotesi di plurime violazioni di legge dovute alla pubblicazione e divulgazione di fotografie in dispregio del divieto, non può escludersi il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, che ben può essere determinato in via equitativa (Cass. n. 1875/2019). Diritto all’immagine e diritto di cronacaSovente, il diritto all'immagine entra in conflitto con il diritto di cronaca: in questi casi, la giurisprudenza predica un balancing caso per caso ammettendo una divulgazione senza consenso dell'immagine altrui in presenza delle condizioni legittimanti l'esercizio del diritto di cronaca. Detta presenza, tuttavia, non implica, di per sè, la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell'immagine delle persone coinvolte, la cui liceità è subordinata, oltre che al rispetto delle prescrizioni contenute negli artt. 10, 96 e 97 l. n. 633/1941, nonché nel Codice della privacy e dell'art. 8 del Codice deontologico dei giornalisti, “anche alla verifica in concreto della sussistenza di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata, nell'ottica della essenzialità di tale divulgazione ai fini della completezza e correttezza della informazione fornita” (Cass. n. 18006/2018). Sempre in argomento rileva Cass. n. 8880/2020 la quale ha recentemente affermato che la pubblicazione dell'immagine di un minore in scene di manifestazioni pubbliche (o anche private ma di rilevanza sociale) o di altre iniziative collettive non pregiudizievoli, in assenza di consenso al trattamento validamente prestato, è legittima, in quanto aderente alle fattispecie normative di cui all'art. 97 della l. n. 633 del 1941, se l'immagine che ritrae il minore possa considerarsi del tutto casuale ed in nessun caso mirata a polarizzare l'attenzione sull'identità del medesimo e sulla sua riconoscibilità (da ultimo in questo senso Cass. n. 2978/2024) . In applicazione del principio di cui innanzi è stata ritenuta illecita l'acquisizione e la pubblicazione dell'immagine di due minori, in assenza di previa acquisizione del consenso non essendo quest'ultimo sostituibile dalla presenza di cartelli di avviso dello svolgimento di un servizio fotografico con finalità promozionali, essendo le fotografie specificatamente incentrate nell'atto di utilizzare uno scivolo gonfiabile, in occasione della sua inaugurazione. Diritto all’oblioIl tema del diritto all'immagine è legato anche al tema del diritto alla cancellazione (cd. diritto all'oblio). Questa situazione giuridica soggettiva fa capo al diritto dell'interessato di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Si tratta di diritto oggi regolato a livello eurounitario, dall'art. 17 del Regolamento (UE) 2016/679 (regolamento generale sulla protezione dei dati), rubricato: Diritto alla cancellazione, «diritto all'oblio». Si tratta di diritto che pone diversi interrogativi, soprattutto al cospetto delle società di informazione e di erogazione di servizi digitali (si pensi, in particolare, alla questione della deindicizzazione). In tempi recenti, il tema è stato affrontato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, con sentenza del 24 settembre 2019, causa C-507/17. In questa occasione, la Corte di Lussemburgo ha precisato che, allo stato attuale, non sussiste, per il gestore di un motore di ricerca che accoglie una richiesta di deindicizzazione presentata dall'interessato, eventualmente a seguito di un'ingiunzione di un'autorità di controllo o di un'autorità giudiziaria di uno Stato membro, un obbligo, derivante dal diritto dell'Unione, di effettuare tale deindicizzazione su tutte le versioni del suo motore. Il diritto dell'Unione obbliga tuttavia il gestore di un motore di ricerca a effettuare tale deindicizzazione nelle versioni del suo motore di ricerca corrispondenti a tutti gli Stati membri e ad adottare misure sufficientemente efficaci per garantire una tutela effettiva dei diritti fondamentali della persona interessata. In tal senso, una simile deindicizzazione deve, se necessario, accompagnarsi a misure che permettano effettivamente di impedire - o quantomeno di scoraggiarli seriamente dal farlo - agli utenti di Internet che effettuano una ricerca sulla base del nome dell'interessato a partire da uno degli Stati membri di accedere, attraverso l'elenco dei risultati visualizzato in seguito a tale ricerca mediante una versione «extra UE» del suddetto motore, ai link oggetto della domanda di deindicizzazione. Sul punto si è recentemente espressa Cass.n. 34658/2022 la quale ha statuito che, in conformità al diritto dell'Unione europea, il Garante per la protezione dei dati personali, ed anche il giudice investito della questione, possono ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare la deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraeuropee, di determinati URL dal menzionato motore, previo bilanciamento del diritto della persona interessata alla tutela della vita privata e alla protezione dei suoi dati personali con il diritto alla libertà d'informazione, da operarsi secondo gli standard di protezione dell'ordinamento italiano. Il tema del diritto all'oblio è stato incluso sovente anche nell'agenda della Suprema corte che lo ha esaminato rispetto ad alcuni particolari questioni. In primo luogo, rispetto al diritto di cronaca (v. sentenza Cass. n. 6919/2018). Per la Suprema Corte dal quadro normativo e giurisprudenziale nazionale (artt. 2 Cost., 10 c.c. e 97 della l. n. 633/1941) ed europeo (artt. 8 e 10, comma 2, della Cedu e 7 e 8 della c.d. “Carta di Nizza”), si ricava che il diritto fondamentale all'oblio può subire una compressione, a favore dell'ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza dei seguenti specifici presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell'immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l'interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell'immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali); 3) l'elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l'informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell'interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell'immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all'interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al pubblico. Altro tema di interesse è quello relativo ai rapporti tra diritto alla cancellazione è diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato. Per la Suprema Corte va affermata la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall'art. 21 Cost.: tuttavia, il giudice ha il compito di valutare l'interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell'ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l'interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito. In caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell'onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (Cass. S.U. n. 19681/2019: fattispecie relativa ad un omicidio commesso ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva e si era reinserito positivamente nel contesto sociale). BibliografiaBaratta R., Diritto internazionale privato, Milano, 2010; Bartolini, La commorienza del beneficiario e del contraente-assicurato, in Dir. prat. ass. 1959, 122; Bianca C. M., Diritto civile, I. La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002; Birkhoff J. M., Nozioni di medicina legale. 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