Codice Civile art. 24 - Recesso ed esclusione degli associati.

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Recesso ed esclusione degli associati.

[I]. La qualità di associato non è trasmissibile, salvo che la trasmissione sia consentita dall'atto costitutivo o dallo statuto.

[II]. L'associato può sempre recedere dall'associazione se non ha assunto l'obbligo di farne parte per un tempo determinato. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto con lo scadere dell'anno in corso, purché sia fatta almeno tre mesi prima [2285].

[III]. L'esclusione d'un associato non può essere deliberata dall'assemblea che per gravi motivi; l'associato può ricorrere all'autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione [2286].

[IV]. Gli associati, che abbiano receduto o siano stati esclusi o che comunque abbiano cessato di appartenere all'associazione, non possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio dell'associazione [37].

Inquadramento

La qualità di associato designa la posizione di parte nel rapporto contrattuale di associazione ed individua, dunque, la titolarità di quella somma di diritti e di doveri che dal contratto di associazione derivano in capo a ciascuno dei contraenti (Galgano, par. 59). La qualità di associato ha carattere strettamente personale e, pertanto, è intrasmissibile sia per atto inter vivos che mortis causa: il contratto associativo ha, quindi, natura intuitu personae.

L'intrasmissibilità può essere esclusa, però, dallo statuto o dall'atto costitutivo (Cass. n. 22489/2006) che può anche includere, in deroga, la trasmissione della qualità di associato per contratto, ad esempio a titolo oneroso: l'alienazione del rapporto associativo non è incompatibile con lo scopo no profit dell'associazione (Cian, Trabucchi,116).

L'intrasmissibilità presidia l'esigenza di evitare l'ingresso nella compagine associativa di un nuovo soggetto senza o contro la volontà del complesso degli associati (Cendon, 695). In dottrina si registra polifonia interpretativa a margine della questione relativa alla clausola di trasmissibilità inserita nello statuto dell'ente: infatti, secondo taluni, essa clausola opererebbe automaticamente sia per il trasferimento ereditario che contrattuale della qualità di associato, con il solo onere, in caso di cessione inter vivos, della notifica dell'atto agli amministratori o della loro accettazione; secondo altri, invece, l'operatività automatica riguarderebbe la sola trasmissione mortis causa richiedendo, quella per atto contrattuale, il consenso dell'organo della compagine associativa. Vicende che comunque incidono sul rapporto associativo sono anche il recesso dell'associato e la sua esclusione: nel primo caso, si assiste ad un atto di volontà della parte contraente; nel secondo caso, si verifica una vicenda espulsiva. In entrambi i casi, gli associati non possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio dell'associazione (art. 24, comma 4).

Recesso dell'associato

L'associato può recedere liberamente dall'associazione purché non abbia assunto l'obbligo di farne parte per un tempo determinato. Il diritto di recesso risponde all'esigenza di tutelare la libertà di associazione. La dichiarazione di recesso costituisce un negozio unilaterale recettizio, deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto con lo scadere dell'anno in corso, purché sia fatta almeno tre mesi prima.

Si tratta, tuttavia, di una disciplina derogabile (Cass. n. 6554/2001). Il regime a carattere negoziale, in deroga a quello legale, incontra, però, dei limiti, in particolare sotto l'aspetto del differimento nel tempo della facoltà di recesso: premesso che sarebbe tacciata di nullità una clausola che addirittura escludesse la facoltà di recesso, la S.C., infatti, ha avuto modo di chiarire che ove un'associazione persegua (anche) finalità connesse al pensiero ed alle ideologie (ad esempio, un sindacato o un partito politico), il differimento della facoltà di recesso può tradursi in una menomazione o compressione della libertà di cui all'art. 21 Cost., comportando il dovere dell'associato di uniformarsi ad idee ed iniziative non più condivise. Quando, invece, l'associazione abbia compiti e fini esclusivamente economici, la menzionata evenienza deve essere in radice negata, rientrando nell'autonomia contrattuale dei partecipanti la fissazione della durata di diritti ed obblighi disponibili, in armonia con la causa negoziale (Cass. n. 5476/1998). In effetti, la clausola che imponga la persistenza del vincolo associativo per un determinato periodo di tempo rischia di porsi in aperto contrasto con la libertà negativa di associazione, tutelata, al pari della libertà (positiva) di associazione, dall'art. 18 Cost.: ecco perché, a prescindere dal regime statutario, rimane salva la facoltà di recesso per giusta causa con effetto immediato, come quando venga meno un requisito essenziale per la partecipazione all'associazione, ovvero — nel caso di organizzazioni di tendenza (associazioni su base ideologica, politica o religiosa) — allorché l'associato dissenta dalle finalità dell'associazione, dovendo in tal caso prevalere il diritto (costituzionalmente garantito ed assolutamente non comprimibile ex artt. 2 e 21 Cost.) di manifestare le proprie opinioni e di autodeterminarsi in ordine ad esse, con conseguente cessazione immediata del vincolo associativo, anche se possono persistere vincoli meramente finanziari (Cass. n. 4244/1997).

Esclusione

La qualità di associato può estinguersi per esclusione. In particolare, l'esclusione d'un associato può essere deliberata dall'assemblea per gravi motivi: la clausola è interpretata dalla dottrina nel senso di comportamento posto in essere dall'associato che costituisca grave inadempimento degli obblighi inerenti al rapporto associativo oppure che riveli una sopravvenuta mancanza dei requisiti originari pretesi per la partecipazione alla compagine (Cendon, 116). Si assume che anche una condotta gravemente censurabile, sul piano morale, potrebbe essere valutata in funzione dell'esclusione. La delibera di esclusione deve contenere la motivazione, non meramente generica, che enuclei in modo dettagliato l'addebito rivolto all'associato nonché i motivi per cui esso è denotato dal carattere della gravità nel contesto degli obblighi associativi. In ogni caso, l'associato può ricorrere all'autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione che deve essere assunta dall'assemblea. Ci si chiede se la competenza assembleare per decretare l'esclusione possa essere derogata: sul punto, si assiste ad orientamenti contrapposti, sia in dottrina che giurisprudenza. Secondo taluni la competenza non potrebbe che essere assembleare al fine evitare una svalutazione del metodo democratico; secondo altri, la norma conserverebbe carattere derogabile sul punto consentendo, dunque, la rimessione della competenza ad altri organi.

Sindacato sulla decisione di  esclusione

La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito che la norma dettata dall'art. 24, nel condizionare l'esclusione dell'associato all'esistenza di gravi motivi, e nel prevedere, in caso di contestazione, il controllo dell'autorità giudiziaria, implica per il giudice davanti al quale sia proposta l'impugnazione della deliberazione di esclusione, il potere non solo di accertare che l'esclusione sia stata deliberata nel rispetto delle regole procedurali stabilite dalla legge o dall'atto costitutivo dell'ente, ma anche di verificarne la legittimità sostanziale, e quindi di stabilire se sussistono le condizioni legali e statutarie in presenza delle quali un siffatto provvedimento può essere legittimamente adottato. In particolare, la gravità dei motivi, che può giustificare l'esclusione di un associato, è un concetto relativo, la cui valutazione non può prescindere dal modo in cui gli associati medesimi lo hanno inteso nella loro autonomia associativa; di tal che, ove l'atto costitutivo dell'associazione contenga già una ben specifica descrizione dei motivi ritenuti così gravi da provocare l'esclusione dell'associato, la verifica giudiziale è destinata ad arrestarsi al mero accertamento della puntuale ricorrenza o meno, nel caso di specie, di quei fatti che l'atto costitutivo contempla come causa di esclusione (Cass. n. 22986/2019). Quando, invece, nessuna indicazione specifica sia contenuta nel medesimo atto costitutivo, o quando si sia in presenza di formule generali ed elastiche, destinate ad essere riempite di volta in volta di contenuto in relazione a ciascun singolo caso, o comunque in qualsiasi altra situazione nella quale la prefigurata causa di esclusione implichi un giudizio di gravità di singoli atti o comportamenti, da operarsi necessariamente "post factum", il vaglio giurisdizionale si estende necessariamente anche a quest'ultimo aspetto (giacché, altrimenti, si svuoterebbe di senso la suindicata disposizione dell'art. 24 c.c.).

Associazioni non riconosciute

La norma dettata dall'art. 24, secondo cui gli organi associativi possono deliberare l'esclusione dell'associato per gravi motivi, è applicabile anche alle associazioni non riconosciute, ed implica che il giudice davanti al quale sia proposta l'impugnazione della deliberazione di esclusione abbia il potere-dovere di valutare se si tratti di fatti gravi e non di scarsa importanza, cioè se si sia avverata in concreto una delle ipotesi previste dalla legge e dall'atto costitutivo per la risoluzione del singolo rapporto associativo, prescindendo dall'opportunità intrinseca della deliberazione stessa (in questi sensi, in giurisprudenza, v. Cass. n. 22986/2019).

Bibliografia

Barba A., Pagliantini S. (a cura di), Commentario del codice civile, Torino, 2014; Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2014; Cendon (a cura di), Commentario al codice civile. Artt. 1 - 142, Milano, 2009; Cerrina Feroni G., Fondazione e banche. Modelli ed esperienze in Europa e negli Stati Uniti, Torino, 2011; Cian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Galgano, Trattato di Diritto Civile, Padova, 2014; Iorio, Le trasformazioni eterogenee e le fondazioni, Milano, 2010; Lipari, Diritto Civile, Milano, 2009; Perlingieri P., Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Petrelli G., Formulario notarile commentato, Milano, 2011; Sarale, Trasformazione e continuità dell'impresa, Milano, 1996, 88; Sesta M., Codice delle successioni e donazioni, I, Milano, 2011; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015;. Zoppini, Le fondazioni, Napoli, 1995.

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