Codice Civile art. 43 - Domicilio e residenza.

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Domicilio e residenza.

[I]. Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi [343, 354, 456; 14 Cost.; 18, 139 c.p.c.; 614, 615-bis c.p.].

[II]. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale [94, 144 1; 18, 139 c.p.c.].

Inquadramento

Domicilio, residenza e dimora individuano le sedi della persona fisica ossia i luoghi in cui questa è collegata con un minimo di continuità (Bianca C. M., 2014, 117). La dimora è il luogo ove la persona si trova temporaneamente e occasionalmente: essa presuppone un soggiorno, sia pur breve ma non momentaneo, in un determinato luogo (Perlingieri, 116). Più semplicemente, la dimora è il luogo in cui la persona abita. Domicilio e residenza vengono invece intesi, rispettivamente, come quid iuris e quid facti. Il domicilio è costituito da un elemento intenzionale (la volontà di costituire e mantenere in un luogo la sede principale dei propri interessi) e da un elemento materiale (ossia l'aver la persona effettivamente stabilito in quel luogo il centro delle relazioni che la riguardano). Il domicilio è, pertanto, il centro della vita di relazione della persona e, dunque, la sua sede principale. La residenza si fonda, invece, sulla permanenza, con sufficiente stabilità, in un luogo; situazione di fatto che comprende in sé quella, intenzionale, della volontà di dimorare in quel luogo (Perlingieri, 115). Residenza è, in genere, l'abitazione in cui la persona abita (ossia ha dimora). Domicilio e residenza in genere coincidono: l'abitazione della persona è anche il luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi interessi e affetti; talvolta, invece, sono diversi. Ciò accade soprattutto quanto la persona fisica ha fissato la sede dei suoi interessi professionali in un luogo diverso da quello in cui conduce la sua vita personale. Si pensi al professionista (il medico, l'avvocato, etc.) che ha il domicilio presso il suo studio professionale e la residenza presso la sua abitazione. Il domicilio è, in genere, un atto di elezione ma in alcuni casi è individuato dalla legge: come accade, ad esempio, per le persone minori di età (v. art. 45). A differenza di altri ordinamenti europei, la codificazione italiana del 1942, con continuità rispetto alle scelte del Codice del 1865, non ha accolto la soluzione dell'unicità della sede della persona fisica ed ha, al contrario, previsto una pluralità di relazioni tra l'individuo e il territorio (Cian, Trabucchi, 134). La residenza della persona fisica è annotata nei registri dell’ufficio anagrafe di ogni comune: tuttavia, l’annotazione non è costitutiva della residenza ma ha un valore di presunzione (Stanzione, 121).

Domicilio

Il domicilio individua il luogo ove la persona ha stabilito il centro principale dei propri affari e interessi (Cass. n. 21370/2011) sicché riguarda la generalità dei rapporti del soggetto, non solo economici, ma anche morali, sociali e familiari. Esso va individuato, ai sensi dell'art. 43, nel “luogo in cui (il soggetto) ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi”: a determinarlo concorrono quindi un elemento di carattere oggettivo, dato dal luogo in cui è posta la sede principale degli affari e degli interessi (anche morali) e da un elemento volontaristico (Cass. S.U., n. n. 9380/1997). Al lume delle considerazioni sin qui svolte, affinché possa ritenersi verificato un trasferimento di domicilio, debbono risultare inequivocabilmente accertati sia il concreto spostamento da un luogo all'altro del centro di riferimento del complesso dei rapporti della persona, sia l'effettiva volontà d'operarlo, a prescindere dalla dimora o dall'effettiva presenza in quel determinato luogo. Lo stato detentivo non configura domicilio che presuppone, come detto, l'elemento soggettivo del volontario stabilimento (Cass. n. 20471/2015). Il codice di diritto comune regola il domicilio sotto alcune particolari prospettive: il domicilio dei coniugi, del minore e dell'interdetto (art. 45), il domicilio (sede) della persona giuridica (art. 46), il domicilio cd. eletto (art. 47).

È bene ricordare che, a rigore, il concetto di domicilio fa riferimento all'ambito territoriale rappresentato dal Comune, sì che ogni spostamento della sede dei propri affari all'interno di tale circoscrizione amministrativa non comporta modifica del domicilio (Cian, Trabucchi, 139).

Domicilio digitale

Il domicilio digitale è un indirizzo di PEC o equivalente (servizi di recapito certificato) da dichiarare alla Pubblica Amministrazione. In base all'art. 1, comma 1, lett. n-ter del CAD (codice dell'amministrazione digitale: d.lgs. n. 82/2005) il domicilio digitale è «un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal regolamento (UE) 23 luglio 2014 n. 910 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE, di seguito «Regolamento eIDAS»,valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale». L'art. 3-bis del CAD, come modificato dal d.lgs. n. 179/2016, stabilisce che “chiunque ha il diritto di accedere ai servizi on-line offerti dai soggetti di cui all'art. 2, comma 2, lett. a) e b), tramite la propria identità digitale” e riconosce a chiunque la facoltà di eleggere il proprio domicilio digitale da iscrivere nell'elenco di cui all'art. 6-quater, CAD (ossia, il pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese).

Residenza

La residenza di una persona, secondo la previsione dell'art. 43, è determinata dall'abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l'elemento oggettivo della permanenza e per l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali (Cass. n. 25726/2011). La residenza è presuntivamente determinabile, fino a prova contraria, sulla scorta delle risultanze anagrafiche (Cass. n. 662/2000). In virtù dell'art. 2 l. n. 1228/1954 (ordinamento delle anagrafi della popolazione residente), infatti, sulla persona fisica grava l'obbligo di richiedere l'iscrizione anagrafica nel Comune in cui dimora abitualmente (ossia dove ha la residenza). L'iscrizione va perfezionata presso il competente ufficio pubblico del Comune di residenza (ufficio d'Anagrafe), diretto dal Sindaco, quale ufficiale dell'anagrafe. La residenza anagrafica è assistita da un regime legale di pubblicità (v. d.P.R. n. 223/1989, modificato dal d.P.R. n. 126/2015, per l'adeguamento alla disciplina istitutiva dell'anagrafe nazionale della popolazione residente). Successivamente, il legislatore ha semplificato la procedura sottesa ai cambiamenti anagrafici, introducendo il regime del «cambio di residenza in tempo reale» (v. art. 5 d.l. 5/2012 conv. in l. 35/2012).

Va ricordato come, in genere, la dottrina tenda ad affermare la non sovrapponibilità né la coincidenza tra la disciplina codicistica della residenza e quella anagrafica, la prima rispondendo a un “fatto”, la seconda a un “atto formale”: tuttavia, al lume delle più recenti riforme, i due istituti, se non coincidenti, sono quanto meno ormai coesistenti.

Residenza Fiscale

La residenza “fiscale” è quella che comporta l'assoggettamento della persona fisica alle imposte dirette dello Stato. Il requisito formale della residenza anagrafica è, in genere, sufficiente per l'acquisizione della residenza fiscale (cfr. in termini Cass. n. 9319/2006; Cass. n. 14434/2010). Ai fini delle imposte dirette, pertanto, le persone che sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, in applicazione del criterio formale dettato dall'art. 2 d.P.R. n. 917/1986, si considerano residenti e pertanto soggetti passivi d'imposta in Italia (Cass. n. 677/2015).

Con specifico riferimento alle 'imposte sui redditi, in forza del combinato disposto degli artt. 2 T.U.I.R. e 43 c.c., si considera soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all'estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d'imposta, il suo domicilio, da intendersi quale sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi ed a prescindere dalla sua iscrizione nell'AIRE.  (Cass. n. 21694/2020).

 

Dimora

La dimora è la sede nella quale la persona abita e, in genere, coincide con la residenza. La persona che non ha fissa dimora si considera residente nel Comune ove ha il domicilio, e in mancanza di questo, nel Comune di nascita (art. 2 comma 3, l. 1228/1954). La nozione di dimora prescinde dalla abitualità o normalità che qualifica il concetto di residenza ma nemmeno coincide con il mero soggiorno in un certo luogo.

Secondo la dottrina, dimorare coincide con “abitare” e, dunque, presuppone una certa continuità di abitudini di vita un certo luogo (Bianca C. M., 2014, 119). Per questo motivo, il soggiorno in un hotel o un albergo, anche se lungo, non costituisce dimora.

Rilevanza processuale

La sede della persona ha rilevanza giuridica sotto diversi aspetti e, in particolare, ai fini processuali. Guardando, in questa sede, a titolo di esempio, alle sole disposizioni processuali civili, è appena il caso di ricordare che, ad esempio, la residenza o il domicilio del convenuto costituiscono il foro generale delle persone fisiche ai sensi dell'art. 18 c.p.c.; inoltre, gli atti del processo debbono essere notificati, in difetto di consegna in mani proprie, presso la residenza del destinatario (v. art. 139 c.p.c.).

Residenza e libertà fondamentali

La scelta della sede della persona fisica è espressione della libertà fondamentale di cui all'art. 16 Cost., cioè la libertà di soggiorno e circolazione. Ne consegue che la libertà di scelta della residenza può essere limitata solo eccezionalmente (Corte cost. n. 24/1969).

Un riconoscimento della libertà di cui si tratta, si ricava dall'art. 120 Cost. in base al quale la Regione non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone tra le Regioni (Pizzorusso, Romboli, Brescia, De Vita, in Comm. S. B., 1988, 204).

Residenza e convivenza di fatto

La l. n.  76/ 2016, all’art. 1 comma 36, ha introdotto una nozione legale di convivenza di fatto, accompagnata da una previsione in merito al suo accertamento (art. 1 comma 37). Ci si chiede se la nozione normativamente accolta dal Legislatore imponga la comune residenza anagrafica.

A fronte dell’opinione in tal senso dell’apparato amministrativo, deve propendersi per la soluzione opposta. Come già in passato ha avuto modo di osservare la giurisprudenza, «la comune residenza non si atteggia ad elemento costitutivo della convivenza more uxorio» (Cons. st., 16 gennaio 2015). Che la residenza comune non sia elemento costitutivo si ricava, in realtà, anche dal comma 53 dell’art. 1 l. n. 76/2016. Questa disposizione, regolativa dei contenuti del contratto di convivenza, indica come necessaria l’indicazione dell’indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo; con ciò lasciando intendere che ben possono i conviventi avere residenze separate; al contrario, dichiara solo eventuale (“il contratto può contenere”) l’indicazione della residenza (comune).

L’evoluzione interpretativa, sulla questione, è nei sensi qui auspicati. Da ultimo, ad esempio, si è espressa in questa direzione anche l’Agenzia delle Entrate con la risposta a quesito n. 463 del 2019 affermando che lo status di convivente può essere riconosciuto sulla base di una autocertificazione “sebbene la convivenza con il de cuius non risulti da alcun registro anagrafico e la convivente superstite non abbia la residenza anagrafica nella casa di proprietà del de cuius”.

Bibliografia

Cian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015.

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