Codice Civile art. 119 - Interdizione (1).Interdizione (1). [I]. Il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente [85, 414] può essere impugnato dal tutore, dal pubblico ministero [69, 70 c.p.c.] e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo se, al tempo del matrimonio, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato [324 c.p.c.], ovvero se la interdizione è stata pronunziata posteriormente ma l'infermità esisteva al tempo del matrimonio [427 3]. Può essere impugnato, dopo revocata l'interdizione [429], anche dalla persona che era interdetta. [II]. L'azione non può essere proposta se, dopo revocata l'interdizione, vi è stata coabitazione per un anno [120 2, 122 4, 123 2, 125]. (1) Articolo così sostituito dall'art. 14 l. 19 maggio 1975, n. 151. InquadramentoL'interdetto per infermità di mente (v. artt. 414 e ss.) non può contrarre matrimonio (v. art. 85): per la ragione logica legata alla mancanza di valida capacità di intendere e volere e, dunque, l'impossibilità di comprendere gli effetti del vincolo matrimoniale e consapevolmente instaurare un rapporto familiare. Questo divieto disvela anche un lato protettivo: impedisce all'incapace di stipulare un negozio che ha comunque ricadute sul suo patrimonio. Matrimonio dell'interdettoIl matrimonio dell'interdetto è annullabile poiché il consenso da questi prestato è viziato. In particolare, l'art. 119 prende in considerazione due distinte ipotesi, così coordinandosi con l'art. 85. Un primo caso, è quello in cui l'interdetto abbia contratto matrimonio quando la sentenza di interdizione era già passata in giudicato: in questa ipotesi, è evidente lo iato tra cerimonia matrimoniale e capacità del nubendo e il processo invalidatorio è, più che altro, documentale. Può però accadere che l'interdizione sia pronunciata dopo il matrimonio: in questo caso, il vincolo è annullabile ma purché «l'infermità esisteva al tempo del matrimonio». È bene ricordare, peraltro, che dopo la promozione della domanda interdittiva, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la celebrazione del matrimonio (art. 85). Legittimati a impugnare solo il tutore, il pubblico ministero e tutti coloro che abbiano un interesse legittimo: anche la persona sottoposta a interdizione potrebbe impugnare, personalmente: ma solo dopo la revoca della misura di protezione. In tutti i casi, l'azione non può essere proposta se, dopo revocata l'interdizione, vi è stata coabitazione per un anno, purché si sia trattato di coabitazione ininterrotta (Cass. n. 263/1972). Ci si interroga circa la legittimazione attiva del coniuge dell'interdetto: ove questi ignorasse la condizione di interdizione del coniuge, potrebbe avvalersi della disposizione di cui all'art. 122 (errore). Fuori da questa ipotesi, una interpretazione coerente con gli interessi coinvolti, deve condurre a ritenere che il coniuge rientri in ogni caso nell'ambito di «coloro che hanno un interesse legittimo»: il matrimonio con l'interdetto è atto che l'ordinamento ripudia e, pertanto, va privilegiata quell'interpretazione che ne consente la rimozione. E' stato recentemente chiarito che dal disposto degli artt. 119 e 120 c.c. si evince che, ove la pronuncia di interdizione per infermità mentale di uno dei coniugi sia passata in giudicato al momento del matrimonio, i legittimati all'impugnazione sono esonerati dalla prova del vizio della volontà; negli altri casi, invece, l'esistenza dell'infermità o dell'incapacità di intendere e di volere al momento del matrimonio deve essere provata da chi agisce per l'impugnazione del vincolo nuziale. Sicché, in assenza della pronuncia di interdizione passata in giudicato al momento del matrimonio, l'infermità di mente non può essere desunta direttamente dalla successiva pronuncia di interdizione, poiché è richiesto un accertamento, specifico e in concreto, sulla sua esistenza al momento del matrimonio (Cass.n. 1770/2024). Amministrazione di sostegnoL'art. 119 non è applicabile all'amministrazione di sostegno: il regime protettivo previsto dall'art. 404, infatti, predica un tessuto normativo orientato dalla presunta capacità del beneficiario per tutti gli atti che non siano limitati ex art. 409. Vi è, però, da osservare che il giudice tutelare potrebbe apporre al beneficiario, a mezzo dell'art. 411, limitazioni analoghe a quelle previste in materia di interdizione e, in particolare, anche quella di cui all'art. 85: in questo caso, come negli altri, il referente per l'impugnazione resta, però, l'art. 120 che può essere promossa anche dall'amministratore di sostegno, dopo rituale autorizzazione del G.T. Unione civileLa norma in commento è tra quelle richiamate dall'art. 1 comma 20, l. n. 76/2016 ed è quindi applicabile anche all'unione civile. BibliografiaCian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Sesta ( a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015. |