Codice Civile art. 120 - Incapacità di intendere o di volere (1).Incapacità di intendere o di volere (1). [I]. Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio [428, 591 n. 3, 775]. [II]. L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali [119 2, 122 4, 123 2]. (1) Articolo così sostituito dall'art. 15 l. 19 maggio 1975, n. 151. InquadramentoIl divieto di contrarre matrimonio per l'interdetto (art. 85) e le relativa disciplina impugnatoria (art. 119) traggono linfa dalla presunzione di incapacità del nubendo a stipulare il vincolo matrimoniale a causa della scemata capacità di intendere e di volere. Essa invero può ben mancare anche in assenza di una misura protettiva: ecco perché l'art. 120 predica che l'impugnativa possa essere promossa anche da chi, non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere e volere al momento della celebrazione del matrimonio, anche per una causa transitoria. Ove si aderisca alla tesi qui sostenuta, nel senso che anche l'ufficiale di stato civile potrebbe rilevare lo stato di incapacità e rifiutare la celebrazione, è evidente che la causa incapacitante ex art. 120 è quella che non sia stata percepita dal funzionario. In generale, l'azione per impugnare il matrimonio affetto da vizi della volontà ovvero da incapacità di intendere e di volere di uno dei coniugi ha carattere personale ed è trasmissibile agli eredi solo qualora il relativo giudizio sia già pendente al momento della morte di detto coniuge, il quale è titolare esclusivo del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio; l'azione di nullità, inoltre, pur essendo promuovibile dal pubblico ministero, ex art. 125, non può più essere esperita dopo la morte di uno dei coniugi (v. ex multis, Cass. n. 4653/2018). Matrimonio dell'incapaceIl matrimonio contratto senza capacità di intendere e volere è annullabile. Sono due i presupposti costitutivi dell'azione ex art. 120: l'uno positivo (lo stato di incapacità di intendere o di volere del nubendo, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio); l'altro negativo (che non vi sia stata coabitazione per un anno, dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali). L'istituto rappresenta un risvolto applicativo della regola generale di cui all'art. 428 (negozio concluso dall'incapace), depurato della rilevanza della riconoscibilità esterna dell'incapacità e, dunque, della tutela dell'affidamento del coniuge capace. Ai fini dell'annullamento del matrimonio per incapacità naturale, non è necessaria la prova che, al momento del compimento dell'atto, il soggetto fosse affetto da una malattia idonea ad escludere in modo totale ed assoluto le sue facoltà mentali, ma è sufficiente l'accertamento di un perturbamento psichico, anche transitorio e non dipendente da una precisa forma patologica, tale da menomare gravemente, pur senza farle venire completamente meno, le capacità intellettive e volitive (Cass. n. 9662/2003), e quindi da impedire o ostacolare una seria valutazione dei propri atti e la formazione di una cosciente volontà (Cass. n. 21493/ 2014). L'intervenuto accertamento di una patologia mentale a carattere permanente tale da determinare, sia pure transitoriamente, l'offuscamento delle facoltà cognitive e volitive del soggetto comporta l'insorgenza di una presunzione juris tantum d'incapacità per effetto della quale si verifica un'inversione dell'onere della prova, nel senso che incombe a chi abbia interesse a sostenere la validità dell'atto la dimostrazione che lo stesso fu posto in essere in una fase di lucido intervallo della malattia (cfr. Cass. n. 17130/2012). Legittimazione attivaL'art. 120 assegna al solo coniuge il diritto potestativo di caducare il vincolo matrimoniale: ciò perché il coniuge incapace di intendere e di volere è legalmente capace e, quindi, esclusivo titolare del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio (art. 120), a differenza del coniuge interdetto il cui matrimonio può essere impugnato «da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo» oltre che dal tutore e dal pubblico ministero (art. 119). Al riguardo, la giurisprudenza afferma anche che l'azione per impugnare il matrimonio affetto da vizi della volontà ovvero da incapacità di intendere e di volere di uno dei coniugi ha carattere personale ed è trasmissibile agli eredi solo qualora il relativo giudizio sia già pendente al momento della morte di detto coniuge, il quale è titolare esclusivo del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio; l'azione di nullità, inoltre, pur essendo promuovibile dal pubblico ministero, ex art. 125, non può più essere esperita dopo la morte di uno dei coniugi (Cass. n. 4653/2018). La previsione che esclude l'impugnabilità da parte dello stesso coniuge incapace quando vi sia stata coabitazione per un anno dopo che egli abbia recuperato la pienezza delle facoltà mentali (art. 120, comma 2) costituisce ulteriore segnale del carattere personale della scelta impugnatoria, in quanto integrata dalla presunzione legale di rinnovazione del consenso matrimoniale per effetto della coabitazione. Il bilanciamento tra il diritto personalissimo del soggetto di autodeterminarsi in ordine al proprio matrimonio, proponendo l'azione di impugnazione, e l'interesse degli eredi a far valere l'incapacità del medesimo allo scopo di ottenere l'annullamento del matrimonio è rimesso alla valutazione del legislatore, che in modo non irragionevole ha ritenuto preminente l'esigenza di tutela della autodeterminazione e, quindi, della dignità di colui che, non interdetto, ha contratto matrimonio. L'azione, peraltro, non è trasmissibile agli eredi se non quando il giudizio era già stato impugnato. Interpretazione costituzionalmente orientataL'art. 120 assegna, come detto, al solo coniuge incapace il potere di annullare il matrimonio viziato con ciò presupponendo che riacquisti le capacità mentali (infatti v. comma 2). Ciò però potrebbe non accadere. Se in tali situazioni il matrimonio fosse inattaccabile, davvero potrebbe risultare vulnerato il diritto della persona di effettuare la scelta di contrarre matrimonio in modo libero e consapevole, la cui importanza è riconosciuta dalla Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, ratificata dall'Italia con l. 3 marzo 2009 n. 18 (sulla tutela delle persone con disabilità cui dev'essere assicurata «la libertà di compiere le proprie scelte», nel rispetto delle proprie volontà e preferenze «scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita»), e potrebbero rimanere inattuati i principi di dignità della persona (art. 2 Cost.) e di pienezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) che dev'essere assicurata a tutti i cittadini (art. 3 Cost.). La Suprema Corte, però, ha affermato che un simile vulnus può essere scongiurato o limitato, alla luce di una interpretazione sistematica ed evolutiva che ammetta la possibilità per l'amministratore di sostegno, qualora nominato (ed esclusi i casi di conflitto di interessi), di coadiuvare o affiancare la persona bisognosa nella espressione della propria volontà, preservandola da eventuali pressioni o ricatti esterni, anche relativamente al compimento di atti personalissimi, come ritenuto da una giurisprudenza di merito avanzata che lo ha autorizzato, previo intervento del giudice tutelare, a proporre ricorso per separazione personale o per cessazione degli effetti civili del matrimonio del beneficiario. Al lume di questi rilievi, una interpretazione costituzionalmente orientata conduce a ritenere che anche l'amministratore di sostegno, designato al coniuge incapace, possa per questi promuovere il giudizio ex art. 120 (Cass. n. 14794/ 2014; l'amministratore di sostegno è dunque il soggetto che, in sostituzione della persona incapace, può impugnare il matrimonio nel suo best interest (Cass. n. 11536/2017). DecadenzaL'azione invalidatoria non può essere proposta dal coniuge incapace se vi è stata coabitazione per un anno dopo che questi ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali: si tratta di una ipotesi di decadenza (Cass. n. 1370/1985) ostativa alla pronuncia di annullamento che però presuppone la comunione di vita per la specifica durata indicata dalla legge. Coordinamento con l’art. 127 c.c.In materia di impugnazione del matrimonio da parte del coniuge, la previsione di cui all'art. 127, che ammette eccezionalmente la trasmissione jure hereditatis del diritto d'azione, opera limitatamente ai casi in cui il giudizio caducatorio sia stato instaurato ex artt. 120 e 122, ossia per difetto di volontà del nubendo, germinato da incapacità di intendere, di volere, da violenza o errore. Non opera, invece, per le impugnative ex art. 117 ove, ab origine, il titolare di un interesse attuale e rilevante, ha diritto d'azione jure proprio. Pertanto, se subentra la morte in corso di processo del coniuge che ha proposto azione ex art. 86, non si verifica una ipotesi di interruzione del processo bensì un caso di cessazione della materia del contendere. Unione civileLa disposizione in esame è applicabile anche all'unione civile, in quanto richiamata dall'art. 1 comma 20, l. n. 76/2016. BibliografiaCian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Sesta ( a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015. |