Codice Civile art. 143 bis - Cognome della moglie (1).Cognome della moglie (1). [I]. La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze [156-bis]. (1) Articolo inserito dall'art. 25 l. 19 maggio 1975, n. 151. V. in caso di divorzio art. 5 2 e 3 l. 1° dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 9 l. 6 marzo 1987, n. 74. InquadramentoL'art. 143-bis consente alla moglie di assumere il cognome maritale: si tratta di una disposizione che introduce una mera facoltà in favore della donna a differenza del testo previgente dell'art. 144 che predicava l'assunzione obbligatoria del cognome, seppur con una previsione normativa mitigata dalla giurisprudenza in via interpretativa. Cognome maritaleLa ratio dell'art. 143-bis è quella di istituire una sorta di cognome unico della famiglia, al fine di esprimerne in modo più compenetrante l'unità e armonia. Ciò consente anche di riconoscere i membri della famiglia nel contesto sociale in cui inseriti e di munire gli stessi di un maggiore senso di appartenenza familiare. Ciò nondimeno, la norma — prevedendo che il cognome unico debba essere quello del marito e, in particolare, sancendo il carattere recessivo del cognome della moglie — appare oggi significativamente discostata dal principio fondamentale di uguaglianza dei coniugi (v. artt. 3, 29 Cost.). La Corte Costituzionale, peraltro, già nel 1998 ebbe a segnalare che sarebbe possibile, e probabilmente consentaneo all'evoluzione della coscienza sociale, sostituire la regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo dei membri della famiglia costituita dal matrimonio con un criterio diverso, più rispettoso dell'autonomia dei coniugi, il quale concili i due principi sanciti dall'art. 29 Cost., anziché avvalersi dell'autorizzazione a limitare l'uno in funzione dell'altro (Corte cost. n. 176/1988). Ad oggi, tuttavia, nulla è cambiato. L'intervento legislativo modificativo, peraltro, è sicuramente rilevante al fine di garantire, da un lato una uguaglianza sostanziale nella famiglia ma, dall'altro, una serie di regole predeterminate che garantiscano la funzionalità ed efficienza del sistema anagrafico (Buffone, Saccà, Cognome materno: una completa liberalizzazione rischia di far saltare il sistema anagrafico in Guida dir.., 2010, 6, 67). Incostituzionalità latenteTenuto conto dell'inerzia serbata dal legislatore sul punto, deve ritenersi che oggi l'articolo sia portatore di incostituzionalità latente, pronta ad essere dichiarata nella prima occasione di vaglio dinanzi alla Corte costituzionale. Il principio di parità e uguaglianza dei coniugi, infatti, imporrebbe che fossero i coniugi a scegliere quale cognome designare come familiare, vuoi del marito, vuoi della moglie. L'incostituzionalità è ancor più lampante dove si rilevi che, per l'unione civile, le parti possono assumere, per la durata del vincolo, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi o di anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso (v. art. 63, lett. g-sexies d.P.R. n. 396/2000, introdotto dal d.lgs. n. 5/2017). Pertanto: la donna che si unisca ad un'altra donna, si vede riconosciuto il diritto a usare il proprio cognome come cognome familiare; al contrario, la donna che si unisca a un uomo, si vede espropriato questo diritto a favore della dimensione maschile del rapporto. Perdita del cognome maritaleDal matrimonio discende, per la moglie, il diritto/dovere di aggiungere al proprio, il cognome del marito (art. 143-bis, aggiunto dalla l. n. 151/1975). Il diritto può venir meno in ragione delle vicende che colpiscano il rapporto matrimoniale: ad es., in caso di separazione, il giudice può vietare alla moglie l'uso del cognome del marito quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole e può parimenti autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall'uso possa derivarle grave pregiudizio (v. art. 156-bis). Una disciplina di maggior rigore è contenuta nella legislazione divorzile. L'art. 5 della l. n. 898/1970, come modificato dall'art. 9 l. n. 74/1987, introduce nel tessuto normativo della Legge divorzile, in via gradata, una regola legale e la sua eccezione: di norma, in conseguenza del divorzio, la donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio; in via d'eccezione, “il tribunale può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela”. Ebbene, se, quindi, il cognome proprio della persona è direttamente tutelato senza alcuna condizione, nel senso che il soggetto ha diritto a mantenerlo e non può esserne spogliato, il cognome del coniuge, acquisito con il matrimonio, si può conservare solo in presenza di una puntuale condizione: che sussista un interesse meritevole, in capo alla moglie o ai figli (Buffone, Anche quando il cognome maritale appaia «famoso» perché ha consentito e consente la frequentazione di ambienti mondani di alto livello o di rango sociale o di censo molto elevati, ciò non basta alla donna divorziata per poterlo conservare in Dir. fam. e pers. 2012, fasc. 2, I, 737). Se è pur vero che l'interesse sotteso alla norma di cui all'art. 5 l. n. 898/1970 non può intendersi limitato alla sfera professionale ma deve ritenersi esteso anche ad altri ambiti ( come ad esempio la vita di relazione, o la sfera morale), pur tuttavia certamente non può essere considerato meritevole di tutela l'interesse della moglie a mantenere il cognome del marito, perché così “conosciuta da stilisti e gioiellieri” (per questo singolare caso: App. Milano, 9 marzo 2011, in Dir. fam. e pers. 2012, 2, I, 737). In altre parole, l'interesse “meritevole di tutela” a cui l'articolo 5 citato subordina la qui invocata autorizzazione, non può esaurirsi nella irrinunciabilità ad un cognome famoso e noto che facilita di per sé la frequentazione di ambienti mondani, di rango sociale e censo elevati, assicurando notorietà e “agevolazioni” confacenti a quelle di una famiglia molto conosciuta nel ramo imprenditoriale. Diversamente opinando “bisognerebbe concludere che ogni ex moglie divorziata dovrebbe poter mantenere il cognome maritale, allorquando quest'ultimo appartenga ad una famiglia dotata di notorietà. In argomento rileva, da ultimo, Cass. n. 654/2022 la quale ha affermato che l'autorizzazione alla donna di conservare il cognome del marito accanto al proprio costituisce una eventualità straordinaria, affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito, da compiersi secondo criteri di valutazione propri di una clausola generale, che non possono coincidere con il solo desiderio di conservare, quale tratto identitario, il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa, non potendo neppure escludersi che il perdurante uso del cognome del marito possa costituire un pregiudizio per quest'ultimo, ove intenda ricreare, esercitando un diritto fondamentale, un nuovo nucleo familiare riconoscibile socialmente e giuridicamente come legame attuale. Moglie con cittadinanza stranieraNel caso di cessazione degli effetti civili di un matrimonio contratto all'estero da due cittadini stranieri, il diritto della moglie di utilizzare l'esclusivo cognome del marito - acquisito, con il consenso di quest'ultimo, al momento dell'assunzione del vincolo - va delibato sulla base dei criteri di collegamento indicati dalla Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980, resa esecutiva in Italia con la l. n. 950/1984, per la quale i cognomi e i nomi di una persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui è titolare il cittadino (Cass. n. 23291/2016). BibliografiaAvagliano, famiglia e accordi per la crisi, tra matrimoni, unioni civili e convivenze in Riv. not. 2017, 2, 251; Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi conclusi in occasione o in vista del divorzio, in Riv. crit. dir. priv. 2001, 303 ss; Buffone, Misura alimentare e perequazione: le Sezioni Unite cercano di risolvere il “millennium problem” dell’assegno divorzile, in Giustiziacivile.com, 1 agosto 2018; Buffone , Volontaria Giurisdizione: tutela dei soggetti deboli, Milano, 2012.; Cian, Trabucchi - a cura di -, Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Jemolo, in La famiglia e il diritto, in Ann. fac. giur. Univ. Catania, Napoli, 1949, 57; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta - a cura di -, Codice della famiglia, Milano, 2015; Servetti, Le garanzie patrimoniali nella famiglia. Corresponsione diretta, sequestro, ipoteca, Milano, 2013. |