Codice Civile art. 151 - Separazione giudiziale (1).

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Separazione giudiziale (1).

[I]. La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole.

[II]. Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze, e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione [548 2, 585 2], in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio [143 2, 147].

(1) Articolo così sostituito dall'art. 33 l. 19 maggio 1975, n. 151.

Inquadramento

Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 la separazione dei coniugi è stata svincolata dal presupposto della colpa di uno di essi e consentita, invece, tutte le volte che «si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza» (art. 151 nel testo riformato). Da più parti, in dottrina, si segnala la natura desueta dell'istituto dell'addebito che ben meriterebbe di essere espunto dall'Ordinamento posto che, in presenza di condotto lesive dei diritti del coniuge, è dato accesso alla tutela rimediale generale ex artt. 2043, 2059. L'addebito, peraltro, comporta un appesantimento del processo separativo con conseguenze ormai significativamente contenute: valga considerare che, ad esempio, l'addebito non esclude il diritto al contributo alimentare. Il Legislatore, de jure condendo, in diverse occasioni, ha proposto l'abrogazione dell'istituto, ma con progetti normativi rimasti non attuati (in questo senso, v. art. 3 della proposta di l. n. 173-ter del 1998; art. 44 della proposta di legge n. 3308/2002; art. 1 del disegno di legge n. 31/2006). 

Secondo la Suprema Corte, in particolare, nel giudizio di divorzio il riconoscimento dell'assegno non è precluso dall'addebito della separazione, che può incidere soltanto sulla misura dell'assegno, per effetto della valutazione demandata al giudice di merito in ordine alle cause del venir meno della comunione materiale e spirituale di vita tra i coniugi (Cass. n. 18539/2013).

“Diritto” alla separazione

A partire dalla sentenza Cass. n. 3356/2007, la Suprema Corte ha ampliato l'originaria interpretazione, di stampo strettamente oggettivistico, dell'art. 151 — interpretazione secondo la quale il diritto alla separazione si fonda su fatti che nella coscienza sociale e nella comune percezione rendano intollerabile il proseguimento della vita coniugale — per dare della medesima norma una lettura aperta anche alla valorizzazione di «elementi di carattere soggettivo, costituendo la intollerabilità un fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno alla vita dei coniugi». Ribadita, quindi, l'originaria impostazione oggettivistica quanto al (solo) profilo del controllo giurisdizionale sulla intollerabilità della prosecuzione della convivenza nel senso che le situazioni di intollerabilità della convivenza devono essere oggettivamente apprezzabili e giudizialmente controllabili — e puntualizzato che la frattura può dipendere dalla condizione di disaffezione e di distacco spirituale anche di uno solo dei coniugi (Cass. n. 7148/1992), ha concluso che in una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale — ritenuto, nello stadio attuale della società, incoercibile e collegato al perdurante consenso di ciascun coniuge — (...) ciò significa che il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione ed a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità, l'esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pur a prescindere da elementi di addebitabilità da parte dell'altro, la convivenza. Ove tale situazione d'intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto di chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda, costituendo esercizio di un suo diritto, non può costituire ragione di addebito (Cass. n. 2183/2013).

Addebito

La separazione è addebitabile al coniuge che, assumendo un comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (art. 151 comma 2) abbia causato la disgregazione del vincolo matrimoniale in modo esclusivo o in concorso con le condotte del consorte (cd. addebito reciproco).

Le condotte contrarie ai doveri coniugali, dunque, devono avere svolto un'efficacia causale nel fallimento del matrimonio (Cass. n. 13021/1995). mentre l'addebito, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità contrattuale ex art. 2043 c.c., determinando, nel concorso delle altre circostanze previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento, con la conseguenza che la risarcibilità di danni ulteriori è configurabile solo se i fatti che hanno dato luogo all'addebito integrano gli estremi dell'illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità espressa dalla norma indicata (Cass. n. 5866/1995;Cass. n. 16740/2020).  Con riferimento al profilo probatorio, grava sulla parte che chiede l'addebito sia l'onere di provare la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri derivanti dal matrimonio sia l'efficacia causale del comportamento nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza (Cass. n. 16691/2020).  Peraltro ai fini dell'esclusione del nesso causale tra la relativa condotta e l'impossibilità della prosecuzione della convivenza, non assume rilievo la tolleranza dell'altro coniuge, non essendo configurabile un'esimente oggettiva, che faccia venire meno l'illiceità del comportamento, né una rinuncia tacita all'adempimento dei doveri coniugali, aventi carattere indisponibile, anche se la sopportazione dell'infedeltà altrui può essere presa in considerazione, unitamente ad altri elementi, quale indice rivelatore del fatto che l'affectio coniugaliis era già venuta meno da tempo (Cass. n. 25966/2022).

Peraltro ai fini dell'esclusione del nesso causale tra la relativa condotta e l'impossibilità della prosecuzione della convivenza, non assume rilievo la tolleranza dell'altro coniuge, non essendo configurabile un'esimente oggettiva, che faccia venire meno l'illiceità del comportamento, né una rinuncia tacita all'adempimento dei doveri coniugali, aventi carattere indisponibile, anche se la sopportazione dell'infedeltà altrui può essere presa in considerazione, unitamente ad altri elementi, quale indice rivelatore del fatto che l'affectio coniugaliis era già venuta meno da tempo (Cass. n. 25966/2022).

In adesione ai rilievi autorevolmente svolti in dottrina, il superamento della separazione per colpa in favore della separazione per intollerabilità della convivenza induce ad assegnare carattere eccezionale alla dichiarazione di addebito, sì che può pronunziarsi soltanto di fronte a inadempimenti colposi dei doveri coniugali di particolare gravità e sempre che abbiano determinato la dissoluzione della comunità familiare (Perlingieri, 2005).

Come noto, la separazione può essere addebitata ad entrambi i coniugi quanto risulti che ciascuno di essi abbia posto in essere comportamenti costituenti violazione dei doveri che direttamente scaturiscono dal matrimonio e che sono individuabili, con stretto rapporto di causa/effetto, quali ragioni della crisi che ha travolto la coppia (Trib. Milano, 27 febbraio 2013). La possibile addebitabilità della separazione a entrambi i coniugi si ricava dall'art. 548 ultimo comma, che espressamente la menziona ed è comunque ammessa dalla giurisprudenza consolidata della Suprema Corte (Cass. n. 9074/2011). Vi possono essere contemporaneamente comportamenti di entrambi i coniugi valutabili come gravemente contrari ai doveri imposti dal matrimonio e che sono astrattamente idonei a produrre la rottura del rapporto coniugale. Ne consegue che è ammissibile e configurabile la pronuncia di addebito della separazione a entrambi i coniugi (Cass. n. 16142/2013).

In punto di addebito, è spesso delicato il confine tra legittime scelte di vita personale del coniuge e comportamenti violativi dello statuto del matrimonio, forieri di addebito: ad esempio, la S.C. ha affermato che il mutamento di fede religiosa, e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto, configurandosi come esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 Cost., non può di per sé considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che l'adesione al nuovo credo religioso non si traduca in comportamenti incompatibili con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore previsti dagli artt. 143 e 147, in tal modo determinando una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per l'interesse della prole (Cass. n. 14727/2016). Con specifico riferimento al volontario abbandono del domicilio familiare, la S.C. ha affermato che, poiché detto comportamento costituisce violazione del dovere di convivenza, è di per sé sufficiente a giustificare l'addebito della separazione, salvo che non risulti provato che esso sia stato determinato da un comportamento del coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già intollerabile (Cass. n. 648/2020).

Lesione di diritti fondamentali

Al fine dell'addebito, è vera l'affermazione per cui non è sufficiente il mero fatto oggetto della violazione dei doveri nascenti dal matrimonio ma il suo porsi in rapporto di determinazione causale con la sopravvenuta crisi della compagine familiare. Tale principi trovano, però, deroga — o se meglio si vuol dire prova in re ipsa — nelle ipotesi in cui l'addebito sia giustificato per la presenza di una condotta di uno dei partners di aggressione ingiustificata a beni fondamentali della persona (Cass. n. 8928/2012). Il costume pretorile di legittimità, in tale direzione, afferma che le gravi condotte lesive, traducendosi nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner, sono insuscettibili di essere giustificate come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere (Cass. n. 7321/2005). Ciò vuol dire che ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili, essi sono idonei a giustificare l'addebito (Trib. Milano 31 maggio 2013).

Bibliografia

Bruno, Le controversie familiari nell'Unione Europea. Regole, fattispecie, risposte, Milano, 2018; Buffone, Fondo a tutela del coniuge in stato di bisogno (DM 15 dicembre 2016) in Guida dir. 2017, 7, 13 e ss.; Buffone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014; Sesta - a cura di -, Codice della famiglia, Milano, 2015.

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