Codice Civile art. 159 - Del regime patrimoniale legale tra i coniugi (1).Del regime patrimoniale legale tra i coniugi (1). [I]. Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell'articolo 162, è costituito dalla comunione dei beni regolata dalla sezione III del presente capo. (1) Articolo così sostituito dall'art. 41 l. 19 maggio 1975, n. 151. InquadramentoNel sistema vigente anteriormente alla riforma del 1975, il regime patrimoniale legale che assisteva il matrimonio era quello della separazione dei beni. La novella cennata ha, invece, previsto il regime della comunione legale come regime patrimoniale ordinario in difetto di diversa opzione manifestata dai coniugi, anche dopo la celebrazione del matrimonio. Il regime della comunione legale è, però, ad oggi, sostanzialmente residuale e di scarsa rilevanza statistica sussistendo una assoluta maggioranza di matrimoni accompagnati dal regime patrimoniale della separazione dei beni. La mancanza di “successo” del regime della comunione è certamente da legare anche alla complessità della disciplina normativa che lo assiste. Con il passaggio da un regime all'altro, il legislatore ha previsto un regime transitorio che è bene ricordare: per la famiglia già costituita alla data di entrata in vigore della l. n. 151/1975, la comunione legale, in assenza della dichiarazione di dissenso di cui all'art. 228, comma 1, l. n. 151/1975, decorre dal 16 gennaio 1978 ed interessa i beni acquistati dai coniugi separatamente nel primo biennio di applicazione della legge stessa solo se ancora esistenti nel patrimonio del coniuge che li ha acquistati (Cass. n. 12693/2011). Secondo la giurisprudenza (v. Cass. n. 20969/2018); la comunione legale, in assenza della dichiarazione di dissenso di cui all'art. 228, comma 1, l. n. 151/1975, decorre dal 16 gennaio 1978 e interessa i beni acquistati dai coniugi separatamente nel primo biennio di applicazione della legge stessa - e, dunque, in pendenza del regime transitorio - solo se ancora esistenti, alla scadenza del biennio, nel patrimonio del coniuge che li ha acquistati. Comunione legale e comunione ordinariaLa comunione legale è il regime patrimoniale che conferisce ai coniugi uguali poteri di cogestione e uguali diritti sugli acquisti (Bianca C. M., 739). Si tratta di un regime espressamente qualificato dall'art. 159 come «legale»: ciò significa che in mancanza di convenzioni matrimoniali volte ad adottare altri regimi, i rapporti patrimoniali tra coniugi sono governati dal regime della comunione. Questo regime giuridico non va confuso con la communio ex art. 1110. La comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei (Cass. n. 14093/2010). La comunione legale costituisce un istituto che prevede uno schema normativo non finalizzato, come quello della comunione ordinaria (v. art. 1100 e ss.), alla tutela della proprietà individuale, ma alla tutela della famiglia attraverso particolari forme di protezione della posizione dei coniugi nel suo ambito, con speciale riferimento al regime degli acquisti, in relazione al quale la ratio della disciplina, che è quella di attribuirli in comunione ad entrambi i coniugi, trascende il carattere del bene della vita che venga acquisito e la natura reale o personale del diritto che ne forma oggetto (Cass. n. 21098/2007). Nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune, ponendosi il consenso dell'altro coniuge (richiesto dal secondo comma dell'art. 180 per gli atti di straordinaria amministrazione) come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all'esercizio del potere dispositivo sul bene e che rappresenta un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell'atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o di bene mobile registrato, si traduce in un vizio da far valere nei termini fissati dall'art. 184. Per ciò che concerne, invece, gli atti di disposizione su beni mobili, l'art. 184, comma 3, non prevede detto consenso, limitandosi a porre a carico del coniuge che ha effettuato l'atto in questione l'obbligo di ricostituire, ad istanza dell'altro, la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell'atto o, qualora ciò non sia possibile, di pagare l'equivalente del bene secondo i valori correnti all'epoca della ricostituzione della comunione, senza stabilire alcuna sanzione di annullabilità o di inefficacia per l'atto compiuto in assenza del consenso del coniuge, atto che resta, pertanto, pienamente valido ed efficace. La Suprema Corte ha ben chiarito (Cass. n. 9846/1996) che la comunione legale di cui trattasi si qualifica per essere, appunto, un «regime», cioè non solo una situazione di plurisoggettività nella titolarità di determinate posizioni giuridiche bensì il complesso statuto speciale di una contitolarità di massa relativa a una «universitas» che non si esaurisce nella regolamentazione dell'esercizio del potere di godere e di disporre delle cose comuni ma si estende all'aspetto dinamico dell'acquisizione di nuovi beni o diritti e dell'assunzione di nuove obbligazioni. Di tale configurazione rappresenta riflesso specifico la non coincidenza tra il momento dello scioglimento, al quale si ricollega la cessazione del regime di comunione, e quello della divisione, che determina concretamente il venir meno della contitolarità dei coniugi nei diritti sui beni che ne formano oggetto. Infatti, come viene riconosciuto dalla unanime dottrina, lo scioglimento della comunione legale, correlato al verificarsi di una delle cause indicate nel primo comma dell'art. 191, dà luogo a due distinti ordini di effetti giuridici: per quanto riguarda i rapporti giuridici successivi, esso si traduce nella caducazione dell'assoggettamento dei coniugi a quel regime che, altrimenti, sarebbe destinato a permanere e ad operare trovando pregnante espressione nel principio di cui all'art. 177, comma 1, lett. a) il quale prevede la necessaria automatica caduta in comunione di ogni acquisto che non possa considerarsi personale a norma dell'art. 179, e nella instaurazione, in luogo di tale regime, di quello di separazione; per quanto attiene ai rapporti anteriori già ricadenti nella comunione, lo scioglimento lascia in vita lo stato di contitolarità indivisa dei diritti sui beni comuni, con la sostituzione, in ordine ai poteri di amministrazione e di disposizione, alla disciplina della comunione legale «de qua» — di cui infondatamente qualche minoritaria opinione dottrinale ha prospettato una sorta di ultrattività — della disciplina della comunione ordinaria, e, quindi, con il venire in essere, in capo a ciascuno dei coniugi, di quel diritto potestativo alla divisione che, nella comunione ordinaria, spetta a ciascuno dei compartecipi. Tutto ciò trova conferma nel tenore testuale del dato normativo nel quale la vicenda giuridica dello scioglimento e quella della divisione sono contemplate in due diverse disposizioni (art. 191 e art. 194), e appare rispondente al sistema della tutela dei terzi quale delineato nell'art. 162. E, di fronte a tale fenomeno giuridico — per la cui comprensione talora è stato fatto riferimento analogico al ben più articolato procedimento della liquidazione societaria — riveste significato meramente nominalistico, sul piano lessicale definitorio, il rilievo dottrinale della improprietà della intitolazione e della formulazione dell'art. 191 in termini di scioglimento della comunione con riguardo a una realtà giuridica che non è identificabile in se stessa con lo scioglimento di una comunione, inteso in senso tecnico, tale dovendosi considerare quello per effetto del quale viene meno lo stato di indivisione e ciascuno dei compartecipi diviene titolare esclusivo dei diritti compresi nella quota di sua pertinenza. Comunione legale e comunione convenzionaleIl regime della comunione legale può essere disatteso dai coniugi i quali possono optare per il regime della separazione dei beni. I coniugi possono, invero, anche parzialmente derogare al regime legale mediante la stipula di convenzioni matrimoniali ex art. 210. Il regime di comunione legale che sia stato sottoposto a modifiche pattizie da parte dei coniugi assume il nome di comunione convenzionale (Bianca C. M., 740) ed è sottoposto a regime di pubblicità-notizia. Ove i coniugi siano in comunione legale, per effettuare un acquisto in regime di separazione questi saranno dunque tenuti previamente stipulare una convenzione matrimoniale derogatoria del loro regime ordinario, anche per un solo bene, ai sensi dell'art. 162 sottoponendola alla specifica pubblicità prevista (Cass. n. 3647/2004; Cass. n. 1717572020). In assenza di detta convenzione non può ritenersi ammissibile l'acquisizione di beni in regime di separazione, non essendo sufficiente a tal fine una più o meno esplicita indicazione contenuta nell'atto stesso, posto che questo non viene sottoposto alla pubblicità delle convenzioni matrimoniali, che conferiscono certezza al tipo di regime cui sono sottoposti gli atti stipulati dai coniugi (ma, in merito al rifiuto del co-acquisto, v. Cass. S.U., n. 22755/2009, subart. 179). Cass. n. 17175/2020 , ha peraltro recentemente ribadito che ove venga conferita una procura ad nubendum (che costituisce uno strumento sostitutivo della simultanea presenza degli sposi avanti all'Ufficiale dello stato civile e di manifestazione del consenso alle nozze, che interviene tramite la volontà manifestata dal procuratore) il mandato conferito in favore del regime patrimoniale della separazione dei beni, non è sufficiente all'instaurazione del detto regime, che richiede l'accordo di entrambi i nubendi. Tra coniugi in regime di comunione legale, inoltre, può essere costituita una società di persone, con un patrimonio costituito dai beni conferiti dagli stessi, essendo anche le società personali dotate di soggettività giuridica. Ne consegue che, in caso di recesso di un socio, poiché sorge a carico della società l'obbligo della liquidazione della sua quota, la domanda del coniuge receduto di accertamento della comproprietà dei beni sociali possa essere interpretata dal giudice come tesa alla liquidazione della sua quota sociale (Cass. n. 8222/2020). Convivenza di fatto ed unione civile ex lege n. 76 del 2016Ai sensi dell'art. 1, comma 50, l. 76/2016, i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza. Il contratto di convivenza è consensuale, bilaterale, solenne, a contenuto patrimoniale. La causa (concreta) del negozio convivenziale è quella di regolare il regime patrimoniale (largamente inteso) della famiglia di fatto. Il contratto può contenere: a) l'indicazione della residenza; b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. I conviventi di fatto, dunque, possono optare per il regime della comunione legale, come previsto per i coniugi. “Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lett. c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile” (art. 1 comma 60 l. n. 76/2016). Si tratta di una norma eccezionale di estensione che riconosce ai conviventi il beneficio di un istituto altrimenti riservato ex lege ai coniugi. Questa estensione, insomma, consente l'applicazione dell'istituto della comunione legale anche in assenza di matrimonio. Proprio queste connotazioni, rendono l'art. 1 comma 53 cit. in parte qua eccezionale, quindi insuscettibile di avere applicazione oltre i casi previsti o di essere interpretato analogicamente. In ragione delle considerazioni svolte, i conviventi non possono stipulare altre convenzioni matrimoniali: non il fondo patrimoniale (art. 167) ad esempio, ma nemmeno le comunioni convenzionali di cui all'art. 210. Per l'unione civile, ai sensi dell'art. 1 comma 13 l. 76/2016, il regime patrimoniale, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, è costituito dalla comunione dei beni. In materia di forma, modifica, simulazione e capacità per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli artt. 162, 163, 164, 166. Le parti non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto dell'unione civile. Diritto internazionale privatoL'Italia ha aderito, in regime di cooperazione rafforzata, al Regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi; nonchè del Regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate. BibliografiaAvagliano, famiglia e accordi per la crisi, tra matrimoni, unioni civili e convivenze in Riv. not. 2017, 2, 251; Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi conclusi in occasione o in vista del divorzio, in Riv. crit. dir. priv. 2001, 303 ss; Buffone, Misura alimentare e perequazione: le Sezioni Unite cercano di risolvere il “millennium problem” dell’assegno divorzile in giustiziacivile.com, 1 agosto 2018; Cian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015; Sesta, Impresa familiare e convivente in Guida dir. 2004, 3, 67 |