Codice Civile art. 180 - Amministrazione dei beni della comunione (1).Amministrazione dei beni della comunione (1). [I]. L'amministrazione dei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi [210 3, 1105]. [II]. Il compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi [182; 102 c.p.c.]. (1) Articolo così sostituito dall'art. 59 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 55 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione e soppresso la suddivisione in paragrafi. InquadramentoLe norme in materia di amministrazione della comunione sono contenute negli artt. 180-184, animati dal principio di parità dei coniugi: essi hanno carattere inderogabile (Cian, Trabucchi, 317; Sesta, 833). La prima regola prevede che l'amministrazione dei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi. La disciplina così enucleata nella disposizione di cui all'art. 180 presuppone, per la sua operatività, che il bene sia già oggetto della comunione, e pertanto non è applicabile alla fase dinamica pregressa dell'acquisto del bene alla comunione legale (ancorché questo, a tutela della famiglia, sia poi destinato a cadere in comunione ope legis, una volta completatosi l'effetto reale). Pertanto, l'annullamento dell'atto, per violazione della regola dell'operare congiunto dei coniugi - la cui osservanza è necessaria ai fini della validità degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione - può essere chiesto dal coniuge che non ha dato il necessario consenso, quando si tratta di negozi ad efficacia reale od obbligatoria diretti all'alienazione o alla costituzione di diritti reali su beni immobili o su beni mobili registrati, mentre non colpisce gli atti di acquisto (Cass. n. 21650/2019). Il compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi. Un valido criterio discretivo tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione generalmente accolto è quello della normalità dell'atto di gestione, che viene travalicata ove questo comporti un rischio di pregiudizio sulla consistenza del patrimonio o la possibilità d'alterazione della sua struttura, per il che a determinare il discrimine non è tanto il contenuto, modesto o rilevante, dell'atto, quanto piuttosto la sua finalità ed il suo effetto; onde può dirsi che, in linea di massima e rapportando comunque il criterio a ciascun singolo caso concreto, ove il negozio sia per sua natura intrinsecamente idoneo ad alterare la consistenza del patrimonio, a pregiudicarne le potenzialità economiche, a sottrarne o modificarne elementi costitutivi, esso è di straordinaria amministrazione, mentre è di ordinaria amministrazione ove sia tendenzialmente idoneo a conservare la consistenza quantitativa del patrimonio pur se rischioso. AmministrazioneIl regime di amministrazione dei beni della comunione legale è legato a doppio filo alla natura giuridica di questo istituto che presenta caratteristiche precipue: trattasi di comunione senza quote; i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione; la quota non è un elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari, la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione, la proporzione in cui, sciolta la comunione, l'attivo e il passivo debbono essere ripartiti tra i coniugi od i loro eredi (Corte cost. n. 311/1988). Da questa configurazione consegue che, nei rapporti con i terzi, ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione e che il consenso dell'altro, richiesto dal modulo dell'amministrazione congiuntiva adottato dall'art. 180 per gli atti di straordinaria amministrazione, non è un negozio unilaterale autorizzativo, nel senso d'atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso, secondo la nota teoria formulata dalla giuspubblicistica, di atto che rimuove un limite all'esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell'atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio, onde l'ipotesi regolata dall'art. 184 comma 1, tecnicamente si riferisce non ad un caso d'acquisto inefficace perché a non domino, bensì ad un caso d'acquisto a domino in base ad un titolo viziato (Cass. S.U., n. 17952/2007). Al lume di queste ragioni, le Sezioni Unite hanno affermato che nell'azione ex art. 2932 promossa dal promissario acquirente, per l'adempimento in forma specifica o per i danni da inadempimento precontrattuale, nei confronti del promittente venditore che, coniugato in regime di comunione dei beni, abbia stipulato senza il consenso dell'altro coniuge, quest'ultimo è litisconsorte necessario; di conseguenza, ove il coniuge rimasto estraneo alla stipulazione del preliminare non sia stato convenuto in giudizio unitamente al coniuge stipulante e nei suoi confronti non sia stato integrato il contraddittorio, il giudizio svoltosi è nullo e deve essere, pertanto, nuovamente celebrato a contraddittorio integro (Cass. S.U., n. 17952/2007). A fronte di tale orientamento e in senso opposto, si è affermato che l'azione di rivendicazione, non inerendo ad un rapporto giuridico plurisoggettivo unico ed inscindibile e non tendendo ad una pronuncia con effetti costitutivi, non introduce un'ipotesi di litisconsorzio necessario, con la conseguenza che essa può essere esercitata da uno solo o da taluni dei comproprietari (Cass. n. 6637/2002), e, nelle controversie che abbiano ad oggetto la validità o efficacia del titolo di acquisto di un bene, compiuto individualmente da un coniuge in regime di comunione legale — si è ulteriormente precisato —, l'altro coniuge, rimasto estraneo alla formazione dell'atto e non intestatario del bene, non è litisconsorte necessario, giacché l'inclusione del bene nella comunione costituisce un effetto ope legis dell'acquisto compiuto (Cass. n. 24031/2004; Cass. n. 13941/1999). Sempre le Sezioni Unite hanno offerto soluzione al quesito se una domanda giudiziale relativa ad un atto dispositivo concernente un bene immobile, compiuto per iniziativa esclusiva di uno dei coniugi in regime di comunione legale dei beni, possa essere proposta nei confronti del solo coniuge che ha partecipato alla conclusione dell'atto o debba essere proposta anche nei confronti del coniuge pretermesso e, qualora sia stata proposta nei confronti di uno soltanto dei coniugi, quello che è stato parte del contratto, se debba essere ordinata la integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro coniuge ai sensi dell'art. 102 c.p.c. Con la sentenza (Cass. S.U., n. 9660/2009), le Sezioni Unite hanno affermato che qualora uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbia da solo acquistato o venduto un bene immobile da ritenersi oggetto della comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell'atto è litisconsorte necessario in tutte le controversie in cui si chieda al giudice una pronuncia che incida direttamente e immediatamente sul diritto, mentre non può ritenersi tale in quelle controversie in cui si chieda una decisione che incide direttamente e immediatamente sulla validità ed efficacia del contratto. Pertanto, in riferimento all'azione revocatoria esperita in favore del disponente fallito, non sussiste un ipotesi di litisconsorzio necessario, poiché detta azione non determina alcun effetto restitutorio né traslativo, ma comporta l'inefficacia relativa dell'atto rispetto alla massa, senza caducare, ad ogni altro effetto, l'atto di alienazione. Rappresentanza in giudizioLa rappresentanza in giudizio per gli atti relativi all'amministrazione dei beni facenti parte della comunione legale spetta, a norma dell'art. 180, ad entrambi i coniugi e, quindi, ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione di carattere reale o con effetti reali diretta alla tutela della proprietà o del godimento della cosa comune, senza che sia indispensabile la partecipazione al giudizio dell'altro coniuge, non vertendosi in una ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. n. 4856/2009). BibliografiaCian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015. |