Codice Civile art. 243 bis - Disconoscimento di paternità (1) (2).

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Disconoscimento di paternità (1) (2).

[I]. L'azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel matrimonio può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo.

[II]. Chi esercita l'azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre.

[III]. La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la «Sezione II: "Delle prove della filiazione legittima"» con il «Capo II: "Delle prove della filiazione"».

(2) Articolo inserito dall'art. 17, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

Il Legislatore delegato, con il d.lgs. n. 154/2013, ha riscritto la disciplina del disconoscimento di paternità, in attuazione del principio contenuto nella seconda parte della lett. d) del comma 1 dell'art. 2 della legge delega (l. n. 219/2012) che prevedeva la “ridefinizione della disciplina del disconoscimento di paternità, con riferimento in particolare all'art. 235, comma 1, nn. 1), 2) e 3),  c.c., nel rispetto dei principi costituzionali”. La disciplina contenuta nell'art. 235 c.c. — come detto: disconoscimento di paternità — viene rimossa con l'abrogazione del citato art. 235. Le nuove regole dell'azione sono ora tessute negli artt. 243-bis, 244, 245, 246. Nella disciplina previgente, l'azione per il disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio era consentita solo nei casi seguenti: 1) se i coniugi non avessero coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita; 2) se durante il tempo predetto il marito fosse stato affetto da impotenza, anche se soltanto di generare; 3) se nel detto periodo la moglie avesse commesso adulterio o avesse tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio. In tali casi il marito era ammesso a provare che il figlio presentava caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità.

Regime giuridico

Rispetto alla disciplina previgente, resta fermo il principio per cui la sola dichiarazione della madre non esclude la paternità. Nell'ambito della legittimazione attiva, viene però esplicitamente ammessa la titolarità dell'azione in capo al marito, alla madre e al figlio. Senza condizioni stringenti. Si specifica che chi esercita l'azione è «ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre». È esclusa la titolarità dell'azione in capo a terzi.

Il legislatore delegato si muove in una cornice “costituzionale” poiché la delega della l. n. 219/2012 è nel senso di riconciliare, con la Charta Chartarum, la normativa primaria: in primis, introducendo un baricentro più equilibrato tra il principio di verità della filiazione e quello della certezza dello status di figlio, in linea con l'impronta conferita al sistema dalla Corte cost. n. 266/2006 (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 235, comma 1, n. 3, nella parte in cui subordinava l'esame delle prove tecniche circa le caratteristiche genetiche del figlio, alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie).

Questo nuovo baricentro tende a tutelare il principio di verità ma non in senso assoluto: infatti, le azioni di madre e padre vengono sottoposte ad una dead line, enucleata nell'art. 244 c.c. (Buffone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014, 34). La stessa soluzione adottata per il disconoscimento viene inserita nella nuova versione dell'art. 263 che disciplina l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità in modo da parificare la tutela dello status dei figli nati nel matrimonio e fuori del matrimonio. Il mutato quadro normativo si presta ad essere maggiormente conforme anche alle nuove ipotesi di disconoscimento profilabili, posto che non prevede più, ex lege in modo tipico, quali siano i casi in cui l'azione possa essere proposta. Soluzione più coerente anche con l'attuale diritto vivente.

Si ricorderà, ad esempio, che Cass. I, n. 11644/2012 ha ammesso l'azione di disconoscimento della paternità nel caso in cui la fecondazione eterologa sia avvenuta all'insaputa del marito. Fattispecie, ovviamente, sconosciuta all'art. 235, vigente ratione temporis.

Per Cass. n. 30294/2017, nella fecondazione assistita eterologa, così come per l'omologa, il preventivo consenso manifestato dal coniuge o convivente può essere revocato fino al momento della fecondazione dell'ovulo, sicchè ove la revoca intervenga successivamente, ai sensi dell'art. 9, comma 1, l. n. 40/2004, il partner non ha azione per il disconoscimento della paternità del bambino concepito e partorito in esito a tale inseminazione.

Azione di disconoscimento

L'azione di disconoscimento della paternità è volta ad accertare che il presunto figlio è stato concepito da persona diversa dal marito della madre. L'azione mira dunque ad eliminare lo stato di figlio attribuito dalla presunzione di cui all'art. 231 c.c. ed ha carattere costitutivo, in quanto il suo esercizio legittima un effetto giuridico opposto a quello che era derivato dalla formazione dell'atto di nascita (Sesta, 984). L'azione di disconoscimento può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio: tra i soggetti legittimati non è incluso il presunto vero padre biologico che, rientrando nel generale divieto di agire previsto per i terzi, non può promuovere il giudizio ex art. 243-bis.

Al riguardo, la Corte delle Leggi ha osservato che una innovazione, che attribuisse direttamente la legittimazione ad agire a soggetti privati estranei alla famiglia, rappresenterebbe la scelta di un criterio diverso, legato a una ulteriore evoluzione della coscienza collettiva, che solo il legislatore può compiere. Ha aggiunto che una simile innovazione dovrebbe essere accompagnata dalla fissazione di nuovi termini di decadenza dall'azione e dalla predisposizione di cautele processuali destinate a preservare la famiglia legittima da interferenze arbitrarie e vessatorie (Corte cost. n. 429/1991). Predicando il “nocciolo duro” della discrezionalità legislativa, la Consulta ha escluso l'illegittimità costituzionale dell'attuale normativa. Per effetto dell'accoglimento della domanda di disconoscimento, il figlio perde il cognome del padre e assume quello della madre. Il figlio, tuttavia, può ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo sia ormai da ritenersi autonomo segno distintivo della sua identità personale (Corte cost. n. 429/1991).

Rapporti con l’azione di dichiarazione giudiziale di paternità

L'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità non può essere accolta fintanto che il pregresso status non venga rimosso.

Vi è contrasto di giurisprudenza in merito alla natura giuridica del passaggio in giudicato dell'accertamento demolitivo dello status ai fini della promozione del giudizio di dichiarazione giudiziale di paternità: secondo una parte della giurisprudenza, si tratterebbe di un presupposto processuale della domanda, insuscettibile, come tale, di sopravvenire nel corso del giudizio, e tale da imporre, in conseguenza, una pronuncia di inammissibilità della domanda stessa pur in pendenza del giudizio diretto al disconoscimento della paternità. Altra giurisprudenza reputa, invece, che si tratti di una condizione dell'azione e ne trae quale corollario che è  sufficiente che l'accertamento passato in giudicato esista al momento della pronuncia, e non necessariamente a quello della domanda. Di recente la Suprema Corte di Cassazione ha sposato questa tesi (Cass. n. 17392/2018) affermando che l'accertamento con cui viene rimosso (o mantenuto) lo stato di figlio è pregiudiziale rispetto a quello con cui è rivendicata altra paternità: detto accertamento ha efficacia ultra partes e retroattiva e si riverbera sul giudizio di accertamento pendente determinando, nel caso di vittorioso esperimento dell'azione di disconoscimento, il definitivo venir meno di quella condizione (di figlio) che era originariamente ostativa all'accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità. Tra le due cause è dato quindi di ravvisare un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico: ciò in corrispondenza della ratio dell'istituto della sospensione per pregiudizialità, che è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati (per tutte: Cass. n. 5229/2016). Infatti, la nominata sospensione è idonea proprio ad evitare che la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità sia, in ipotesi, accolta laddove, per effetto del rigetto dell'azione di disconoscimento, non potrebbe esserlo: e cioè proprio ad escludere, in una tale ipotesi, pronunce contrastanti. Sul piano dei rapporti tra i due giudizi, per la Cassazione va escluso che la rimozione dello status di figlio legittimo costituisca un presupposto processuale della domanda, insuscettibile, come tale, di sopravvenire nel corso del giudizio, e tale da imporre, in conseguenza, una pronuncia di inammissibilità della domanda stessa pur in pendenza del giudizio diretto al disconoscimento della paternità.

Cognome del figlio

Nell'azione di disconoscimento della paternità, il mantenimento da parte del figlio disconosciuto del cognome paterno è espressione di un diritto potestativo e personalissimo che deve tradursi in una espressa domanda di accertamento da proporsi in sede giudiziale, anche in via riconvenzionale ed eventualmente subordinata all'accoglimento di quella principale, non potendosi ritenere ricompresa nella generica opposizione all'azione di disconoscimento proposta nei suoi confronti (Cass. n. 28518/2019).

Opposizione di terzo

Per la Suprema Corte (Cass. n. 6985/2018), è inammissibile l'opposizione di terzo proposta da colui che sia indicato come vero padre, avverso la sentenza, passata in giudicato, di disconoscimento della paternità legittima, quando l'opponente deduca che l'esito (positivo) dell'azione di disconoscimento di paternità si riverberi sull'azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, in quanto il pregiudizio fatto valere è di mero fatto, laddove il rimedio contemplato dall'art. 404 c.p.c. presuppone che l'opponente azioni un diritto autonomo, la cui tutela sia però incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata.

Bibliografia

Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 2014; Bianca C. M., Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014; Buffone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014; Cian-Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Finocchiaro F., in Comm. S. B., artt. 84-158, Bologna-Roma, 1993; Jemolo, in La famiglia e il diritto, in Ann. fac. giur. Univ. Catania, Napoli, 1949, 57; Oberto, La comunione legale tra i coniugi, in Tr. C.M., Milano, 2010; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015.

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