Codice Civile art. 379 - Gratuità della tutela.

Giusi Ianni

Gratuità della tutela.

[I]. L'ufficio tutelare è gratuito.

[II]. Il giudice tutelare tuttavia, considerando l'entità del patrimonio e le difficoltà dell'amministrazione, può assegnare al tutore un'equa indennità. Può altresì, se particolari circostanze lo richiedono, sentito il protutore, autorizzare il tutore a farsi coadiuvare nell'amministrazione, sotto la sua personale responsabilità, da una o più persone stipendiate.

Inquadramento

La tutela è ufficio tendenzialmente gratuito, in ragione dell'alto valore sociale della funzione a cui risponde. Vi sono, tuttavia, dei casi in cui il legislatore ammette la liquidazione, in favore del tutore, di un'equa indennità per l'attività svolta.

La gratuità della tutela

L'ufficio di tutore è, per regola generale, gratuito. Trattasi, tuttavia, di attività che implica l'assunzione di responsabilità nei confronti del minore (art. 382), dato che il tutore è tenuto ad amministrare il patrimonio del minore “con la diligenza del buon padre di famiglia”. Qualora, inoltre, l'ufficio di tutore sia rivestito da un professionista, l'incarico può essere fonte di distoglimento dalle ordinarie attività professionali e, quindi, di perdite patrimoniali. Per questo motivo, il legislatore stabilisce che il giudice tutelare, considerando l'entità del patrimonio e le difficoltà dell'amministrazione, può assegnare al tutore un'equa indennità per l'espletamento dell'incarico. Non sono previsti, peraltro, dei parametri numerici per la liquidazione, che, quindi, dovrà essere fatta dal giudice tutelare equitativamente, sulla base degli elementi menzionati dal secondo comma dell'art. 379 (entità del patrimonio da amministrare e difficoltà dell'amministrazione). Se, tuttavia, il tutore è un professionista esercente l'attività di avvocato, occorre tenere conto di quanto disposto dall'art. 26 d.m. 10 marzo 2014, n. 55 (“Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per le professioni forensi, ai sensi dell'art. 13, comma 6, della l. 31 dicembre 2012 n. 247”), ai sensi del quale “per le prestazioni in adempimento di un incarico di gestione amministrativa, giudiziaria o convenzionale, il compenso è, di regola, liquidato sulla base di una percentuale, fino a un massimo del 5%, computata sul valore dei beni amministrati, tenendo altresì conto della durata dell'incarico, della sua complessità e dell'impegno profuso”. 

L'attività del tutore o dell'amministratore di sostegno, in ogni caso, non è normalmente soggetta ad IVA, in quanto precipuamente volta alla cura della persona e come tale non qualificabile in termini di “attività economica”, a meno che non sia indirizzata a ricavare introiti con carattere di stabilità o, comunque, sia espletata a titolo oneroso (Cass. n. 14846/2020).

Il decreto camerale di liquidazione di spese od indennità in favore del tutore, nella parte in cui risolva questioni inerenti alla spettanza ed entità dei relativi crediti, ha, secondo la giurisprudenza, natura decisoria, e, pertanto, non si sottrae all'obbligo della motivazione, la cui inosservanza, ove si tratti di provvedimento reso in esito a reclamo, è denunciabile con ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 7355/1991).

Possibilità di applicazione analogica della norma

Nessuna indennità è prevista, invece, in favore del protutore e, peraltro, la norma è stata ritenuta dalla giurisprudenza insuscettibile di applicazione analogica (ad esempio, in favore del curatore dell'inabilitato: Cass. n. 9816/2015). È stata giudicata, inoltre, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 379, comma 2, nella parte in cui non prevede la possibilità di liquidare un'equa indennità in favore del tutore in presenza di situazioni di assistenza personale (e non patrimoniale) particolarmente gravosa: ciò in quanto la gravosità dell'attività di cura dell'incapace, derivante dall'avere il tutore prestato un'assistenza personale eccedente i doveri di ufficio, non può essere paragonata alla gravosità, derivante dall'entità del patrimonio, dell'attività di amministrazione cui il tutore e personalmente obbligato, al fine di qualificare anche la prima, alla stregua dell'art. 3 Cost., come titolo per pretendere una indennità, la quale in realtà non avrebbe carattere di indennizzo, bensì di compenso per l'opera prestata, in contrasto col principio dell'art. 379, comma 1 (Corte cost. n. 1073/1988).

La collaborazione di persone stipendiate

Il tutore può, altresì, chiedere al giudice tutelare di essere affiancato, nell'espletamento dell'incarico, da persone stipendiate, reclamando, poi, il rimborso dei relativi compensi. La norma, comunque, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, riguarda i lavoratori (subordinati od autonomi) che affianchino il tutore in via continuativa nella cura degli interessi del rappresentato, mentre nessuna autorizzazione è necessaria per collaborazioni saltuarie in incombenze meramente esecutive o comunque accessorie rispetto all'attività tutoria (Cass. n. 7355/1991).

Bibliografia

Cividali, La tutela. un istituto da rinnovare e adeguare a nuove realtà, in Dir. famiglia, fasc.2, 2003, 453; Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2004, 259 e ss.; Veronesi, Titolo del Libro: L'intervento del giudice nell'esercizio della potestà dei genitori, Milano, 2008, 178 e ss.

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