Codice Civile art. 414 - Persone che possono essere interdette (1).

Giusi Ianni

Persone che possono essere interdette (1).

[I]. Il maggiore di età [2] e il minore emancipato [390], i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti [417 ss., 429; 40 att.; 643 c.p.] quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 4 2 l. 9 gennaio 2004, n. 6. Il testo precedente recitava: «Persone che devono essere interdette. [I]. Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, devono essere interdetti».

Inquadramento

La norma disciplina i presupposti per il ricorso all'istituto dell'interdizione giudiziale. Le disposizioni sull'interdizione sono state modificate dalla l. n. 6/2004, al fine di garantirne il coordinamento con la nuova disciplina dell'amministrazione di sostegno. Dall'interdizione giudiziale si distingue, invece, l'interdizione legale, che consegue automaticamente a talune sentenze di condanna ai sensi degli artt. 32 e 33 c.p., quale istituto, quindi, sanzionatorio e non protettivo come quello di cui agli artt. 414 e ss.

I soggetti che possono essere interdetti

Possono essere interdette le persone maggiorenni ovvero i minori emancipati, non anche i minori non emancipati, che versano già in uno stato di incapacità assoluta di agire ed hanno ex lege un rappresentante legale che li sostituisce nel compimento degli atti giuridici (genitore o tutore). Ai sensi dell'art. 416, invero, l'interdizione e l'inabilitazione possono essere pronunciate anche nell'ultimo anno della minore età dell'interdicendo o dell'inabilitando, ma in tal caso gli effetti della sentenza decorreranno, comunque, dal raggiungimento della maggiore età. Requisito imprescindibile e causa esclusiva di interdizione è l'infermità mentale, sottendendo tale nozione, secondo la giurisprudenza, non l'esistenza di una tipica malattia mentale, con caratteristiche patologiche ben definite, bensì la presenza di un'alterazione delle facoltà mentali (Cass. n. 2552/1976), da accertarsi in concreto (Cass. n. 18322/2007) — anche eventualmente mediante il ricorso a consulenza tecnica d'ufficio — e all'attualità rispetto all'adozione del provvedimento giudiziario (Cass. n. 2031/1990). Tale alterazione deve avere, però, carattere di abitualità, cioè di durata nel tempo tale da qualificarla come «habitus» normale del soggetto (ancorché in presenza di lucidi intervalli: Cass. n. 5709/1985) e deve incidere, annullandola, sulla capacità del soggetto medesimo di provvedere alla cura dei propri interessi. Occorre, infine, valutare che il ricorso all'interdizione sia assolutamente necessario per assicurare la protezione dell'incapace, con riferimento, in particolare, alla possibilità di ricorrere al meno afflittivo istituto dell'amministrazione di sostegno.

Interdizione e amministratore di sostegno

Come chiarito dalla giurisprudenza (Cass. n. 4866/2010) ed evincibile dal complesso di norme oggi racchiuse sotto il titolo XII del libro primo del codice civile, a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 6/2004 l'interdizione e l'inabilitazione si presentano quali misure di protezione di carattere residuale, di cui il Tribunale può fare applicazione solo una volta esclusa la possibilità di fare ricorso alla meno afflittiva misura dell'amministrazione di sostegno. Si è, in particolare, chiarito che il criterio distintivo tra l'amministrazione di sostegno e gli altri istituti a tutela dell'incapace è qualitativo e non quantitativo e deve, quindi, essere individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi da parte del soggetto carente di autonomia, ma, piuttosto, alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze del soggetto stesso, tenuto conto della sua complessiva condizione psico-fisica e di tutte le circostanze caratterizzanti la fattispecie, con riguardo, in particolare, alla rete di protezione di cui la persona gode e alle esigenze che con l'invocata misura protettiva si mirano a soddisfare, dato il carattere estremamente più duttile dell'amministrazione di sostegno rispetto alle misure dell'interdizione e dell'inabilitazione. Ciò, tuttavia, non significa che a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 6/2004 gli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione debbano considerarsi abrogati: come infatti chiarito anche dalla Corte Cost. n. 440/2005, la complessiva disciplina inserita dalla l. n. 6/2004 sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l'istituto che, nel caso concreto, garantisca all'incapace la tutela più adeguata con la minore limitazione possibile della sua capacità, ferma restando la possibilità di ricorrere alle più invasive misure dell'inabilitazione o dell'interdizione ove ciò risulti assolutamente necessario per la protezione della persona, in una prospettiva di constatata impossibilità di ricorso all'amministrazione di sostegno.  

Si è così precisato che nel giudizio di interdizione il giudice di merito, nel valutare se ricorrono le condizioni previste dall'art. 418  per la nomina di un amministratore di sostegno, rimettendo gli atti al giudice tutelare, deve considerare che, rispetto all'interdizione e all'inabilitazione, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma alle residue capacità e all'esperienza di vita dallo stesso maturate, anche attraverso gli studi scolastici e lo svolgimento dell'attività lavorativa. Ne consegue che non si può impedire all'incapace, che ha dimostrato di essere in grado di provvedere in forma sufficiente alle proprie quotidiane ed ordinarie esigenze di vita, il compimento, con il supporto di un amministratore di sostegno, di atti di gestione ed amministrazione del patrimonio posseduto (anche se ingente), restando affidato al giudice tutelare il compito di conformare i poteri dell'amministratore e le limitazioni da imporre alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione della persona e di gestione dei suoi interessi patrimoniali, ricorrendo eventualmente all'ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore (così Cass. n. 17962/2015).

Bibliografia

CBonilini-Chizzini, L'amministrazione di sostegno, Padova, 2007, 1 e ss.; Buffone, Volontaria giurisdizione. Tutela dei soggetti deboli, Milano, 2012, 1 e ss.; Correnti, Fineschi, Frati, Gulino, Direttive anticipate di trattamento e amministrazione di sostegno: la corte di cassazione richiede lo stato d'incapacità attuale e non futuro, in Resp. civ. e prev., fasc. 2, 2014, 695; Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2004, 319 e ss.; Tagliaferri, L' amministrazione di sostegno nell'interpretazione della giurisprudenza, Piacenza, 2010, 1 e ss.

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