Codice Civile art. 455 - Efficacia della sentenza di rettificazione.Efficacia della sentenza di rettificazione. [I]. La sentenza di rettificazione non può essere opposta a quelli che non concorsero a domandare la rettificazione, ovvero non furono parti in giudizio o non vi furono regolarmente chiamati. InquadramentoLa rettificazione ha ad oggetto l'eliminazione di difformità tra la realtà di fatto e quella risultante dagli atti dello stato civile, per vizi risalenti alla formazione dell'atto (essendo, altrimenti, il rimedio quello dell'annotazione di fatti sopravvenuti). La norma in commento disciplina l'efficacia della sentenza che ordina la rettificazione (oggi decreto, ai sensi dell'art. 96 d.P.R. n. 396/2000). La sentenza di rettificazione e la sua efficaciaAi sensi dell'art. 95 d.P.R. n. 396/2000 chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l'ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l'atto di cui si tratta. Ai sensi, poi, dell'art. 455 la sentenza di rettificazione non può essere opposta a quelli che non concorsero a domandare la rettificazione, ovvero non furono parti in giudizio o non vi furono regolarmente chiamati. Invero, benché la norma parli di sentenza, essa deve essere combinata con l'art. 96 d.P.R. n. 396/2000, secondo cui sulla domanda di rettificazione il tribunale provvede in camera di consiglio con decreto motivato, all'esito di procedimento camerale. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il procedimento camerale di rettificazione degli atti dello stato civile si conclude con una sentenza (oggi decreto) contro cui sono esperibili gli ordinari mezzi di impugnazione, ad opera esclusivamente della parte rimasta soccombente, non anche, pertanto, di terzi rimasti estranei al relativo giudizio, i cui diritti non sono pregiudicati dalla sentenza stessa (Cass. n. 8316/1997; Cass. n. 28277/2018). Tale orientamento può considerarsi ancora attuale, posto che l'art. 96 d.P.R. n. 396/2000 stabilisce l'applicabilità dell'art. 445 per quanto riguarda i soggetti a cui non può essere opposto il decreto di rettificazione. Casi particolariUna disciplina specifica è dettata dal d.P.R. n. 396/2000per il cambio del nome e del cognome. Per tale ipotesi, infatti, gli artt. 84 e ss. del citato provvedimento normativo, come risultanti all'esito delle modifiche apportate dal d.P.R. n. 54/2012, prevedono una procedura amministrativa demandata al Prefetto, stabilendo che i decreti che autorizzano il cambiamento o la modificazione del nome o del cognome devono essere annotati, su richiesta degli interessati, nell'atto di nascita del richiedente, nell'atto di matrimonio del medesimo e negli atti di nascita di coloro che ne hanno derivato il cognome. Per quanto riguarda, invece, la rettificazione del sesso, la l. n. 164/1982, stabilisce che essa può avere luogo solo in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato, che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali. Coerentemente, tuttavia, ai più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 15138/2015) e del giudice delle leggi (Corte cost, sentenza interpretativa di rigetto n. 221/2015) deve ritenersi, anche in forza del dato testuale dell'art. 31, comma 4, d.lgs. 150/2011 (il quale, come detto, dispone che "quando risulta necessario" un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il Tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato), che per la rettificazione di attribuzione di sesso prevista dall'art. 1 l. 164/1982 non deve più considerarsi presupposto imprescindibile il trattamento chirurgico di modificazione dei caratteri sessuali anatomici primari, essendo sufficiente il rigoroso accertamento, da parte del Giudice di merito, del disturbo di identità di genere e di un serio, univoco e tendenzialmente irreversibile percorso individuale di acquisizione di una nuova identità di genere. La prevalenza della tutela della salute dell'individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta, infatti, a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma sia piuttosto un possibile mezzo “funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico." (cfr. Corte cost. n. 221/2015 cit.). Nel caso di rettificazione di attribuzione di sesso, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 66/2024, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell'unione civile senza prevedere, laddove l'attore e l'altra parte dell'unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, l'intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione, nonché dell'art. 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, nella parte in cui non prevede che l'ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento dell'unione civile fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione. In particolare, la Corte ha rilevato che la mancanza di tutela nel passaggio da una relazione giuridicamente riconosciuta, qual è quella dell'unione civile, ad altra, qual è il legame matrimoniale, si pone in contrasto con il diritto inviolabile della persona alla propria identità e comporta un sacrificio integrale del pregresso vissuto. BibliografiaMarziale, Stato civile, in Enc. giur., 1993, 3 e ss.; Scardulla, Stato civile, in Enc. dir., Milano, 1990, 940 e ss. |