Codice Civile art. 467 - Nozione (1).

Mauro Di Marzio

Nozione (1).

[I]. La rappresentazione fa subentrare i discendenti (2) [573] nel luogo e nel grado del loro ascendente [564 3, 740], in tutti i casi in cui questi non può [463, 481, 487] o non vuole accettare l'eredità [519, 522, 523] o il legato [649].

[II]. Si ha rappresentazione nella successione testamentaria [674, 675] quando il testatore non ha provveduto per il caso in cui l'istituito non possa o non voglia accettare l'eredità o il legato [688 ss.], e sempre che non si tratti di legato di usufrutto [678] o di altro diritto di natura personale [1021].

(1) Articolo così sostituito dall'art. 171 l. 19 maggio 1975, n. 151.

(2) L'art. 67, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso le parole: «legittimi o naturali». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

La disposizione in commento disciplina l'istituto della rappresentazione, mediante il quale il c.d. rappresentante acquista l'eredità o il legato, subentrando nel luogo e nel grado al proprio ascendente, il c.d. rappresentato, qualora questi non possa o non voglia accettare.

Si discute in dottrina se la rappresentazione dia luogo ad un fenomeno di vocazione diretta (Ferri, in Comm. S.B., 217; Cicu, in Tr. C.M., 110) o indiretta, per relationem (Cariota-Ferrara, 267; Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 172), ma vi è nondimeno consenso sull'affermazione secondo cui il rappresentante (nonostante il verbo «subentrare» utilizzato dalla legge) succede iure proprio al de cuius, sicché, ad esempio, la verifica della capacità a succedere e dell'indegnità (v. art. 468) va effettuata nei rapporti tra il defunto ed il rappresentante, nulla rilevando la posizione del rappresentato.

Di vocazione indiretta discorre la giurisprudenza (Cass. n. 4621/2012; Cass. n. 1366/1975; Cass. n. 1701/1969). E cioè, la formulazione dell'art. 467 c.c., secondo la quale la rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado dell'ascendente, deve intendersi non già nel senso che i discendenti siano titolari dei medesimi diritti del rappresentato, ma piuttosto nel senso che gli stessi vengano a trovarsi nella medesima posizione e nel medesimo grado del rappresentato solo ai fini della misura della delazione ereditaria, la quale avviene peraltro direttamente nei confronti dei rappresentanti, che mantengono una posizione autonoma rispetto al rappresentato (Cass. II, n. 2914/2020).

Presupposto oggettivo della rappresentazione è che l'ascendente non possa o non voglia accettare: per premorienza (cioè morte dell'ascendente o rappresentato prima dell'apertura della successione, mentre, se questi muore dopo l'apertura della successione, e cioè dopo la morte del de cuius, ma prima di avere accettato trova applicazione il congegno di trasmissione regolato dall'art. 479), per assenza, per indegnità (art. 463), per rinunzia (art. 519; v. Cass. n. 4948/1980), per condanna penale (art. 541, comma 2, c.p.), per prescrizione del diritto di accettare l'eredità (art. 480), per decadenza a seguito di actio interrogatoria (art. 481: per l'ipotesi di revoca della rinuncia da parte del rappresentato in pendenza del termine fissato al chiamato per rappresentazione v. Cass. n. 29146/2022), per decorso del termine di quaranta giorni dal compimento dell'inventario da parte del chiamato non possessore (art. 487, comma 3), per diseredazione (Cass. n. 11195/1996; Cass. n. 6339/1982).

Succedendo il rappresentante direttamente al de cuius, iure proprio, ma subentrando nel luogo e nel grado del rappresentato, egli per un verso consegue quanto sarebbe spettato all'ascendente e, per altro verso, va a collocarsi nella gerarchia dei successibili nella medesima posizione del rappresentato, ove questi avesse accettato: il che in giurisprudenza si riassume nella massima secondo cui il discendente (rappresentante), nel subentrare nel luogo e nel grado dell'ascendente (rappresentato) che non possa o non voglia accettare l'eredità, succede direttamente al de cuius, sicché immutato rimane l'oggetto della delazione dell'eredità che gli viene devoluta nella medesima misura che sarebbe spettata al rappresentato (Cass. n. 20018/2004; Cass. n. 12496/2007). Ne deriva che il rappresentante, in qualità di successore iure proprio nell'eredità, è tra l'altro legittimato all'esercizio del retratto successorio che sarebbe spettato al rappresentato (Cass. n. 594/2015), e, ove succeda iure proprio nella quota disponibile e in rappresentazione del suo genitore premorto nella quota di legittima, é tenuto alla collazione di quanto dal de cuius fosse stato donato al rappresentato (Cass. n. 3163/1971).

Si discute in ordine alla prevalenza, o meno, della trasmissione della delazione (la quale si verifica ai sensi dell'art. 479 se il chiamato all'eredità muore senza averla accettata) sulla rappresentazione. Per la prevalenza della trasmissione Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 182; Ferri, in Comm. S.B., 219, secondo il quale è una deroga all'art. 479 potrebbe discendere solo da un'esplicita disposizione di legge; per l'opposta soluzione Bianca, 452.

Rappresentazione e successione testamentaria

In caso di successione testamentaria la rappresentazione è esclusa dalla sostituzione ordinaria disposta dal testatore ai sensi dell'art. 688, il quale per l'appunto stabilisce che il testatore può sostituire all'erede istituito altra persona per il caso che il primo non possa o non voglia accettare l'eredità: si ha dunque prevalenza della sostituzione sulla rappresentanza, con l'avvertimento, però, che tale prevalenza non può pregiudicare il diritto alla legittima dei discendenti del figlio (rappresentato) che non possa o non voglia accettare, avuto riguardo al precetto posto dal comma 3 dell'art. 536, secondo cui la legge riserva a favore dei discendenti dei figli i quali vengono alla successione nel luogo di questi gli stessi diritti che sono riservati ai figli. Quando vi sono discendenti di figli la rappresentazione opererà dunque nei limiti della legittima, concorrendo così con gli effetti della sostituzione la quale esclude totalmente la rappresentazione solo quando l'istituito sia un fratello del defunto (Ferri, in Comm. S.B., 219).

Mentre la sostituzione prevale sulla rappresentazione, quest'ultima prevale sull'accrescimento, secondo quanto stabilisce l'art. 674, u.c., il quale, nel regolare il diritto di accrescimento, fa salvo in ogni caso il diritto di rappresentazione, e, soprattutto, l'art. 523, ove è previsto che, nelle successioni testamentarie, la parte del rinunziante si accresce ai coeredi ovvero si devolve agli eredi legittimi «se il testatore non ha disposto una sostituzione e se non ha luogo il diritto di rappresentazione».

Si ritiene inoltre che la rappresentazione possa essere esclusa per volontà del testatore anche senza far ricorso alla sostituzione (Ferri, in Comm. S.B., 223; Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 182).

La rappresentazione non opera quando la disposizione abbia ad oggetto un legato di usufrutto o di altro diritto di natura personale: il carattere personale della disposizione conduce infatti ad escludere l'operatività della rappresentazione, considerata la ratio dell'istituto, dal momento che, legando al designato un diritto di natura personale, come tale non trasmissibile, il testatore ha implicitamente escluso la sua attribuzione ad altri anche per la presentazione (Grosso e Burdese, in Tr. Vas.,182).

Bibliografia

Cariota-Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1991; Moscati, Rappresentazione (dir. civ.), in Enc. dir., 1987, 650; Prestipino, Delle successioni in generale, in Comm. c.c. diretto da De Martino, Roma 1981; Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ. 2014, 1.

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