Codice Civile art. 482 - Impugnazione per violenza o dolo.

Mauro Di Marzio

Impugnazione per violenza o dolo.

[I]. L'accettazione della eredità si può impugnare quando è effetto di violenza [1434] o di dolo [1439].

[II]. L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo [1442].

Inquadramento

Al termine della sezione dedicata alle disposizioni generali in materia di accettazione ereditaria, il codice civile dedica la disposizione in commento ed il successivo art. 483 — norme dense di implicazioni concettuali, ma poverissime quanto ad applicazione pratica — all'impugnazione dell'accettazione stessa per violenza, dolo ed errore: ponendo così una disciplina speciale in tema di accettazione dell'eredità rispetto a quella ordinaria dei vizi del consenso negli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale (artt. 1324, 1427).

L'art. 482 disciplina la violenza e il dolo, ammettendo al riguardo l'impugnazione dell'accettazione e sottoponendo la medesima al termine di prescrizione di cinque anni decorrenti dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo. L'art. 483 esclude invece l'impugnazione per errore, ma introduce una limitazione di responsabilità dell'erede in caso di scoperta di un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell'accettazione.

La dottrina non concorda sulla questione se le due disposizioni siano applicabili tanto all'accettazione espressa quanto all'accettazione tacita. Ed il dibattito è collegato a quello concernente l'accettazione tacita e, in particolare, il quesito se, a fondamento di essa, occorra o meno una concreta volontà di accettare, soggettivamente riscontrabile in capo al chiamato all'eredità. Coloro i quali aderiscono al punto di vista «oggettivista», e cioè ritengono che la concludenza del comportamento tale da determinare l'accettazione tacita debba essere scrutinata nella sua oggettività, in ragione del valore sociale del comportamento assunto, affermano, in piena coerenza, che la disciplina dei vizi della volontà dettata dagli artt. 482 e 483 si applica alla sola accettazione espressa (Ferri, in Comm. S.B., 321).

Gli autori che sostengono invece il punto di vista «soggettivista», ma non solo di essi, affermano l'applicabilità delle disposizioni in esame anche all'accettazione tacita (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 294).

Si discute, inoltre, dell'applicabilità della disciplina dei vizi della volontà all'accettazione del legato.

In giurisprudenza si nega l'esperibilità del rimedio dell'annullamento per errore, ma giudicano invece possibile l'annullamento dell'atto di accettazione del legato per violenza o dolo (Cass. n. 1554/1968).

La specialità della disciplina, ed in particolare l'esclusione dell'impugnazione per errore, è giustificata con l'esistenza di un apposito istituto volto a tutelare il chiamato all'eredità contro il rischio dell'accettazione, quale è l'accettazione con beneficio di inventario. Il comma 2 dell'art. 483, in tale prospettiva, pone a tutela della posizione dell'accettante un'apposita limitazione di responsabilità, la quale lascia però intatta l'accettazione, per il caso di scoperta di un testamento precedentemente ignoto. Tale limitazione di responsabilità, dettata dall'art. 483, comma 2, è ritenuta inapplicabile all'accettazione beneficiata, per l'ovvia considerazione che l'erede accettante con beneficio di inventario gode di una limitazione di responsabilità intra vires e cum viribus, più intensa di quella dettata per la successiva scoperta del testamento.

La previsione dettata dall'art. 482 in tema di violenza e dolo non esclude l'applicazione, nei limiti della compatibilità, anche all'accettazione dell'eredità, delle norme in tema di vizi della volontà del quarto libro. Si ritiene perciò che in virtù dell'art. 1441, comma 1, l'annullamento possa essere domandato solo dalla parte interessata e cioè dall'accettante, nel termine di prescrizione di cinque anni (artt. 482, comma 2, e 1442). Si esclude invece l'applicazione dell'art. 1442, u.c., concernente l'imprescrittibilità dell'eccezione di annullamento. Si ammette l'applicabilità degli artt. 1444 in tema di convalida e 1445 c.c. in tema di effetti dell'annullamento verso i terzi.

La pronunzia di annullamento dell'accettazione determina la sua caducazione e il ripristino, con effetto retroattivo della situazione di mero chiamato all'eredità in capo all'accettante. Il potere di accettare nuovamente rinnovando l'atto (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 301) o rinunziare all'eredità rimane dunque in vita, salvo non si sia compiuta la relativa prescrizione.

Con specifico riguardo alla violenza, essa è causa di impugnazione dell'accettazione dell'eredità (art. 482), «anche se esercitata da un terzo» (art. 1434). Viene in questione, qui, la violenza morale, dal momento che la violenza fisica determina non già vizio della volontà, bensì radicale mancanza di essa. I caratteri della violenza sono si desumono dalle disposizioni generali di cui agli artt. 1434 e ss., applicabili agli atti unilaterali aventi contenuto patrimoniale ex art. 1324. Si ritengono in particolare applicabili ex art. 1324 C.C. nei limiti della compatibilità (Ferri, in Comm. S.B., 323), le norme sui caratteri della violenza (art. 1435), sulla violenza diretta contro i terzi (art. 1436), sull'irrilevanza del solo timore riverenziale (art. 1437) e sulla minaccia di far valere un diritto (art. 1438).

Quanto al dolo, essendo l'accettazione un atto unilaterale, non può applicarsi l'art. 1439, il quale richiede che i raggiri siano opera dell'altro contraente o siano almeno a lui noti. Il dolo, dunque, assume qui rilevanza da chiunque sia stato posto in essere (Ferri, in Comm. S.B., 322). Secondo alcuni rileva non sia il dolus causam dans che il dolus incidens. In quest'ultimo caso sorgendo il solo diritto al risarcimento danni ex art. 1440 (Ferri, in Comm. S.B., 322). Secondo altri il dolo incidente non potrebbe ipotizzarsi con riguardo all'accettazione, la quale non può presentare condizioni variabili.

L'art. 483 fissa il principio della irrilevanza dell'errore nell'atto di accettazione, in ciò discostandosi con la regola dei contratti (artt. 1427), con regola che si ritrova per la rinuncia all'eredità (art. 526) e per la divisione ereditaria (art. 761). Il riferimento è all'errore-vizio, cioè a quello che impedisce la libera formazione della volontà (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 296). È viceversa impugnabile, secondo l'opinione prevalente, l'atto di accettazione in caso di errore ostativo, il quale fa venir meno la stessa volontarietà dell'atto (Ferri, in Comm. S.B., 323).

Bibliografia

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