Codice Civile art. 486 - Poteri.Poteri. [I]. Durante i termini stabiliti dall'articolo precedente per fare l'inventario e per deliberare, il chiamato, oltre che esercitare i poteri indicati nell'articolo 460, può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità. [II]. Se non compare, l'autorità giudiziaria nomina un curatore alla eredità affinché la rappresenti in giudizio [78-80, 780 c.p.c.]. InquadramentoSi è esaminata subart. 484 la questione se l'inventario sia o no elemento costitutivo dell'accettazione beneficiata. Sta di fatto che, fin tanto che l'inventario non venga formato, l'accettazione beneficiata è ancora in itinere. In tale situazione, il legislatore riconosce dunque al chiamato che abbia effettuato la dichiarazione (sia o non sia esso per ciò solo erede beneficiato) limitati poteri di amministrazione dell'eredità. Detti poteri sono anzitutto definiti attraverso il richiamo dell'art. 460, al quale è qui sufficiente rinviare. Quanto alla legittimazione passiva, le opinioni della dottrina sono discordi. Secondo un indirizzo, il chiamato potrebbe stare in giudizio come convenuto, per rappresentare l'eredità, solo quando sia nel possesso dei beni ereditari (Grosso e Burdese, in Tr. Vas., 156). Ciò si arguirebbe proprio dall'art. 486, secondo in quale il chiamato all'eredità, nei termini fissati dall'art. 485 (dunque il chiamato possessore), oltre ad esercitare i poteri dell'art. 460, può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità. La norma, cioè, attribuirebbe al chiamato possessore poteri che, altrimenti, non gli spetterebbero, stando alla lettera dell'art. 460. Conseguenza di questa ricostruzione è che il chiamato non possessore, assumendo la difesa passiva dell'eredità, compirebbe un atto esorbitante dai limiti posti dall'art. 460 e, dunque, porrebbe in essere un atto di accettazione tacita dell'eredità, exart. 476. In senso opposto si è osservato che, se il chiamato in possesso, difendendo l'eredità, non diviene erede, a fortiori non lo diverrà il chiamato non in possesso, dal momento che il possesso «non diminuisce, ma, al contrario, rafforza l'ingerenza del chiamato nell'eredità e quindi contribuisce a dare maggiore concludenza al suo contegno nella direzione dell'accettazione tacita della medesima» (Ferri, in Comm. S. B., 343; Cicu, in Tr. C. M., 143). L'art. 486, secondo quest'indirizzo, riguarderebbe anche il chiamato non possessore, che, pertanto, sarebbe egualmente legittimato a stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità. Le pronunce della S.C. rispecchiano il contrasto della dottrina. Secondo un primo indirizzo, dalla dizione dell'art. 486 si desumerebbe che il «chiamato» contemplato dalla norma è quello stesso cui ha esclusivo riguardo l''art. 485 , cioè il chiamato possessore (Cass. n. 920/1977; Cass. n. 1043/1972). La S.C., però, successivamente ha qualificato la difesa processuale passiva, in sé stessa considerata, come atto di natura conservativa spettante al chiamato, senza distinzione tra chiamato possessore e chiamato non possessore (Cass. n. 9228/1991; in precedenza v. Cass. n. 1673/1971). Chi ritiene che il chiamato non possessore sia privo della legittimazione passiva spettante al chiamato possessore ne trae la conseguenza che, in caso di azione proposta contro un chiamato non possessore, qualora egli si costituisca ed eccepisca la propria carenza di legittimazione passiva, il giudice deve disporne l'estromissione dal giudizio, che deve essere proseguito nei confronti dell'erede o del chiamato possessore, ovvero, se nessuno si costituisce o accetta il contraddittorio, nei confronti di un curatore speciale (Cass. n. 4929/1980). Il potere di rappresentanza dell'eredità di cui all'art. 486 è dalla giurisprudenza riconosciuto anche al chiamato minore (Cass. n. 13778/1991). È stato affermato che il chiamato contro cui sia rivolta una domanda di pagamento di un debito ereditario deve subito opporre che egli non è erede (Cass. n. 18534/2007). Qualora il chiamato non si costituisca in giudizio, l'autorità giudiziaria nomina un curatore all'eredità, secondo una previsione assimilabile a quella dell'art. 78 c.p.c. Egli svolge funzioni limitate al singolo giudizio e si distingue dal curatore dell'eredità giacente (art. 528) che ha compiti più ampi. La nomina del curatore previsto dalla norma in commento priva dunque il chiamato dei poteri dell'art. 460. La nomina del curatore all'eredità non discende da un obbligo del giudice di integrare il contraddittorio nei suoi confronti, ma presuppone una valutazione positiva della necessità di avere la presenza in causa del curatore medesimo, in relazione all'oggetto della contesa (Cass. n. 920/1977). BibliografiaAzzariti, Martinez e Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1973; Bianca, Cariota-Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1991; Di Marzio, L'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario, Milano, 2013; Ferrario Hercolani, L'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, in Tratt. dir. successioni e donazioni diretto da Bonilini, I, Milano, 2009; Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, Torino, 1961; Lorefice, L'accettazione con beneficio d'inventario, in Rescigno (a cura di), Successioni e donazioni, I, Padova, 1994; Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, II, L'amministrazione nel periodo successivo all'accettazione dell'eredità, Milano, 1969; Prestipino, Delle successioni in generale, in Comm. c.c. diretto da De Martino, Roma 1981; Ravazzoni, Beneficio di inventario, in Enc. giur., I, Roma, 1988; Zaccaria, Rapporti obbligatori e beneficio di inventario, Torino, 1994. |