Codice Civile art. 524 - Impugnazione della rinunzia da parte dei creditori.

Mauro Di Marzio

Impugnazione della rinunzia da parte dei creditori.

[I]. Se taluno rinunzia, benché senza frode, a una eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti [2652 n. 1].

[II]. Il diritto dei creditori si prescrive in cinque anni dalla rinunzia [2934 ss.].

Inquadramento

La disposizione in commento consente ai creditori dell'erede di reagire alla rinuncia all'eredità da parte del proprio debitore: attraverso l'esperimento vittorioso dell'azione ivi prevista essi possono soddisfarsi sui beni dell'eredità rinunciata dal loro debitore, fino alla concorrenza dei crediti vantati. Oltre che dei creditori la rinuncia può essere impugnata dallo stesso rinunciante nel caso previsto dall'art. 526, ossia per violenza o dolo.

La norma è diretta ad impedire che la rinunzia all'eredità possa pregiudicare i creditori del rinunciante, determinando una diminuzione della garanzia patrimoniale di cui all'art. 2740 (Grosso-Burdese, in Tr. Vas. 1977, 347).

In tal senso anche la giurisprudenza afferma che l'azione apprestata a favore dei creditori del rinunziante all'eredità ha una mera funzione strumentale per il soddisfacimento del credito ed è diretta a rendere inopponibile ai creditori la rinunzia all'eredità del debitore ed a consentire ai creditori di agire sul patrimonio ereditario come se la rinuncia non ci fosse stata, sicché é sufficiente che, analogamente a quanto avviene per l'azione surrogatoria e per la revocatoria, sussista una ragione di credito, anche se non ancora accertata nel suo preciso ammontare, e persino eventuale e condizionata (Cass. n. 7557/2022; Cass. n. 3548/1995; Cass. n. 1470/1964). Va da sé che è da ritenere inammissibile per carenza di interesse l'impugnazione di una rinuncia ad un eredità passiva.

La formula impiegata dalla norma, secondo cui i creditori possono farsi autorizzare ad « accettare l'eredità in nome e luogo del rinunziante » è in effetti imprecisa ed impiegata in modo atecnico, giacché non v'è dubbio che essi non acquistino la qualità di eredi del de cuius, né la acquisti il chiamato rinunciante.

Caratteri, presupposti ed effetti dell'impugnazione

Diversamente dalla revocatoria, l'impugnazione della rinunzia da parte del debitore ad un'eredità di cui all'art. 524 non mira a rendere inefficace un atto di disposizione del patrimonio del debitore, che abbia ridotto la garanzia generica dei suoi creditori, in quanto, non avendo la delazione ereditaria natura patrimoniale, non essendo cioè un bene del patrimonio del chiamato, al quale attribuisce soltanto un potere, la di lui rinunzia non costituisce un atto di rinunzia in senso proprio, ma un semplice rifiuto, e non produce l'effetto della dismissione di beni entrati nel suo patrimonio, ma, in giurisprudenza, quello d'impedirne l'ingresso (Cass. n. 2394/1974).

L'impugnazione della rinuncia all'eredità presuppone per l'appunto che una rinuncia vi sia stata e non può dunque trovare applicazione nella diversa ipotesi in cui il chiamato all'eredità abbia perso il diritto di accettare per l'inutile decorso del termine assegnatogli ai sensi dell'art. 481 (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 108).

In giurisprudenza, invece, si afferma che il rimedio previsto dall'art. 524 è utilizzabile dai creditori non solo in presenza di una rinuncia formale all'eredità da parte del chiamato, ma anche nel caso in cui quest'ultimo non dichiari di accettarla in seguito all'esperimento della cd. actio interrogatoria ex art. 481, essendo le due ipotesi assimilabili dal punto di vista del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori del chiamato (Cass. n. 33479/2021). Si è Si è peraltro chiarito che l'azione ex art. 524 è ammissibile unicamente ove i creditori abbiano richiesto, ai sensi dell'art. 481 c.c., la fissazione di un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinuncia all'eredità quando non sia ancora maturata la prescrizione del diritto di accettare l'eredità ex art. 480. In caso contrario si finirebbe, per rimettere impropriamente in termini i creditori, anche con evidente pregiudizio dei successivi accettanti che confidano nella decorrenza di un termine prescrizionale per l'azione dei creditori inferiore a quello ordinario decennale (Cass. II, n. 15664/2020).

Occorre inoltre, secondo quanto poc'anzi si affermava, che si prospetti un pregiudizio connesso alla diminuzione della garanzia patrimoniale.

In giurisprudenza si osserva che per l'esercizio dell'impugnazione della rinunzia ad un'eredità da parte dei creditori è richiesto un unico presupposto di carattere oggettivo, ossia che la rinunzia all'eredità da parte del debitore importi un danno per i suoi creditori, in quanto il suo patrimonio personale non basti a soddisfarli e l'eredità presenti un attivo. Non è necessario che la rinunzia all'eredità sia stata preordinata allo specifico scopo d'impedire ai creditori di soddisfarsi, e neppure occorre da parte del debitore la consapevolezza del pregiudizio loro arrecato. Quanto al presupposto del danno, basta che al momento della proposizione dell'azione di cui all'art. 524 il danno sia sicuramente prevedibile, nel senso che ricorrano fondate ragioni per ritenere che i beni personali del debitore possano non risultare sufficienti per soddisfare del tutto i suoi creditori (Cass. n. 8519/2016 Cass. n. 2394/1974; Cass. n. 3548/1995).

Per l'impugnazione della rinuncia ereditaria ai sensi dell'art. 524 c.c. il presupposto oggettivo è costituito unicamente dal prevedibile danno ai creditori, che si verifica quando, al momento dell'esercizio dell'azione, i beni personali del rinunziante appaiono insufficienti a soddisfare del tutto i suoi creditori; ove dimostrata da parte del creditore impugnante l'idoneità della rinuncia a recare pregiudizio alle sue ragioni, grava sul debitore provare che, nonostante la rinuncia, il suo residuo patrimonio è in grado di soddisfare il credito dell'attore (Cass. II, n. 5994 /2020).

Legittimati ad impugnare la rinunzia sono tutti coloro che vantano una ragione di credito anche se non ancora accertata nel suo preciso ammontare, non risultando necessario che il credito sia liquido ed esigibile, data la natura in senso lato cautelare del rimedio (Cass. n. 1470/1964).

Legittimato passivo è il debitore rinunciante. Qualora egli sia deceduto, l'azione può essere promossa nei confronti dei suoi eredi in quanto successori in universum ius (Cass. n. 17866/2003). L'azione ex art. 524 non può essere esperita quando la rinuncia provenga dal legittimario pretermesso, non potendo quest'ultimo essere qualificato chiamato all'eredità, prima dell'accoglimento dell'azione di riduzione che abbia rimosso l'efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie (Cass. n. 20562/2008).

Non è di ostacolo all'esercizio dell'azione la circostanza che, effettuata la rinuncia da parte del debitore, l'eredità sia stata accettata da parte degli altri chiamati che vi abbiano diritto (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 108). Questi ultimi, in altri termini, si trovano ad avere acquistato un compendio ereditario vincolato a garanzia di un debito altrui per effetto dell'impugnazione in discorso (Grosso-Burdese, in Tr. Vas. 1977, 347; Ferri, in Comm. S.B. 1970, 113)

Parimenti si osserva in giurisprudenza che i creditori del rinunciante possono agire sul patrimonio ereditario accettato dagli ulteriori chiamati come se la rinuncia non vi fosse mai stata, non essendo quest'ultima loro opponibile (Cass. n. 3548/1995; Cass. n. 310/1982, ove si precisa altresì che gli eredi, potendo peraltro prendere parte al giudizio a sostegno delle ragioni del rinunziante accettanti non sono litisconsorti nel giudizio di impugnazione; v. però Cass. n. 15468/2003).

L'impugnazione della rinuncia dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione da introdurre nelle forme ordinarie (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 112, il quale osserva tra l'altro che ai sensi dell'art. 2652 la domanda prevista dalla disposizione in esame è compresa tra quelle soggette a trascrizione.

In ipotesi di accoglimento della domanda, i creditori possono aggredire i beni ereditari per soddisfarsi fino a concorrenza dei crediti vantati.

Si osserva in giurisprudenza che l'azione in discorso produce in rapporto ai creditori del chiamato rinunciante i sostanziali effetti dell'azione revocatoria (Cass. n. 7735/2007 la quale aggiunge che al sequestro richiesto per assicurare gli effetti dell'accoglimento della domanda prevista dall'art. 524 è applicabile la disciplina dettata dall'art. 2905, potendosi trascrivere il sequestro tanto nei confronti del dante causa del debitore che nei confronti di quest'ultimo al solo scopo di far accertare l'esistenza del credito vantato verso di lui).

In caso di conflitto tra i creditori dell'erede che abbia deciso di rinunziare all'eredità (i quali hanno diritto di agire, ex art. 524, onde sentirsi autorizzare ad accettare in nome e in luogo del debitore rinunziante) e gli aventi causa di colui che, a sua volta in qualità di erede, abbia accettato l'eredità in luogo del rinunziante, perché possa conseguirsi l'effetto previsto dall'art. 2652, n. 1, è necessario che la domanda con la quale si eserciti l'impugnazione ex 'art. 524 sia trascritta nei confronti di colui al quale l'eredità è devoluta, che deve essere necessariamente convenuto in giudizio insieme al rinunciante. In mancanza di trascrizione della domanda nei confronti del successivo chiamato al quale l'eredità è devoluta per effetto della rinuncia, il conflitto tra creditori del rinunciante ed aventi causa dell'accettante si risolve in favore di questi ultimi, indipendentemente dalla circostanza che il loro acquisto sia stato trascritto successivamente alla trascrizione della domanda ex art. 524 proposta nei confronti del rinunciante (Cass. n. 15468/2003).

Bibliografia

Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2009; Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, I, L'amministrazione durante il periodo antecedente all'accettazione dell'eredità, Milano, 1968.

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