Codice Civile art. 525 - Revoca della rinunzia.

Mauro Di Marzio

Revoca della rinunzia.

[I]. Fino a che il diritto di accettare l'eredità non è prescritto [480] contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell'eredità.

Inquadramento

Si è già accennato nel commento all'art. 519 che il chiamato rinunciante non perde automaticamente il diritto di accettare l'eredità, dal momento che la rinuncia è entro certi limiti revocabile. Tali limiti sono fissati dalla norma in commento, la quale stabilisce che la revoca della rinuncia può intervenire fino a quando l'eredità non sia stata acquistata dai chiamati ulteriori.

In effetti non di una vera revoca si tratta. L'ordinamento riconosce al chiamato la possibilità di una accettazione pur successiva alla rinuncia, i cui effetti ancora provvisori vengono travolti (Capozzi, 330), sempre che l'eredità non sia stata medio tempore acquistata da altri chiamati.

Ciò discende dalla configurazione della rinuncia, che non determina il venir meno della delazione in favore del chiamato, ma dà luogo alla coesistenza del diritto di accettazione dell'eredità a favore sia del rinunciante che degli altri chiamati (Cass. n. 1403/2007). Si afferma perciò che la revoca della rinuncia all'eredità, di cui all'art. 525, non costituisce, anche sotto il profilo formale, un atto o negozio giuridico autonomo, bensì l'effetto della sopravvenuta accettazione dell'eredità medesima da parte del rinunciante, il cui verificarsi, pertanto, va dedotto dal mero riscontro della validità ed operatività di tale successiva accettazione (Cass. n. 3457/1984; Cass. n. 16913/2011).

È importante sottolineare che, secondo un indirizzo giurisprudenziale, l'accettazione successiva alla rinuncia può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria (Cass. n. 6070/2012). Più persuasivamente è stato affermato, in senso opposto, che, essendo la rinuncia atto a forma solenne, la revoca tacita della non è ammissibile (Cass. n. 4846/2003; Cass. n. 21014/2011; Cass. n. 3958/2014).

La revoca della rinuncia non può aver luogo in caso di accettazione di un chiamato in subordine neppure in virtù di un accordo intercorso tra i due. Difatti, il chiamato all'eredità, che vi abbia inizialmente rinunciato, può, ex art. 525, successivamente accettarla (in tal modo revocando implicitamente la precedente rinuncia) in forza dell'originaria delazione, e sempre che questa non sia venuta meno in conseguenza dell'acquisto compiuto da altro chiamato, ma non anche in forza di un accordo concluso tra il rinunziante ed i soggetti acquirenti dell'eredità, dovendo, in tal caso, escludersi ogni possibilità di revoca della precedente rinuncia per effetto del carattere indisponibile della delazione che, una volta venuta meno, non può efficacemente rivivere per volontà dei privati, oltre che per effetto del principio semel heres semper heres, in forza del quale chi abbia accettato l'eredità non può più legittimamente rinunciarvi, essendo l'accettazione, a differenza della rinuncia, un atto puro ed irrevocabile, giusto disposto dell'art. 475 (Cass. n. 4745/2003; Cass. n. 8912/1998; Cass. n. 2549/1996).

Nello stesso senso è la dottrina (Cicu, in Tr. C. M. 1961, 217; Ferri, in Comm. S.B. 1970, 125).

La salvezza delle ragioni acquistate dai terzi, di cui all'ultima parte della norma, è da riferire al caso del legittimario che, avendo rinunziato, perde il diritto ad agire in riduzione, nei confronti dei destinatari di legati e donazioni lesivi, qualora revochi la propria rinunzia (Ferri, in Comm. S.B. 1970, 126).

Bibliografia

Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2009; Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, I, L'amministrazione durante il periodo antecedente all'accettazione dell'eredità, Milano, 1968.

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