Codice Civile art. 588 - Disposizioni a titolo universale e a titolo particolare.

Mauro Di Marzio

Disposizioni a titolo universale e a titolo particolare.

[I]. Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l'espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale [637] e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l'universalità o una quota dei beni del testatore [674]. Le altre disposizioni sono a titolo particolare [631] e attribuiscono la qualità di legatario [649 ss.].

[II]. L'indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.

Inquadramento

La norma in commento pone una distinzione di rilievo decisivo entro l'ambito della disciplina del testamento, giacché, nel distinguere tra disposizioni e a titolo universale a titolo particolare, rinvia a quella fondamentale tra erede e legatario.

Le disposizioni testamentarie, alla luce del comma 1, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l'universalità o una quota dei beni del testatore, altrimenti sono a titolo particolare. Il comma 2 pone la disciplina della institutio ex re certa e specifica che l'indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio. La norma rinvia per un verso alla complessiva disciplina della istituzione di erede e, per altro verso, a quella del legato. 

Il connotato essenziale della istituzione di erede ex re certa non va ricercato nell'implicita volontà del testatore di attribuire all'istituito la totalità dei beni di cui egli avrebbe potuto disporre al momento della confezione del testamento, ma nell'assegnazione di un bene determinato, o di un complesso di beni determinati, come quota del suo patrimonio; risolta la questione interpretativa nel senso della istituzione ex re, l'erede in tal modo istituito può partecipare anche all'acquisto di altri beni, se del caso in concorso con l'erede legittimo e, quindi, raccoglierli in proporzione della sua quota, da determinarsi in concreto mediante il rapporto proporzionale tra il valore delle res certae attribuitegli ed il valore dell'intero asse ereditario (Cass. n. 24310/2022).

Le problematiche poste dalla norma in commento rinviano al tema dell'interpretazione del testamento già esaminato nel commento all'articolo precedente e si presentano essenzialmente sul piano casistico, in relazione alla concreta distinzione, caso per caso, delle disposizioni a titolo universale da quelle a titolo particolare.

Disposizioni a titolo universale e a titolo particolare

Posto che la morte della persona fisica può aprire sia la successione a titolo universale, attributiva della qualità di erede, sia la successione a titolo particolare, attributiva della qualità di legatario, l'art. 588 stabilisce « dei criteri interpretativi della volontà testamentaria per individuare quando un singolo rapporto o una serie di rapporti li si sia voluti attribuire a titolo particolare e quando invece il destinatario del testamento sia chiamato a succedere in una serie indeterminata di rapporti giuridici, e quindi a titolo universale » (Caramazza, in Comm. De M. 1982, 24).

La norma, dunque, individua anzitutto un criterio distintivo delle disposizioni a titolo universale da quelle a titolo particolare secondo che esse comprendano o meno l'universalità o una quota dei beni. Tuttavia la circostanza che la disposizione abbia ad oggetto beni individuati — circostanza che, a tenore del primo comma, comporterebbe la qualificazione della disposizione medesima come legato — non ne esclude, ai sensi del secondo comma, la natura di istituzione di erede, purché risulti che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del proprio patrimonio.

Nel riassumere i principi applicabili in tema di interpretazione del testamento — di cui si è già discorso nel commento all'art. 587 — occorre dire che essa si serve delle regole di ermeneutica contrattuale — come si trova parimenti affermato in Cass. n. 5604/2001; Cass. n. 12861/1993; Cass. n. 8668/1990; Cass. n. 706/1990; Cass. n. 2556/1989;Cass. n. 4814/1987; Cass. n. 7025/1986; Cass. n. 4110/1985; Cass. n. 252/1985; Cass. n. 110/1984; Cass. n. 3522/1982; Cass. n. 6343/1981; Cass. n. 5773/1980; Cass. n. 3872/1980; Cass. n. 1850/1980 — ma con temperamenti determinati dalla particolare natura dell'atto: «Anche in tema di interpretazione del testamento al fine di stabilire se l'attribuzione di dati beni configuri istituzione di eredità o legato, valgono le regole ermeneutiche dettate dagli artt. 1362 ss. ma con gli opportuni adattamenti implicati dalla natura unilaterale (non recettizia) del negozio mortis causa, che comporta l'esigenza di una più penetrante ricerca della volontà del testatore, in base ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria e solo in via sussidiaria (ove cioè dal testo negoziale non emerga con certezza l'effettiva intenzione del de cuius) con ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore (quali, ad esempio, la sua mentalità, cultura, consuetudine di rapporti ecc.)» (Cass. n. 1266/1987; Cass. n. 10075/2018).

Tra le disposizioni menzionate dagli artt. 1362 ss. trova applicazione anche l'art. 1367, il quale pone la regola di interpretazione oggettiva di conservazione del contratto, secondo cui nel dubbio il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno: « Per la individuazione della volontà del testatore, che prevale sulle espressioni usate, vanno utilizzate le regole ermeneutiche dettate dal codice, con gli adattamenti imposti dalla natura di negozio unilaterale non recettizio del testamento, e anche i mezzi sussidiari di interpretazione per fugare i dubbi nelle dichiarazioni formulate in modo impreciso, al fine di ricercare con il necessario approfondimento l'effettiva volontà del disponente, senza escludere il principio della conservazione sancito dall'art. 1367 che fornisce un utile criterio per riconoscere fra i diversi effetti ipotizzabili quello meglio rispondente alla funzione, sempre nel rispetto della volontà manifestata dal testatore» (Cass. n. 207/1985).

Non trovano invece applicazione, in ragione dell'unipersonalità dell'atto, i criteri della buona fede dell'affidamento del destinatario delle disposizioni: «Nell'interpretazione del testamento, pur dovendosi ricostruire il significato delle disposizioni nel senso che deve ritenersi più vicino alla volontà del testatore, senza che possa tenersi alcun conto della buona fede e dell'affidamento del destinatario delle disposizioni stesse, non è possibile tuttavia rinunziare alla osservanza delle regole logiche, né, soprattutto, è possibile accettare significati che non abbiano alcuna aderenza alle espressioni usate dal de cuius» (Cass. n. 82/1979). Una volta rammentato il principio basilare dell'applicabilità temperata delle regole di interpretazione del contratto con l'interpretazione del testamento, con particolare riguardo alla distinzione tra istituzione di erede e legato, va menzionato il costante l'insegnamento della S.C. secondo cui: «In materia di distinzione tra erede e legatario, l'assegnazione di beni determinati deve interpretarsi, ai sensi dell'art. 588, come disposizione ereditaria (institutio ex re certa), qualora il testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una parte indeterminata di essi, considerata in funzione di quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato, se abbia voluto attribuirgli singoli individuati beni. L'indagine diretta ad accertare se ricorra l'una o l'altra ipotesi, si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito, ed è, quindi, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato» (Cass. n. 3016/2002).

Resta inteso, però, che non si versa in ipotesi di institutio ex re certa qualora il testatore abbia espressamente effettuato la chiamata del beneficiario in una quota del suo patrimonio, provvedendo successivamente ad indicare beni in essa compresi: «L'assegnazione, da parte del testatore, di uno o più beni determinati non costituisce istituzione di erede ex re certa, secondo la previsione di cui al comma 2 dell'art. 588, ove la qualità di erede discenda non da quella attribuzione, ma direttamente dalla chiamata del beneficiario a succedere in quota del patrimonio» (Cass. n. 4131/1976).

In altre parole, qualora, nonostante l'assegnazione di beni determinati, segua una chiamata diretta del beneficiario a succedere in quota del patrimonio, non sussiste l'istituzione di erede ex re certa ma l'ipotesi di eredità, ai sensi del primo comma del citato art. 588, a prescindere da ogni ulteriore indagine sull'intento dell'assegnazione (Cass. n. 5075/1978). Ove invece sorga effettivamente l'esigenza di discernere se la disposizione costituisca effettivamente institutio ex re certa, detta indagine va compiuta da un duplice versante oggettivo e soggettivo, occorrendo analizzare — secondo quanto ribadito da Cass. n. 8123/1987; Cass. n. 6190/1984; Cass. n. 3304/1981; Cass. 6525/1980 — il contenuto dell'atto nella sua oggettività e ricostruire in pari tempo l'intenzione del testatore: « Al fine di distinguere tra disposizioni testamentarie a titolo universale — che, indipendentemente dalle espressioni e dalle denominazioni usate dal testatore, sono attributive della qualità di erede — e disposizioni a titolo particolare — che, invece, attribuiscono la sola qualità di legatario — il giudice deve compiere sia una indagine di carattere oggettivo riferita al contenuto dell'atto sia una indagine di carattere soggettivo riferita all'intenzione del testatore. Ne consegue che soltanto in seguito a tali duplici indagini — che sono di competenza del giudice del merito e i cui risultati non sono censurabili in sede di legittimità se congruamente motivati — può stabilirsi se attraverso l'assegnazione di beni determinati il testatore abbia inteso attribuire una quota del proprio patrimonio unitariamente considerato (sicché la successione in esso è a titolo universale) ovvero abbia inteso escludere l'istituzione nell'universum ius (sicché la successione è a titolo di legato) » (Cass. n. 9467/2001).  In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell'art. 588 c.c., dunque, l'assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (institutio ex re certa) qualora il testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni, così che l'indagine diretta ad accertare se ricorra l'una o l'altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato. (Cass. II, n. 6125/2020, che ha confermato la decisione di merito che aveva interpretato come disposizione a titolo universale l'attribuzione testamentaria di beni determinati, valorizzando, sia il fatto che al beneficiato fosse stata assegnata la generalità dei beni mobili, oltre che la quota di un immobile, sia le peculiari espressioni allo stesso riservate dal testatore, attestanti un trattamento, sul piano del riconoscimento affettivo, differente rispetto a quello destinato agli altri soggetti indicati nel testamento).

Nell'applicazione della menzionata regola secondo cui l'assegnazione di beni determinati deve interpretarsi come institutio ex re certa qualora il testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una parte indeterminata di essi — che si trova tra l'altro ribadita in Cass. n. 974/1999; Cass. n. 1717/1981; Cass. n. 423/1981; Cass. n. 6525/1980 — l'accento va posto, in particolare, sull'obiettiva relazione tra i beni eventualmente individuati nel testamento ed il patrimonio del testatore, e ciò induce a ritenere che l'indicazione di essi per categorie deponga in linea di massima per l'istituzione di erede: « L'avere il testatore attribuito a taluno singoli beni facenti parte del suo patrimonio non comporta necessariamente il carattere di legato dell'attribuzione, poiché per stabilire se questa sia a titolo universale o a titolo particolare occorre stabilire se la disposizione sia stata fatta dal disponente in relazione al complesso del suo patrimonio, all'universum ius, oppure secondo una specifica individuazione dell'oggetto attribuito, in sé considerato e senza relazione alcuna con l'intero e globale patrimonio stesso. Pertanto, quando l'attribuzione di quota del patrimonio, ancorché individuata quanto al suo aspetto materiale nei componenti, avviene per classi o gruppi di beni (come, ad es. tutti i mobili o tutti gli immobili, e/o quote di essi) è da ritenere, se altri elementi intrinseci della scheda non depongano chiaramente in contrario, che l'attribuzione stessa abbia luogo a titolo universale, onde il beneficiato acquista la qualità di erede e non già quella di legatario » (Cass. n. 6516/1986).

Su tale considerazione la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva qualificato a titolo universale la disposizione con cui il testatore aveva attribuito ad un soggetto la nuda proprietà di tutti i beni immobili e ad altro soggetto la proprietà di tutti i beni mobili. Già in precedenza, del resto, era stato analogamente affermato che: « L'attribuzione di singoli beni in proprietà, da parte del testatore, può essere disposta non solo a titolo di legato, ma anche a titolo universale, come avviene nel caso di istituzione con cui è attribuito un intero compendio di beni omogenei (ad esempio, tutti gli immobili o tutti i mobili), sicché la disposizione con la quale il testatore esaurisce il patrimonio ereditario, attribuendo tutti i beni mobili ad un chiamato e tutti i beni immobili ad un altro, non esclude di per se la correlativa istituzione di erede, in quanto non è avulsa dal concetto di quota richiamato dall'art. 588, comportandone la non difficile determinazione mediante il raffronto dei beni con l'intero patrimonio, né eventualmente trova ostacolo nell'essere una delle attribuzioni in nuda proprietà, non essendo questa un diritto parziario rispetto alla proprietà piena, ma lo stesso diritto di proprietà temporaneamente compresso e destinato a riacquistare la sua naturale espansione alla fine dell'usufrutto » (Cass. n. 6525/1980).

In tale prospettiva — come è stato ripetuto da Cass. n. 5625/1985 — non possiede dunque rilievo decisivo neppure l'impiego delle espressioni « erede » o « legatario » (in tal senso da ult. Cass. n. 17868/2019),  le quali devono cedere alle regole interpretative stabilite dalla norma: « Al fine di stabilire se una disposizione testamentaria sia a titolo universale o particolare, deve innanzi tutto accertarsi, in base ad elementi oggettivi e soggettivi (limitatamente al modo in cui il testatore ha considerato i beni oggetto della disposizione), l'intrinseca natura della disposizione, ossia se essa comprenda o meno la universalità od una quota dei beni del de cuius, ovvero se, essendovi unicamente una indicazione di beni determinati, il testatore abbia considerato detti beni come tali oppure come quota del suo patrimonio; mentre può avere valore solo sussidiario il ricorso, agli indicati fini, ad altri elementi, come l'attribuzione meramente formale, da parte del de cuius, del titolo di erede o di legatario, la quale, conseguentemente, è priva di qualsiasi rilevanza qualora contrasti con la intrinseca natura della disposizione testamentaria, laddove ben può essere valutata come elemento confermativo del risultato dell'indagine condotta sulla obbiettiva consistenza della disposizione stessa » (Cass. n. 6110/1981).

Altra regola ricorrente, desunta dal medesimo art. 588 è quella che impone di procedere all'interpretazione sulla base del contenuto obiettivo del testamento, senza considerare, se non — come subito si vedrà — in via sussidiaria, i possibili elementi extratestuali. Ne deriva, secondo un'opinione giurisprudenziale, che la ricostruzione della volontà del testatore non può essere effettuata mediante prove testimoniali (Cass. n. 4865/1977; Cass. n. 2417/1976; contra Cass. n. 275/1981, la quale ammette, oltre alla prova testimoniale, il ricorso alle presunzioni). In quest'ottica nulla rileva il comportamento degli eredi o dei legatari nel dare attuazione alle disposizioni testamentarie, né l'interpretazione dei medesimi in proposito: « La qualità di erede non può essere desunta che dal contenuto obiettivo del testamento, essendo irrilevante a tal fine l'indagine sul comportamento degli eredi o dei legatari e sull'interpretazione che gli stessi abbiano dato al testamento » (Cass. n. 5625/1985).

A fronte del principio che precede — già formulato da Cass. n. 3751/1976; Cass. n. 2736/1975 — in tanto possono entrare in gioco elementi extratestuali, in quanto l'interpretazione non possa essere condotta sulla base del dato letterale, in applicazione — ammessa altresì da Cass. n. 4660/1986; Cass. n. 812/1983— del principio in claris non fit interpretatio: « In tema di interpretazione del testamento, qualora dall'indagine di fatto riservata al giudice di merito risulti già chiara, in base al contenuto dell'atto,la volontà del testatore, non è consentito — alla stregua del primario criterio ermeneutico della letteralità — il ricorso ad elementi tratti aliunde ed estranei alla scheda testamentaria» (Cass. n. 20204/2005). Così può tenersi conto della mentalità e cultura del testatore — come affermato altresì da Cass. n. 3972/1984; Cass. n. 3342/1977 — soltanto nella misura in cui il testamento non consenta da solo la ricostruzione della volontà testamentaria: « Nel caso di istituzione ex re certa, che non esaurisca l'intero patrimonio, occorre accertare se il testatore abbia inteso o meno assegnare quei beni come quota delle attività e delle passività che rappresentano l'intero patrimonio, perché, solo in questo caso l'istituito acquista la qualità di erede: a tal fine, il ricorso a elementi estrinseci al testamento, quali, ad esempio, la mentalità e la cultura del testatore, costituisce uno strumento ermeneutico meramente sussidiario, utilizzabile soltanto se la volontà testamentaria rimanga oscura, e non pure quando questa risulti chiaramente manifestata nella scheda testamentaria, valutata nel suo complesso » (Cass. n. 4582/1980).

Successivamente è stato ribadito, nello stesso ordine di idee, che: « In tema d'interpretazione del testamento, la volontà del testatore può desumersi anche da elementi estrinseci rispetto alla scheda testamentaria, quali la cultura, il livello d'istruzione scolastica, la mentalità e l'ambiente di vita » (Cass. n. 3940/2001).

Ed anzi il ricorso ad elementi extratestuali — in un caso non dissimile da quello scrutinato da Cass. n. 5067/1977 — è stato ammesso anche al fine di accertare se un determinato atto avesse o meno natura di testamento: « Al fine di accertare se una dichiarazione scritta, con la quale un soggetto disponga in favore di altra persona di tutte o parte delle proprie sostanze, contenga la volontà del dichiarante di far valere la disposizione solo per il tempo in cui avrà cessato di vivere e, quindi, configuri una disposizione testamentaria, è necessario indagare, ove le espressioni contenute nel documento risultino ambigue, o comunque di valore non certo, su ogni circostanza, anche estrinseca, idonea a chiarire la portata, le ragioni e le finalità perseguite con la disposizione medesima » (Cass. n. 1086/1976).

Sulla base del menzionato principio la S.C. ha cassato la decisione con cui il giudice di merito aveva ritenuto che una dichiarazione scritta di disposizione di un immobile configurasse non un atto di ultima volontà, ma una donazione, nulla per vizio di forma, in quanto il dichiarante aveva usato il termine « dono », anziché « lascio », e non aveva fatto espresso riferimento al valore della disposizione per il caso di morte: la pronuncia del giudice di legittimità e in tal caso censurato la mancata indagine su tutte le peculiari circostanze che avevano accompagnato la disposizione, quali le condizioni del dichiarante ed i suoi rapporti affettivi con il beneficiario, la tenera età di quest'ultimo, la consegna del documento ai familiari del medesimo.

Si è di recente affermato che, in tema di successione testamentaria, l'institutio ex re certa ha ad oggetto un bene determinato e solo di riflesso la quota, sicché l'alienazione successiva del bene attribuito implica la revoca della istituzione di erede o l'attribuzione di una quota maggiore rispetto a quella assegnata a favore di altro coerede, senza che possa trovare applicazione l'art. 686 in materia di legato in quanto l'art. 588, comma 2, consente di determinare la quota spettante all'erede sulla base del valore dei beni assegnati ed in rapporto al valore del restante patrimonio eventualmente assegnato ad altri coeredi (Cass. n. 6972/2017).

L'attribuzione dell'usufrutto con facoltà di vendita

Si è sovente presentato all'esame della giurisprudenza il caso della disposizione testamentaria avente ad oggetto l'usufrutto, ma con l'ulteriore facoltà dell'usufruttuario — evidentemente contrastante con la natura del suo diritto — di vendere uno o più beni.

In linea generale, naturalmente, il lascito dell'usufrutto non costituisce istituzione di erede: « L'attribuzione da parte del testatore del solo usufrutto non conferisce al beneficiario la qualità di erede, perché egli non succede in tal caso nell'universum ius del de cuius: ne consegue che il coniuge, nominato usufruttuario generale per disposizione testamentaria, non acquista la qualità di erede, e, non essendo riservatario che di una quota di usufrutto, ha qualità di terzo per far valere questo diritto suo proprio in contrapposizione ad ogni disposizione che lo lede, e, in qualità di terzo o provare, a norma dell'art. 1417 senza limiti, e perciò anche con presunzioni semplici, la simulazione » (Cass. n. 986/1979).

Si versa invece in ipotesi di istituzione di erede quando l'usufruttuario si vede riconosciuto il diritto di vendere il bene, sia pure soltanto in caso di bisogno, sempre che egli possa in proposito valutare discrezionalmente: «Quando il testatore disponga l'usufrutto dell'intero suo patrimonio o di parte di esso con facoltà del beneficiario di vendere i beni ereditari in caso di bisogno, è configurabile la istituzione di erede ogni qual volta il riferimento a tale stato valga come semplice raccomandazione del disponente, oppure quando la determinazione del bisogno è affidata alla valutazione discrezionale del beneficiario stesso, mentre nel caso in cui detta facoltà è condizionata all'obiettivo verificarsi del bisogno, vanno ravvisati due legati, uno puro e semplice, concernente l'usufrutto della eredità, e l'altro, sospensivamente condizionato all'obiettivo verificarsi alla situazione di bisogno, avente per oggetto i beni da vendere per sopperire a questa situazione» (Cass. n. 207/1985).

Ed in buona sostanza, infatti, l'usufruttuario il quale possa vendere a propria discrezione finisce per essere titolare non soltanto del diritto di godere del bene, traendone i frutti, ma anche del diritto di disporre, così come proprietario. Analogamente, in precedenza, era stato osservato che: « La disposizione testamentaria, con la quale il beneficiario (nella specie, coniuge del de cuius) venga nominato con formule abbinanti la qualità di usufruttuario e la concreta facoltà di vendere i beni ereditari, non è tale da escludere nel chiamato medesimo lo status di erede e, eventualmente, di erede fedecommissario de residuo (figura questa valida sotto il vigore del codice civile del 1865), ove, dalla complessiva interpretazione della scheda testamentaria, in relazione a tutte le clausole dettate, risulti la preminente volontà del testatore di attribuire il predetto status, senza apporre vere e proprie condizioni alla facoltà di vendere i beni, incompatibili con i diritti dell'erede, ma solo raccomandazioni di carattere morale, affidate alla valutazione discrezionale del beneficiario medesimo » (Cass. n. 251/1976).

La facoltà di vendere diviene altresì il criterio discriminante tra la valida istituzione di erede della disposizione avente ad oggetto una sostituzione fedecommissaria nulla: « Al fine di stabilire se il testatore, attribuendo ad un soggetto l'usufrutto sui beni costituenti la massa ereditaria e ad un altro soggetto la nuda proprietà degli stessi beni, abbia inteso nominare erede universale il beneficiario dell'usufrutto, con la conseguenza che l'ulteriore disposizione in favore dell'altro soggetto vada riguardata come una sostituzione fedecommissaria da considerare nulla in quanto vietata dalla legge (art. 292), assume rilievo decisivo la circostanza che il testatore abbia attribuito al beneficiario il potere di disporre dei beni costituenti la massa ereditaria senza alcuna limitazione (perché il potere di alienazione è incompatibile con il contenuto proprio del diritto di usufrutto), mentre, quando sia stato attribuito all'istituito il potere di alienare, solo in caso di bisogno, uno od alcuno di detti beni, restano configurabili due legati, uno concernente l'usufrutto, e l'altro, sospensivamente condizionato al verificarsi della situazione di bisogno, avente ad oggetto i beni da vendere per sopperire alla situazione stessa » (Cass. n. 2088/1993).

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