Codice Civile art. 597 - Incapacità del notaio, dei testimoni e dell'interprete.InquadramentoLa norma in commento stabilisce la nullità delle disposizioni testamentarie a favore di coloro che intervengono nella redazione del testamento pubblico, introducendo, allo scopo di tutelare la libera volontà del testatore,1'ipotesi di incapacità di ricevere. Detta incapacità colpisce anzitutto il notaio, ma anche gli altri pubblici ufficiali abilitati in casi particolari, ex artt. 609, 611, 616 e 617. Sono parimenti incapaci di testimoni, ovvero coloro che intervengono nella redazione del testamento pubblico per attestare la conformità delle dichiarazioni contenute in esso alla volontà del testatore. Non è prevista invece la nullità delle disposizioni in favore dei fidefacenti, ovvero di coloro che attestano l'identità del testatore innanzi al notaio che non lo conosca personalmente: e ciò perché questi ultimi «non intervengono nella redazione dell'atto» (Caramazza, 1982, 97). Sono infine incapaci gli interpreti, necessari alla redazione del testamento pubblico quando il testatore è uno straniero che non conosca la lingua italiana o un sordomuto. Occorre quindi sottolineare che l'art. 28 l. 16 febbraio 1913, n. 89, stabilisce, tra l'altro, che il notaio non può ricevere atti che contengano disposizioni che interessino lui stesso, il coniuge, un suo parente o affine in linea retta in qualunque grado ed in linea collaterale fino al terzo grado o persone delle quali sia procuratore per l'atto da stipularsi, tranne che si tratti di testamento segreto, non scritto né dal notaio, né da alcuna delle persone sopra indicate e consegnato sigillato dal testatore. È dunque evidente che quest'ultima disposizione prevede una disciplina più severa di quella codicistica dettata dalla norma in commento e dal successivo art. 598, la quale prevede l'incapacità a ricevere per testamento pubblico del notaio e non anche dei suoi parenti, salvo che questi non debbano essere ritenuti interposti ai sensi dell'art. 599. Ed inoltre, mentre la legge notarile sancisce la nullità dell'intero atto, il codice civile contempla la nullità della sua disposizione testamentaria a favore della persona incapace di ricevere. In argomento si è osservato che: « La legge notarile ha carattere complementare rispetto al codice civile e le sue prescrizioni relative ai testamenti, in contrasto con le norme dettate da quel codice, non possono trovare applicazione. Sussiste un tale contrasto tra l'art. 597 e gli artt. 50 e 58 n. 4 della legge notarile considerando queste ultime due norme in relazione all'art. 60 della stessa legge, che estende l'applicazione delle precedenti disposizioni ai testamenti. In materia di testamenti pubblici deve, pertanto ritenersi l'applicabilità dell'art. 597 e la prevalenza della norma codificata su quella più rigorosa dettata dalla legge notarile. Conseguentemente, nel caso di testimone intervenuto al testamento contenente disposizioni a favore di un terzo, pur se sussista un interesse mediato o indiretto del testimone medesimo alla disposizione, tale interesse non è idoneo a legittimare la declaratoria di nullità riservata dalla legge al solo caso in cui la disposizione testamentaria sia a favore diretto e immediato del testimone » (Cass. n. 3192/1963). Successivamente è stato osservato che la disposizione di cui al primo comma, n. 3, dell'art. 28 l. n. 8/1913 è posta a presidio dell'imparzialità del notaio e, conseguentemente, la valutazione della sussistenza o no dell'interesse all'atto, in essa contemplato, va effettuata ex ante e non ex post, e perciò in termini di mera potenzialità che l'atto possa essere rogato al fine di soddisfare un interesse del notaio o di uno dei soggetti indicati nella norma. Ne consegue che si rende del tutto irrilevante il fatto che le parti dell'atto, in concreto, non abbiano eventualmente ricevuto danno alcuno dall'atto rogato (Cass. n. 7028/2001). La pronuncia è stata resa in un caso in cui un notaio aveva redatto un atto di compravendita, rivestendo la qualità di procuratore generale di una delle parti, una società, oltre che di fideiussore della medesima insieme alla moglie, società di cui era socio ed amministratore il figlio: « L'art. 28 l. 16 febbraio 1913, n. 89, nello statuire quali atti il notaio non possa rogare, dispone al n. 3 che tra essi vi sono quelli che «contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie sua o alcuno dei suoi parenti o affini, fino al terzo grado inclusivamente, o persone delle quali egli sia procuratore per l'atto da stipularsi, salvo che la disposizione si trovi in testamento segreto ». L'art. 58, c. 1, n. 3 della stessa legge, sanziona con la nullità le disposizioni effettuate in violazione della precedente norma. Osserva questa Corte che, come tutti i divieti sanzionati da nullità, con il conseguente regime della rilevabilità d'ufficio o su istanza di qualunque terzo interessato e della imprescrittibilità della relativa azione (artt. 1421 e 1422), il divieto in esame presidia superiori e generali interessi e non già quelli propri ed esclusivi delle parti del contratto ed assume una valenza precettiva meramente formale, laddove configura come illegittime situazioni tipiche di mera condotta e non anche le situazioni produttive di danno per alcuni soggetti o di vantaggio per il notaio o per i prossimi congiunti indicati dalla norma. Trattasi di norma posta a garanzia della terzietà del notaio rispetto all'atto che roga, ed è l'equivalente, per il notaio, dell'obbligo di astensione dall'attività, che è imposto al giudice dall'art. 51, n. 1 c.p.c., che ha l'obbligo di astenersi «se ha interesse nella causa». Come per il giudice (Cass. n. 1060/1971), l'interesse personale mette in dubbio l'imparzialità dell'organo che procede. Poiché la norma è a presidio dell'imparzialità del notaio e pone un divieto allo stesso di rogare, detta valutazione di esistenza dell'interesse dei soggetti indicati dalla norma, va effettuata ex ante e non ex post e cioè in termini di mera potenzialità, o se si vuole, di pericolosità che l'atto possa essere rogato al fine di soddisfare un interesse dei soggetti indicati dalla norma. Che poi in concreto le parti non abbiano ricevuto un danno dall'atto rogato, questo è irrilevante. Infatti la legge non impone al notaio di non provocare con l'atto rogato danni alle parti o a terzi e vantaggi a sé, ma anticipa la tutela dell'imparzialità, vietando allo stesso di rogare un atto in cui egli (o i prossimi congiunti), abbiano un interesse. Proprio perché il divieto attiene già alla condotta e non all'evento, l'interesse che rende illegittima la condotta non può che essere valutato anteriormente e cioè prima che la condotta sia posta in essere, e non successivamente a consuntivo, sulla base del rilievo se l'evento di danno per altri, e simmetricamente l'evento di vantaggio per il notaio (o per i prossimi congiunti), vi siano stati. Pertanto l'interesse non può essere identificato in maniera riduttiva e cioè come contrasto con gli interessi delle parti che hanno richiesto l'opera del notaio, nell'ottica del parametro normativo di cui all'art. 1394. Infatti da una parte la norma di cui all'art. 28 n. 3 non fa alcun riferimento a fattispecie di conflitto ed inoltre la terzietà del pubblico ufficiale è lesa anche nel caso di coincidenza tra l'interesse privato dello stesso e quello delle parti. Trattasi, quindi, di un divieto che ha la stessa funzione di garantire la trasparenza dell'attività del notaio, quale pubblico ufficiale, simile anche ai divieti posti dal codice civile nei confronti di particolari pubblici ufficiali in tema di cessione di diritti (art. 1261) o di acquisti (art. 1471, n. 2), sanzionati anche essi con una nullità assoluta ed inderogabile. La particolarità rispetto a detti divieti è che in essi l'interesse del pubblico ufficiale si realizza esclusivamente con l'atto vietato, nel senso che questo lo regola come suo oggetto, imputato a persona determinata, nel caso invece di cui all'art. 28, n. 3, cit., l'interesse si realizza per il tramite dell'atto, come conseguenza giuridica e/o patrimoniale dello stesso, secondo la regolarità causale. Se l'interesse fosse solo quello regolato dall'atto, allora il suo portatore sarebbe la vera parte sostanziale del negozio, con la conseguenza che la norma in questione non si distinguerebbe da quella di cui all'art. 28, n. 2, l. n. 89/1913, la quale fa divieto di ricezione degli atti nei quali intervengono come parti o come procuratori, tutori ed amministratori, il coniuge, i parenti, ed affini in linea retta ed in linea collaterale, fino al terzo grado, discendendo peraltro dal sistema il divieto che il notaio possa rogare se stesso, e, quindi essere parte dell'atto. Pertanto, come correttamente ha osservato la sentenza impugnata, l'interesse di cui all'art. 28, n. 3, l. n. 89/1913, non è un interesse interno all'atto e che in esso si esaurisce, ma formalmente esterno all'atto negoziale e ad esso ricollegato secondo la regolarità causale e, quindi, da valutarsi ex ante » (Cass. n. 7028/2001). 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