Codice Civile art. 603 - Testamento pubblico.

Mauro Di Marzio

Testamento pubblico.

[I]. Il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni [597; 743 c.p.c.].

[II]. Il testatore, in presenza dei testimoni, dichiara al notaio la sua volontà, la quale è ridotta in iscritto a cura del notaio stesso. Questi dà lettura del testamento al testatore in presenza dei testimoni. Di ciascuna di tali formalità è fatta menzione nel testamento [606].

[III]. Il testamento deve indicare il luogo, la data del ricevimento e l'ora della sottoscrizione, ed essere sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio. Se il testatore non può sottoscrivere, o può farlo solo con grave difficoltà, deve dichiararne la causa, e il notaio deve menzionare questa dichiarazione prima della lettura dell'atto [605, 606].

[IV]. Per il testamento del muto, sordo o sordomuto (1) si osservano le norme stabilite dalla legge notarile per gli atti pubblici di queste persone. Qualora il testatore sia incapace anche di leggere, devono intervenire quattro testimoni.

(1) L'art. 1 l. 20 febbraio 2006, n. 95 ha disposto che in tutte le disposizioni legislative vigenti il termine «sordomuto» sia sostituito con l'espressione «sordo».

Inquadramento

La norma detta, unitamente alla legge notarile, la disciplina del testamento pubblico, ossia della forma più diffusa di testamento per atto di notaio.

Essa esordisce stabilendo che il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni. Il secondo e terzo comma, poi, contengono la descrizione analitica degli adempimenti che il testatore, il notaio ed i testimoni debbono compiere nella formazione del testamento pubblico.

Si tratta, come accennato, di disposizione da leggersi in combinato disposto con la legge notarile. In proposito merita subito sottolineare che l'una e l'altra si integrano secondo il principio di specialità, speciale essendo la norma in commento.

Delle due forme di testamento ordinario, il testamento olografo e quello per atto di notaio, quest'ultimo si suddivide in testamento pubblico e testamento segreto: nel primo caso è il notaio a ridurre in iscritto la dichiarazione di ultima volontà formulata dal testatore; il secondo caso, invece, il notaio riceve la scheda testamentaria già redatta dal testatore o da un terzo. Con il testamento pubblico il testatore soddisfa essenzialmente un'esigenza di sicurezza sotto diversi profili: a) sia dal versante probatorio, poiché il testamento pubblico ha natura di atto pubblico, sicché la sua efficacia probatoria può essere infirmata esclusivamente con la querela di falso; b) sia dal versante dello smarrimento, sottrazione o distruzione della scheda testamentaria, evento, questo, estremamente improbabile presso lo studio notarile; c) dal versante della espressione della propria volontà in linguaggio tecnico-giuridico, a mezzo dell'intervento del notaio.

Oltre che dalla disposizione in commento, il testamento pubblico è disciplinato dalla legge notarile (art. 60 l. n. 89/1913)

La disposizione in commento, in sintesi, delinea lo svolgimento logico e cronologico dei comportamenti necessari, quali requisiti di forma del testamento pubblico: a) dichiarazione di volontà orale al notaio in presenza dei testimoni; b) riduzione in iscritto della dichiarazione; c) lettura dell'atto in presenza dei testimoni; d) menzioni che l'atto deve contenere; e) sottoscrizioni; f) indicazione dell'ora della sottoscrizione (Cicu 1969, 61).

In un assetto giurisprudenziale sufficientemente consolidato, è opportuno sottolineare il dibattito dottrinale concernente due punti di rilevante impatto pratico nella formazione del testamento: a) se i testimoni debbano partecipare o meno a tutte le fasi di formazione del testamento pubblico; b) se il testamento pubblico possa essere predisposto da parte del notaio.

Sul piano pratico occorre ancora ricordare che il testamento, non solo olografo ma anche pubblico, non deve necessariamente contenere, a pena di nullità, le indicazioni catastali e di configurazione degli immobili cui si riferisce, essendo invece sufficiente, per la validità dell'atto, che tali beni siano comunque identificabili senza possibilità di confusioni, salva la necessità — non attinente, peraltro, ad un requisito di regolarità e validità del testamento — che gli eredi, in sede di denuncia di successione e di trascrizione del testamento medesimo, indichino specificamente gli immobili predetti, menzionandone dati catastali, confinazioni ed altro (Cass. n. 1649/2017).

I testimoni

I testimoni presenziano al ricevimento del testamento da parte del notaio. La loro presenza è prevista in funzione della verifica della conformità della dichiarazione di volontà del testatore con la riduzione in iscritto fatta dal notaio. Secondo alcuni i testimoni debbono inoltre garantire la veridicità del documento anche nella sua formazione e non solo nel risultato finale, sicché essi dovrebbero partecipare non soltanto alla dichiarazione di volontà orale e alla lettura dell'atto, come ritiene la giurisprudenza, ma a tutte le fasi di formazione del testamento pubblico (Marmocchi 1994, 831).

I requisiti di idoneità dei testimoni sono previsti dalla legge notarile (Cass. n. 624/1945), in particolare dall'art. 50 l. n. 89/1913). In caso di inidoneità dei testimoni l'atto notarile è nullo (art. 58 l. n. 89/1913). Il notaio deve dunque accertare l'idoneità dei testimoni, e ciò con particolare rigore proprio qualora essi siano presentati dallo stesso dichiarante (Cass. n. 1313/1948).

La S.C. ha in particolare escluso che conclusioni diverse possano essere raggiunte dal raffronto tra l'art. 50 l. not., relativo ai testimoni, e l'art. 49 l. not., relativo alle parti, il quale prevede che il notaio debba essere certo soltanto dell'identità personale di esse. Ed infatti, essendo il notaio, per la sua stessa funzione, il responsabile diretto della formazione dell'atto, ed essendo di conseguenza tenuto a prestare in questa ogni cura affinché l'atto stesso abbia tutti i requisiti necessari alla realizzazione della sua finalità, è da ritenere che egli non possa egli esimersi dal cerziorarsi della capacità dei testimoni da assumere, una volta che la legge commini la nullità dell'atto compiuto con l'intervento dei testi non idonei (Cass. n. 1313/1948).

Particolare attenzione occorre prestare alla previsione secondo cui, alla stregua della legge notarile, il testamento pubblico è nullo qualora il testimone sia interessato direttamente o indirettamente alle disposizioni (Cass. n. 3192/1963).

Nella pratica si è presentata la questione della sorte testamento pubblico qualora il notaio abbia attestato falsamente la presenza dei testimoni. È stato chiarito che la falsità dell'attestazione può essere indifferentemente accertata in sede civile o penale, discendendone comunque l'annullabilità del testamento (Cass. n. 1009/1992).

La dichiarazione rilasciata dal testatore

La decisiva formalità del testamento pubblico è indicata dall'art. 603, comma 2, il quale stabilisce che il testatore, in presenza dei testimoni, dichiara al notaio la sua volontà. Non è detto «che la dichiarazione deve essere fatta oralmente, ma ciò è implicito nella parola dichiarare» (Cicu 1969, 61). Non c'è dubbio, cioè, che il testatore debba esprimere la propria volontà a «viva voce» (Azzariti, Martinez e Azzariti 1973, 428). È da escludere che «il testatore possa limitarsi a consegnare al notaio uno scritto in cui la volontà sia già contenuta» (Cicu 1969, 61). Il dichiarante può però servirsi di appunti o leggere uno scritto già preparato da lui o da altri (Cicu 1969, 62; Triola 1998, 155) consegnandolo se del caso al notaio perché se ne serva nella redazione dell'atto.

Il testatore può esprimersi in una lingua straniera (art. 60 e 54 l. n. 89/1913).

Qualora il notaio non conosca la lingua straniera, l'atto può essere ricevuto con l'intervento di un interprete scelto dal testatore, ma non tra i testimoni ed i fidefacenti, ai sensi dell'art. 55 l. n. 89/1913.

La riduzione della dichiarazione in scritto

Il notaio deve essere certo dell'identità personale del testatore (art. 49 l. n. 89/1913), e può raggiungere tale certezza anche al momento della relativa attestazione, valutando tutti gli elementi utili al convincimento. In caso contrario può avvalersi di due fidefacenti che possono essere nello stesso tempo testimoni. Non vizia il testamento la circostanza che i fidefacenti abbiano indicato erroneamente i dati anagrafici della parte, giacché di tali dati è ammessa la prova con ogni mezzo (App. Palermo 25 marzo 1991, Foro it., 1992, I, 935).

La riduzione in iscritto deve avvenire a cura ma non necessariamente per mano del notaio, che ben può servirsi di un collaboratore il quale scriva sotto dettatura (Giannattasio 1961, 133; Cicu 1969, 65; Azzariti, Martinez e Azzariti 1973, 429).

Concorda la giurisprudenza (Cass. n. 2354/1959). L'attività del notaio di riduzione in iscritto della volontà del testatore, cioè, si distingue in «un'attività intellettuale ed un'attività materiale di documentazione; la prima non è delegabile ad altri, la seconda sì» (Allara 1957, 91). La mancanza dell'attività materiale di riduzione in iscritto da parte del notaio, allora, non incide sulla validità dell'atto, mentre la mancanza dell'attività intellettuale determina la nullità del testamento, ai sensi dell'art. 606.

L'attività intellettuale di riduzione della volontà del testatore in iscritto si risolve secondo alcuni in «una funzione non meramente passiva» (Cicu, 1969, 62; nello stesso senso Cass. n. 2354/1959). Non v'è dubbio, per altro verso, che il notaio abbia altresì il compito, non espresso ma presupposto dall'art. 47 l. n. 89/1913, di interpretare la volontà del testatore. Al notaio, cioè, non può riconoscersi la semplice funzione di «recezione materiale della dichiarazione resa dalla... parte privata» (Liserre, 1966, 63). Deve escludersi, perciò, che il testatore possa dettare il testamento al notaio, poiché in tale caso la funzione di quest'ultimo di indagare ed interpretare la volontà del testatore rimarrebbe pregiudicata (Marmocchi, 1994, 828; Triola 1998, 157). Il notaio, invece, può e deve fare domande al testatore, chiedergli chiarimenti (Cicu 1969, 62) e, pur nel pieno rispetto della sua volontà, dargli i suggerimenti che possano presentarsi necessari od utili (Cass. n. 2481/1954; Cass. n. 869/1969).

Il notaio non deve utilizzare le stesse parole pronunciate dal testatore, ma anzi è tenuto ad adottare la forma espressiva più adeguata ad esprimere la volontà di questi. Neppure è richiesto che il notaio operi la riduzione della volontà in iscritto man mano che il testatore la vada manifestando: il notaio, cioè, può attendere che il testatore esprima integralmente la propria volontà, per tradurlo poi in iscritto nel modo più appropriato ed organico (Triola, 1998, 161).

La S.C. ha chiarito che le due essenziali operazioni di confezione della scheda — ricevimento della dichiarazione e riduzione in iscritto — sono «idealmente distinte e pertanto possono materialmente svolgersi al di fuori di un unico contesto temporale» (Cass. n. 2742/1975; Cass. n. 1649/2017 ; Cass. n. 30221/2023).

Secondo alcuni, tuttavia, il testamento pubblico non potrebbe essere «redatto a rate» (Triola, 1998 163), potendo l'interruzione nel compimento delle formalità far ritenere che non siano state realizzate le finalità perseguite in tal modo dal legislatore (analogamente Marmocchi, 1994, 831).

Non diversamente si presenta la questione, dibattuta in dottrina ma univocamente risolta dalla giurisprudenza, della validità della scheda predisposta dal notaio, sempre che alla predisposizione segua la ripetizione della dichiarazione da parte del testatore e nel rispetto delle ulteriori formalità previste (Cass. n. 3552/1971; Cass. n. 130/1963; Cass. n. 2742/1975). È necessario per la validità dell'atto che il testatore rinnovi integralmente la propria manifestazione di volontà, a garanzia che lo scritto ne sia «l'eco fedele» (Cass. n. 3552/1971).

La lettura dell'atto

La norma in commento stabilisce che il notaio, dopo aver ridotto in iscritto la dichiarazione orale del testatore, deve dare a quest'ultimo lettura dell'atto in presenza dei testimoni: e ciò, secondo l'opinione comune, allo scopo di consentire sia al testatore che ai testimoni di constatare che il testamento così redatto rifletta esattamente la dichiarazione di volontà del testatore.

Secondo la legge notarile il notaio può commettere ad altri la lettura dell'atto che egli stesso abbia scritto, «salvo ciò che dispone il codice civile in ordine ai testamenti» (art. 51, comma 2, n. 8, l. n. 89/1913).

L'art. 603 non prevede la possibilità di delegare la lettura e perciò si pone come norma speciale rispetto all'altra, prevalendo su di essa (Cicu, 1969, 67), secondo il congegno al quale si è già fatto cenno. Il notaio, quindi, deve leggere personalmente l'atto.

La lettura, da eseguirsi in presenza dei testimoni, deve essere integrale e non limitata alla sola dichiarazione di volontà del testatore. Ciò vuol dire che essa deve comprendere anche le menzioni, delle quali si tratterà di seguito. In contrario è stato osservato che «la legge nulla dice al riguardo e trattasi di un adempimento di legalità affidato unicamente alla responsabilità del notaio» (Azzariti, Martinez e Azzariti, 1973, 431). Ma le menzioni fanno parte dell'atto e, dunque, non v'era ragione che il legislatore ne ordinasse esplicitamente la lettura, giacché la lettura della singola parte è richiesta con la lettura del tutto. Il problema si è posto, in giurisprudenza, in caso in cui, data lettura dell'atto, il notaio, al momento delle sottoscrizioni, aveva preso atto della dichiarazione del testatore di un impedimento a sottoscrivere e, dopo aver menzionato la circostanza, non aveva proceduto ad una nuova lettura.

Sul punto la S.C. n. ha affermato che a norma dell'art 603, comma 3, in caso di testamento pubblico, deve essere data lettura al testatore in presenza dei testimoni, oltre che della dichiarazione testamentaria, anche della eventuale dichiarazione, da lui resa, di non poter sottoscrivere l'atto o di poterlo fare solo con grave difficoltà, costituendo tale dichiarazione parte integrante del contesto del testamento (Cass. n. 3552/1971; Cass. n. 358/1959). In effetti, però, l'invalidità sembra più esattamente assumere la forma dell'annullabilità, ai sensi dell'art. 606, essendo le cause di nullità ivi tassativamente previste (Cass. n. 2354/1959).

Le menzioni

La norma in commento stabilisce che il testamento pubblico debba contenere la menzione di ciascuna delle formalità previste dalla legge. Con l'espressione «menzione» si intende la «documentazione dell'adempimento di talune formalità» (Allara, 1957, 91). Le menzioni prescritte sono: a) che il testatore ha dichiarato la sua volontà al notaio; b) che i testimoni erano presenti a tale dichiarazione; c) che questa è stata ridotta in iscritto a cura del notaio; d) che il notaio ha dato lettura del testamento; e) che i testimoni erano presenti a tale lettura. Eventualmente devono sussistere queste altre menzioni: a) della lettura del testamento fatta dal sordo o muto o sordomuto; b) della dichiarazione del testatore o del fidefacente che non possano sottoscrivere, della causa che li impedisce (Cicu, 1969, 71).

Non sono richieste formule sacramentali e, dunque, non è necessario utilizzare gli stessi vocaboli utilizzati nell'art. 603, purché sia possibile «dedurre in modo chiaro e sicuro l'osservanza del precetto di legge» (Cass. n. 3548/1954; Cass. n. 2354/1959). È necessario, però, che la menzione delle formalità sia specifica ed analitica (Cass. n. 2017/1957).

Le menzioni devono seguire, cronologicamente, l'espletamento delle formalità (Cass. n. 2354/1959). Ovviamente dell'effettuazione delle menzioni non occorre fare nuovamente menzione (Cass. n. 2354/1959).

Ora e sottoscrizione

Il testamento pubblico si chiude: a) con la sottoscrizione del testatore, dei fidefacenti, dei testimoni e del notaio; b) con l'indicazione dell'ora, la quale segna la chiusura del testamento.

L'ora è richiesta perché la sottoscrizione che si coniuga con l'indicazione di essa perfeziona il testamento, sicché il preciso momento in cui il perfezionamento ha avuto luogo rileva per questioni di capacità o di revoca: perciò deve intendersi per ora non la semplice indicazione di una delle ventiquattro ore, ma anche del minuto (Cicu, 1969, 70).

Mentre la data deve essere indicata «in lettere per disteso dell'anno, del mese e del giorno», ex art. 51, comma 2, n. 1, l. n. 89/1913, l'ora può essere indicata anche soltanto in cifre (Cass. n. 1553/1957).

Per sottoscrizione o firma «si deve intendere l'apposizione in calce al documento del proprio nome e cognome per esteso» (Cass. n. 1999/1966).

La disciplina della sottoscrizione è dettata dall'art. 51 l. n. 89/1913 il quale dispone essa debba farsi col «nome, cognome delle parti, dei fidefacenti, dell'interprete, dei testimoni e del notaro» (art. 51, comma 2, l. n. 89/1913).

La sottoscrizione del testamento pubblico pone problemi distinti da quelli sollevati dalla sottoscrizione del testamento olografo, che è valida se non susciti incertezze sulla persona del testatore. Il testatore, nel testamento pubblico, deve sottoscrivere con nome e cognome «qualunque sia il modo di sottoscrizione abituale» (Cass. n. 1999/1966).

La S.C. afferma che il testamento è invalido se non sia sottoscritto dal testatore con il nome e cognome per esteso, cioè con il prenome e il nome patronimico risultanti dagli atti dello stato civile (Cass. n. 1999/1966).

Le considerazioni finora svolte riguardano la sottoscrizione finale, ma l'atto notarile, se composto di più fogli, deve contenere anche le sottoscrizioni marginali, fatte «anche col solo cognome», ex art. 51, comma 2, n. 12, l. 89/1913 È bene precisare che, per la legge notarile, la mancanza delle firme marginali non importa invalidità, ex art. 58 l. 89/1913

Si ritiene, però, che l'art. 606, nel prevedere l'annullabilità del testamento pubblico per la mancanza di qualsiasi requisito formale diverso da quelli per i quali è comminata la nullità, si ponga in contrasto con il citato art. 58 e che, di conseguenza, la mancanza delle firme marginali determini annullabilità dell'atto (Triola, 1998, 175).

Ai sensi del comma 3 della norma in commento, se il testatore non può sottoscrivere, o può farlo con grave difficoltà, deve dichiararne la causa e il notaio deve menzionare questa dichiarazione prima della lettura dell'atto. Nel caso di impedimento alla sottoscrizione, dunque, la funzione di questa è assolta dalla combinazione della dichiarazione resa sul punto dal testatore e dalla relativa menzione fattane dal notaio.

La impossibilita o la grave difficoltà di sottoscrivere il testamento non debbono necessariamente essere costituite da una vera e propria malattia, ma possono ben essere costituite da qualsiasi impedimento fisico, anche a carattere temporaneo, e quindi anche da una difficoltà di grafia derivante dall'estrema debolezza in cui il testatore si trovi o dalla sua età avanzata (Cass. n. 912/1973). La grave difficoltà del testatore a sottoscrivere, allora, può consistere anche in un impedimento di natura psichica e passeggera: si è affermato il principio nel caso di un analfabeta che, pur avendo in precedenza firmato taluni atti, mettendo faticosamente ogni lettera dietro l'altra, non vi era riuscito in occasione della formazione del testamento olografo, a causa del particolare stato d'animo del momento (Cass. n. 2101/1950). Di seguito si è ribadito, in analoga fattispecie, che la causa impeditiva della sottoscrizione può essere costituita da qualsiasi impedimento fisico anche temporaneo e quindi anche da una difficoltà di grafia derivante dall'estrema debolezza in cui il testatore si trovi o dalla sua età avanzata (Cass. n. 9674/1996).

La dichiarazione richiesta al testatore deve provenire direttamente da lui, e non può essere effettuata, in sua vece, dal notaio, il quale attesti che egli è impedito a sottoscrivere: è stato così giudicato invalido un testamento pubblico a conclusione del quale il notaio si era limitato ad attestare che il testatore «non firma perché non si sente di poterlo fare» (Cass. n. 2017/1957; Cass. n. 6838/1991).

In caso di contestazione circa la rilevanza della dichiarazione spetta al giudice di merito il potere di procedere alla interpretazione di essa ed all'accertamento dell'esistenza dell'impedimento dichiarato, al fine di stabilire se il suo contenuto soddisfi obbiettivamente l'esigenza contemplata dalla legge (Cass. n. 1073/1992). È stata giudicata sufficiente la dichiarazione del testatore di non poter sottoscrivere perché malato, senza indicazione della malattia (Cass. n. 573/1946). Analogamente, tenuto conto che ne risultava comunque esclusa la volontà del testatore di non sottoscrivere l'atto, si è ritenuta idonea la generica dichiarazione di non poter sottoscrivere «a causa della malattia» (Cass. n. 430/1963).

Si ritiene, cioè, che il testatore il quale dichiari falsamente il proprio impedimento a sottoscrivere non voglia, in realtà, approvare o confermare il contenuto del testamento, ipotesi, questa, equiparabile a quella di mancanza di sottoscrizione: ne segue la nullità dell'atto (Cass. n. 9674/1996; Cass. n. 10605/1990).

Il testamento pubblico del muto, del sordo e del sordomuto

Quanto all'ultimo comma della disposizione in commento, relativa al muto, al sordo e al sordomuto, è utile anzitutto rammentare che la sussistenza di una di tali peculiari condizioni, in caso di contestazione giudiziale, spetta al giudice di merito (Cass. n. 2152/1966).

Quanto al sordo, ai fini del compimento dell'atto il testatore non è tale se, anche con l'ausilio di un apparecchio acustico, possa udire la voce del notaio, eventualmente con tono più alto del normale. Quando, invece, la minorazione sia talmente grave da impedire, pur con l'uso di apparecchi acustici, una sufficiente percezione auditiva, è necessario porre in essere le formalità previste per il sordo (Cass. n. 1210/1946).

Si deve poi distinguere secondo che il sordo sia o meno in grado di leggere l'atto. Nel primo caso è necessario che anch'egli, oltre al notaio (Cicu, 1969, 67), legga ad alta voce il testamento, ed il notaio faccia menzione della formalità, obbligo che discende dall'art. 603. Se, invece, il sordo non è in grado di leggere, deve essere nominato un interprete che deve tradurre il contenuto del testamento in linguaggio, fatto di segni e gesti, comprensibile al sordo. Anche in questo caso è necessaria la menzione (art. 56 l. n. 89/1913).

Il muto ed il sordomuto ricevono dalla legge notarile lo stesso trattamento. Si deve distinguere, al riguardo, secondo che essi siano in grado non solo di leggere, come il muto, ma anche di scrivere. Nel primo caso non è necessario alcun interprete, ed essi devono non soltanto leggere a voce alta l'atto, ma anche scrivervi che lo hanno letto e riconosciuto conforme alle proprie volontà. Nel secondo caso sono necessari non uno ma due interpreti, salvo che un testimone sappia comunicare col testatore. Necessaria la menzione (art. 57 l. n. 89/1913).

L'interprete dev'essere nominato dal giudice e non può essere sostituito dal notaio. In un simile caso, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato nullo il testamento, affermando che la scelta dell'interprete o degli interpreti, con l'accertamento delle condizioni, previste dalla legge notarile, è affidata esclusivamente al giudice. Il notaio non poteva procedere alla sostituzione di un interprete nominato dal pretore con un'altra persona (Cass. n. 12176/1991).

L'efficacia probatoria del testamento pubblico

Il testamento pubblico, al quale l'art. 603 riconosce natura di atto pubblico, possiede l'efficacia probatoria propria di questo e, dunque, fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, exart. 2700.

Di conseguenza, l'atto pubblico copre della propria efficacia probatoria tutte le attestazioni fatte dal notaio e inserite nell'atto riguardo ai comportamenti posti in essere dal testatore, dai testimoni e da se medesimo. Così, rimangono fuori dall'efficacia probatoria privilegiata dell'atto pubblico i giudizi espressi dal notaio nella redazione del testamento pubblico, tra cui, in particolare, quello sulle condizioni di capacità di intendere e di volere del dichiarante. Difatti, «lo stato di sanità mentale, benché ritenuto e dichiarato dal notaio che redige il testamento pubblico, può essere contestato con ogni mezzo di prova, senza bisogno di proporre querela di falso (Cass. n. 4939/1981).

Nondimeno, ciò che il notaio ha constatato riguardo all'atteggiamento mantenuto dal testatore durante la redazione dell'atto può essere utilizzato dal giudice per la formazione del proprio convincimento in punto di accertamento della capacità del testatore (Cass. n. 377/1943).

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