Codice Civile art. 646 - Retroattività della condizione.Retroattività della condizione. [I]. L'adempimento della condizione ha effetto retroattivo [1360]; ma l'erede o il legatario, nel caso di condizione risolutiva, non è tenuto a restituire i frutti [820] se non dal giorno in cui la condizione si è verificata [1361 2]. L'azione per la restituzione dei frutti si prescrive in cinque anni. InquadramentoIl principio generale della retroattività della condizione è fissato in materia contrattuale dall'art. 1360. Lo stesso principio, con un temperamento in tema di restituzione dei frutti, si applica in materia testamentaria in forza della norma in convento, la quale ha introdotto una disciplina innovativa rispetto a quella previgente, che stabiliva l'inefficacia della condizione sospensiva in caso di morte dell'istituito prima dell'avveramento della condizione. Gli effetti della disposizione testamentaria, una volta venuta ad esistenza la condizione, retroagiscono al momento dell'apertura della successione, sicché l'istituito sotto condizione sospensiva viene considerato come erede o legatario sin da quel momento, mentre l'istituito sotto condizione risolutiva perde ex tunc la qualifica di erede. Pertanto, è al momento dell'apertura della successione «che bisogna risalire per procedere all'identificazione degli eredi o dei legatari e all'accertamento di eventuali cause di incapacità» (Giannattasio, 1961, 253). Quindi, se l'istituito sotto condizione sospensiva muoia prima del verificarsi dell'evento dedotto in condizione, «i diritti spettanti all'onorato, appunto perché entrati nel patrimonio di questo, non restano acquisiti per diritto di accrescimento agli altri istituiti, ma si trasmettono agli eredi dell'onorato» (Cass. n. 141/1959; Cass. n. 1701/1969). Si deve poi aver riguardo al momento della morte del testatore anche nel caso che, per effetto del mancato avveramento della condizione sospensiva apposta alla istituzione di erede, debba farsi luogo alla successione legittima e, così, procedere all'identificazione di coloro i quali vi sono chiamati (Cass. n. 2737/1975). Retroattività della condizione sospensivaLa retroattività della condizione non è meramente obbligatoria, ma reale, in quanto opera ipso iure nei rapporti e sugli atti compiuti nella fase di pendenza dall'istituito sottoposto sia a condizione sospensiva, sia risolutiva, ristabilendo la situazione giuridica che si sarebbe avuta se l'istituzione fosse stata fin dall'inizio non condizionata (Marinaro, 1980, 330). Bisogna distinguere però tra atti di amministrazione e atti di disposizione, secondo che si tratti di condizione sospensiva o risolutiva. In caso di istituzione di erede sottoposta a condizione sospensiva, gli atti compiuti dall'amministratore nominato ai sensi dell'art. 641, una volta avveratasi o mancata la condizione, conservano pienamente la loro validità ed efficacia, dovendosi applicare il principio sancito dall'art. 1361, secondo il quale l'avveramento della condizione non pregiudica la validità di tali atti compiuti dalla parte a cui, in pendenza della condizione stessa, spettava l'esercizio del diritto; Agli atti di disposizione compiuti dall'amministratore si applica la disciplina dettata per il curatore dell'eredità giacente, ex art. 644, sicché, cessata la curatela, gli atti compiuti da quest'ultimo, ivi compresi gli atti di disposizione posti in essere con la necessaria autorizzazione del giudice delle successioni, vanno definitivamente imputati all'erede. In proposito la S.C. ha osservato che l'efficacia retroattiva della condizione « comporta che, al suo verificarsi, gli effetti della disposizione condizionata retroagiscano al tempo dell'apertura della successione; ma, mentre l'istituito sotto condizione risolutiva è considerato come se mai avesse adito l'eredità (ed in tal caso cadono tutti i diritti costituiti dall'erede o dal legatario a favore dei terzi senza distinzione tra atti a titolo oneroso e gratuito), non la stessa cosa avviene al verificarsi della condizione sospensiva, perché l'istituito assume la qualità di erede sin dal tempo dell'apertura della successione e gli atti da lui compiuti medio tempore non sono caducati e non possono essere dallo stesso erede che li ha compiuti inficiati di nullità o ritenuti a lui non opponibili » (Cass. n. 663/1969). La retroattività della condizione importa ancora che l'amministratore debba consegnare all'erede l'intero compendio ereditario, comprensivo dei frutti che egli ha percepito in conseguenza dell'obbligo di conservarli nello stato di pendenza per trasferirli all'avente diritto (Caramazza, in Comm. De M. 1982, 311). Quanto al legato sotto condizione sospensiva, si può ancora ribadire, quanto agli atti di amministrazione, che essi conservano validità ed efficacia pur dopo l'avverarsi della condizione, secondo il principio fissato dall'art. 1361. Gli effetti degli atti di disposizione compiuti dall'onerato, invece, «sono soggetti a risolversi con l'adempimento della condizione, a norma del criterio resoluto iure dantis resolvitur ius accipientis» (Betti, 1950, 532). Retroattività della condizione risolutivaI problemi posti dalla retroattività della condizione risolutiva sono generalmente considerati maggiormente complessi, soprattutto per le implicazioni riguardanti i rapporti con i terzi, poiché, in tal caso « l'erede condizionato deve considerarsi come se non fosse mai stato tale e non fosse stato mai proprietario delle cose ereditarie » (Torrente, 1945, 57). In tal senso la retroattività si risolve in « una dissociazione della realtà giuridica dal dato storico ed appunto perciò si definisce fictio iuris il suo effetto » (Cass. n. 1428/1966). In caso di istituzione d'erede sotto condizione risolutiva, come si è visto nel commento all'art. 633, si ha non soltanto una immediata vocazione, ma anche una contestuale delazione, sebbene questa, successivamente, possa rimanere travolta dal verificarsi della condizione risolutiva. A ciò consegue che per l'istituito è immediata, piena ed attuale l'attribuzione del diritto all'eredità, cosicché, durante la pendenza della condizione, non solo egli ha titolo per essere considerato erede reale e non apparente, ma è anche investito in modo esclusivo e pieno di tutti i diritti e i poteri relativi, in sostanza gode l'eredità come se la disposizione a suo favore fosse pura e semplice (Cass. n. 1637/1963). Gli atti di amministrazione compiuti dall'erede sotto condizione risolutiva sopravvivono, quantunque al suo verificarsi l'erede sotto tale condizione si debba considerare, dalla morte del de cuius, non più tale, come se non fosse stato mai erede, e, quindi, come non avesse mai avuto la proprietà dei beni ereditari. Ed allora, si considerano eredi e proprietari ex tunc coloro che subentrano al posto dell'erede condizionato e decaduto, il quale viene ad assumere sempre ex tunc, la veste di possessore, in buona o mala fede a seconda dei casi, e di semplice amministratore di quei beni (Cass. n. 1637/1963). Viceversa, quanto agli atti di disposizione, la retroattività della condizione spiega efficacia reale, per cui cadono nel nulla « gli atti di disposizione compiuti medio tempore sui beni ereditati dall'erede condizionato » (Cass. n. 1637/1963). I principi che precedono si trovano applicati con riguardo al caso della divisione ereditaria posta in essere con la partecipazione dell'erede poi risoluto (Cass. n. 3049/1984). Con riguardo alla tutela dei terzi, resta da dire che, ove il terzo acquirente di un bene mobile ne abbia conseguito il possesso in buona fede ed in base ad un titolo idoneo, l'acquisto è inattacabile, in applicazione del principio sancito dall'art. 1153. In tale frangente, perciò, l'erede al quale il patrimonio si è devoluto per effetto del verificarsi della condizione risolutiva ha diritto ad ottenere dal primo istituito soltanto il controvalore del bene alienato. Se si tratti di acquisti immobiliari, invece, il terzo non può mai essere considerato in buona fede, tenuto conto del sistema di pubblicità della condizione apposta al testamento ex art. 2660, comma 2, n. 6. Ne consegue che, verificatasi la condizione, l'acquisto effettuato dal terzo rimane travolto, in ossequio alle regole generali sulla trascrizione. La retroattività della condizione risolutiva, in materia testamentaria come contrattuale, trova un limite nella restituzione dei frutti che, secondo l'art. 646, è dovuta solo dall'avveramento della condizione. Tale eccezione alla regola della retroattività è dettata da ragioni di equità (Giannattasio, 1961, 255). L'ammissibilità di una diversa volontà del testatore è riconosciuta dalla giurisprudenza (Cass. n. 128/1945). 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