Codice Civile art. 709 - Conto della gestione.

Mauro Di Marzio

Conto della gestione.

[I]. L'esecutore testamentario deve rendere il conto della sua gestione al termine della stessa, e anche spirato l'anno dalla morte del testatore, se la gestione si prolunga oltre l'anno [263, 266 c.p.c.; 109, 178 att. c.p.c.].

[II]. Egli è tenuto, in caso di colpa, al risarcimento dei danni verso gli eredi e verso i legatari [703 4].

[III]. Gli esecutori testamentari, quando sono più, rispondono solidalmente, per la gestione comune [1292 ss.; 22 n. 4 c.p.c.].

[IV]. Il testatore non può esonerare l'esecutore testamentario dall'obbligo di rendere il conto o dalla responsabilità della gestione.

Inquadramento

Il combinato disposto del primo e quarto comma della norma in commento stabilisce l'obbligo inderogabile dell'esecutore testamentario di rendere il conto della propria gestione, obbligo che grava esclusivamente sull'esecutore dotato dell'amministrazione della massa ereditaria, non essendovi altrimenti alcun conto da rendere.

Difatti, l'esecutore testamentario, anche se privo dell'amministrazione, può sostenere spese (ad esempio per apposizione dei sigilli e inventario) che sono destinate a gravare sull'eredità, ai sensi dell'art. 712. In mancanza dell'amministrazione, tuttavia, egli, non potendo ritrarre tali spese direttamente dall'eredità, dovrà anticiparle di tasca propria: ma, in questo caso, la presentazione del rendiconto non potrà che costituire un onere e non un obbligo strumentale al rimborso delle spese sostenute. L'obbligo di rendiconto, dunque, è imposto all'esecutore quale amministratore di un patrimonio altrui (contra Trimarchi, 403, Caramazza, 588, Vicari, 1342).

Il rendiconto va reso all'erede, ossia al titolare del patrimonio sul quale l'attività svolta dall'esecutore grava. In mancanza di eredi, il conto andrà reso al curatore dell'eredità giacente.

Il rendiconto deve essere presentato non soltanto al termine della gestione dell'esecutore, ma anche «spirato l'anno dalla morte del testatore». Sembra qui da ritenere, nonostante alcune voci dissenzienti, che, nel formulare la disposizione, il legislatore sia incorso in errore, non considerando che l'amministrazione dell'esecutore testamentario decorre non dalla morte del testatore, ma dall'accettazione dell'incarico, ex art. 703, comma 3.

Non sembra però ammissibile un'interpretazione correttiva, tale da discostarsi radicalmente dal dato letterale (interpretazione esclusa da Cass. n. 2455/1984), secondo cui l'esecutore è tenuto al rendiconto indipendentemente dal compimento dell'anno di effettiva gestione.

Di recente è stato affermato che l'esecutore testamentario è tenuto a rendere il conto della propria gestione ogni volta che quest'ultima cessi, ed anche laddove ciò si verifichi prima del decorso di un anno dalla morte del testatore (Cass. n. 10594/2019).

Ci si chiede in che cosa debba consistere il rendiconto, ovvero se esso possa risolversi in una mera contabilizzazione delle poste attive e passive dell'amministrazione dell'esecutore, ovvero debba tradursi in una relazione dell'attività svolta, la quale racchiuda anche la necessaria parte contabile. La S.C. ha stabilito che l'obbligo di rendere il conto in tanto può ritenersi adempiuto in quanto colui che vi è tenuto siasi dato carico di fornire la prova non soltanto della qualità e quantità dei frutti percetti o delle somme incassate, nonché della entità e causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l'incarico è stato eseguito e di stabilire, anche in relazione ai fini da perseguire ed ai risultati raggiunti, se l'operato di chi rende il conto siasi adeguato a criteri di buona amministrazione (Cass. n. 1854/1959).

La responsabilità dell'esecutore testamentario

Il quarto comma dell'art. 703 stabilisce il parametro di diligenza che l'esecutore testamentario deve osservare, amministrando come un buon padre di famiglia. Il secondo comma della norma in commento introduce, in caso di colpa, il principio della responsabilità dell'esecutore per i danni cagionati agli eredi ed ai legatari. Pur nell'evidente collegamento tra l'una e l'altra norma, è tuttavia da ritenere che il principio della responsabilità dell'esecutore si applichi anche al caso dell'esecutore privo dell'amministrazione. Difatti, mentre l'obbligo di rendiconto previsto dall'art. 709, comma 1, è correlato alla gestione, la responsabilità dell'esecutore disegnata dall'art. 709, comma 2, prescinde dalla gestione e, perciò, si estende ad entrambe le figure di esecutore testamentario previste dalla legge (Talamanca in Comm. S. B.,1965, 532; Cuffaro in Tr. Res., 1997, 374). L'esecutore, quindi, risponde della mancata richiesta di apposizione dei sigilli ed erezione dell'inventario, della divisione ereditaria malamente effettuata, della partecipazione a giudizi in stato di malafede o colpa grave (Talamanca in Comm. S. B.,1965, 532).

La diligenza richiesta all'esecutore è quella in cui è tenuto il debitore nell'adempimento delle obbligazioni, ex art. 1176. La responsabilità che discende dalla violazione della norma non può essere esclusa dal testatore, ex art. 709, comma 4, e deve ritenersi non possa essere neppure mitigata. Anzi, secondo taluno potrebbe suggerirsi un metro più rigoroso di valutazione della diligenza dell'esecutore quando titolare dell'incarico sia un professionista, ex art. 1176, comma 2 (Bonilini 1991, 546).

Secondo alcuni, nel caso normale di gratuità dell'ufficio, la responsabilità dell'esecutore andrebbe considerata con minor rigore, in applicazione analogica degli artt. 1710 e 1768 (Natoli 1968, 353). Si è replicato che l'utilizzazione dell'analogia, pur in presenza della eadem ratio, è in questo caso interdetta dalla circostanza che il legislatore, attraverso il combinato disposto degli artt. 703, comma 4, e 709, comma 2, ha compiutamente regolato la materia, imponendo all'esecutore, normalmente non retribuito, l'osservanza del medesimo parametro di diligenza e di responsabilità posto a carico del debitore, sicché manca il requisito della absentia iuris per procedere ad interpretazione analogica (Talamanca, in Comm. S. B., 1965, 534).

Bibliografia

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