Codice Civile art. 737 - Soggetti tenuti alla collazione (1).Soggetti tenuti alla collazione (1). [I]. I figli e i loro discendenti (2) ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati [135 2 trans.]. [II]. La dispensa da collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile [556]. (1) Articolo così sostituito dall'art. 201 l. 19 maggio 1975, n. 151. (2) L'art. 87, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso le parole: «legittimi e naturali». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoLa collazione consiste nel conferimento all'asse ereditario di tutte le liberalità che i soggetti indicati dall'art. 737 abbiano ricevuto dal de cuius quando il medesimo era in vita. La ratio dell'istituto, secondo la dottrina, risiederebbe nel fatto che le donazioni fatte ai soggetti destinati a rivestire la qualifica di eredi costituirebbero un'anticipazione dell'eredità, sicché il computo di esse, ai fini della divisione del patrimonio ereditario, andrebbe a rimuovere la disparità di trattamento che le donazioni fatte in vita dal de cuius altrimenti potrebbero determinare tra i coeredi. L'obbligo della collazione sorge automaticamente e i beni donati in vita dal de cuius devono essere conferiti indipendentemente da una espressa richiesta, essendo sufficiente, a tal fine, la proposizione della domanda di accertamento della lesione della quota di legittima e di riduzione e la menzione in essa dell'esistenza di determinati beni facenti parte dell'asse ereditario da ricostruire (Cass. n. 8510/2018). La domanda di collazione non è, quindi, sottoposta ai termini di cui all'art. 167 c.p.c., a cui soggiace, tuttavia, la domanda di accertamento dell'esistenza di una donazione indiretta, che sia pregiudiziale e prodromica ad una domanda di collazione (Cass. n. 19833/2019). I soggetti tenuti alla collazione e i beni che ne costituiscono oggettoSono tenuti alla collazione i figli e i loro discendenti — non distinguendosi più tra legittimi e naturali a seguito della riforma operata con il d.lgs. n. 154/2013 — nonché il coniuge del de cuius, purché gli stessi concorrano alla successione e abbiano, quindi, accettato, espressamente o tacitamente, l'eredità. A seguito dell'entrata in vigore della l. n. 76/2016 di “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze“ le norme sulla collazione sono applicabili anche alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La collazione, inoltre, presuppone l'esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, sicché, se l'asse sia stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, venendo a mancare un «relictum» da dividere, non si fa luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l'esito dell'eventuale azione di riduzione (Cass. n. 15026/2013). Per le stesse ragioni l'istituto non trova applicazione quando la divisione sia effettuata dal testatore ex art. 734, evitando quest'ultima lo stesso insorgere della comunione ereditaria (Cass. n. 12830/2013). La collazione ha ad oggetto sia le donazioni dirette che quelle indirette (Cass. n. 24040/2020) e riguarda anche le donazioni modali, limitatamente, tuttavia, alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell'onere imposto dal donante (Cass. n. 5888/1985). Nell'ipotesi, invece, di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, si configura la donazione indiretta dell'immobile e non del denaro impiegato per l'acquisto, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell'art. 737, il conferimento deve avere ad oggetto l'immobile e non il denaro (Cass. n. 17604/2015). L'obbligo della collazione non riguarda i beni oggetto di trasferimento a titolo oneroso, anche se a favore del coerede, salvo che sia accertata e dichiarata la simulazione dell'atto, in accoglimento di apposita azione formulata dal coerede che chiede la divisione (Cass. n. 4021/2007). In tale ultima ipotesi, il dies a quo del termine di prescrizione dell'azione di simulazione varia in rapporto all'oggetto della domanda: se questa è proposta dall'erede quale legittimario, facendo valere il proprio diritto alla riduzione della donazione (che si asserisce dissimulata) lesiva della quota di riserva, il termine di prescrizione decorre dal momento dell'apertura della successione; mentre se l'azione sia esperita al solo scopo di acquisire il bene oggetto di donazione alla massa ereditaria per determinare le quote dei condividenti e senza addurre alcuna lesione di legittima, il termine di prescrizione decorre dal compimento dell'atto che si assume simulato, subentrando in tal caso l'erede, anche ai fini delle limitazioni probatorie ex art. 1417, nella medesima posizione del de cuius (Cass. n. 3932/2016). Quando, invece, una donazione soggetta a collazione sia contemporaneamente lesiva della legittima, la tutela offerta dall'azione di riduzione, vittoriosamente esperita contro il coerede donatario, non assorbe gli effetti della collazione, che opererà in questo caso consentendo al legittimario di concorrere pro quota sul valore della donazione ridotta che eventualmente sopravanzi l'ammontare della porzione indisponibile della massa (Cass. n. 28196/2020). L'obbligo di collazione incombe anche in capo a colui che subentri come erede all'originario coerede tenuto a collazione, e ciò anche ove non ricorrano i presupposti della rappresentazione o della trasmissione della delazione ( Cass. n. 9066/2023 ). La dispensaLa dispensa dalla collazione è un negozio giuridico mortis causa che può essere contenuto nella stessa donazione, nel testamento, ovvero in un autonomo atto negoziale successivo alla donazione che ne forma oggetto. La dispensa contenuta nella donazione, in particolare, si configura come una clausola accessoria al contratto che, come tale, non può essere eliminata dal contesto per atto unilaterale di volontà di uno solo dei contraenti. La natura contrattuale di tale clausola non contrasta col divieto dei patti successori, trattandosi di una mera modalità dell'attribuzione, destinata ad avere efficacia dopo la morte del donante, e non di un atto con cui questi dispone da vivo della propria successione (Cass. n. 14590/2003). Non implica, invece, dispensa dalla collazione la clausola con cui il donante stabilisca che l'attribuzione a titolo gratuito deve ritenersi compiuta in conto di legittima e, per l'eventuale eccedenza, in conto disponibile: una simile imputazione del donante non interferisce, difatti, nei rapporti tra coeredi, ma solo sul limite che la quota di legittima rappresenta per il potere di disposizione del de cuius (Cass. n. 3235/2000). Il donante, peraltro, ha solo il potere di dispensare il donatario dalla collazione, ma non può in alcun modo vincolare il donatario stesso, che sia tenuto alla collazione, a scegliere se conferire l'immobile in natura o attuare la collazione per imputazione (Cass. n. 5659/2015). ). La dispensa, inoltre, pur esonerando il donatario dal conferimento, non importa l'esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile (Cass. n. 14193/2022). La dispensa, in ogni caso, non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile. BibliografiaAlbanese, Della collazione. Del pagamento dei debiti, Milano, 2009, 1 ss.; Andreoli, Contributo alla teoria della collazione delle donazioni, Milano, 1942, 152; Carnevali, Collazione, in Dig. Civ., Torino, 1988, 472 ss. |