Codice Civile art. 768 bis - Nozione (1).Nozione (1). [I]. È patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti. (1) L'art. 2 l. 14 febbraio 2006, n. 55, in tema di patto di famiglia, ha inserito il Capo V-bis e, di conseguenza, questo articolo. InquadramentoLa figura del patto di famiglia è stata introdotta all'interno codice civile dalla l. n. 55/2006, che ha inserito sette nuovi articoli (da art. 768-bis a 768-octies) dopo l'art. 768. La ratio della disciplina è quella di consentire all'imprenditore il passaggio generazionale dell'impresa o di talune partecipazioni societarie, attraverso il trasferimento in vita a uno o più discendenti, con preclusione di successive contestazioni in sede ereditaria. A seguito dell'entrata in vigore della l. n. 76/2016 (di “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”) le disposizioni di cui agli artt. 768-bis ss. sono applicabili anche alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La nozione di patto di famigliaIl patto di famiglia è definito come il contratto con cui l'imprenditore o il titolare di partecipazioni societarie trasferisce in tutto o in parte l'azienda o le proprie quote societarie in favore di uno o più discendenti. Trattasi di negozio a forma solenne (come ricavabile dal successivo art. 768-ter) e a struttura soggettiva complessa, poiché ad esso devono necessariamente partecipare, oltre all'imprenditore che dispone della propria azienda o delle proprie partecipazioni sociali e ai discendenti assegnatari, anche i legittimari esistenti al momento della stipulazione (art. 768-quater). Solo ove al momento della stipulazione non sussistano altri legittimari, alla stipulazione interverranno unicamente l'alienante ed il discendente assegnatario (secondo alcuni autori in dottrina, peraltro, l'ipotesi indicata esulerebbe dallo schema del patto di famiglia: Delle Monache, 895). Oggetto del contratto, invece, come detto, può essere il trasferimento, totale o parziale, dell'azienda ovvero di partecipazioni sociali. Con riferimento a tale ultima nozione, in particolare, è controverso in dottrina se lo strumento negoziale in questione possa venire utilizzato con riferimento a qualsiasi tipo di partecipazione sociale (anche se relativa a società di capitali), ed a prescindere dall'entità della partecipazione detenuta dall'imprenditore disponente, oppure se lo stesso possa venire in rilievo soltanto con riferimento a partecipazioni che sottendano una posizione di controllo, o, comunque di gestione, in capo all'alienante. Si ritiene, in ogni caso, che presupposto indefettibile per l'applicazione del nuovo istituto sia l'esercizio di una vera e propria attività d'impresa da parte della società le cui partecipazioni vengano cedute, con esclusione, quindi, della possibilità di applicare la nuova figura al caso delle così dette società di mero godimento (Tassinari, 816). Si ritiene, altresì, che ai fini della sussistenza del patto di famiglia, il trasferimento del complesso produttivo debba avvenire a titolo gratuito, come lasciano intendere il meccanismo di liquidazione previsto per i partecipanti non assegnatari e la dispensa espressa dalla collazione e dalla eventuale riduzione, quali istituti che postulano, appunto, la gratuità del trasferimento. Più controversa la qualificazione giuridica dell'istituto. Secondo alcuni autori, infatti, il patto di famiglia integrerebbe una donazione modale, in considerazione dell'obbligo imposto all'assegnatario di liquidare gli altri partecipanti al patto. Secondo altri si tratterebbe di una liberalità diretta non donativa. Altri ancora valorizzano, anche sulla base della collocazione sistematica delle nuove norme, la funzione essenzialmente divisoria dell'atto, destinato a realizzare tanto il trasferimento del complesso produttivo in favore di taluni discendenti, quanto l'effetto legale della liquidazione in denaro (o, in natura) della quota di pertinenza dei legittimari non assegnatari. Secondo la giurisprudenza di merito il patto di famiglia ex art. 768-bis è atto di disposizione revocabile, come tutti gli altri atti di disposizione posti in essere dal debitore, in presenza dei requisiti di cui all'art. 2901 (Trib. Torino 20 febbraio 2015). BibliografiaOberto, Il patto di famiglia, Padova, 2006, 1 e ss.; Delle Monache, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patti di famiglia, in Riv. not. 2006; La Porta, Il patto di famiglia, Torino, 2007, 1 e ss.; Tassinari, Il patto di famiglia per l'impresa e la tutela dei legittimari, in Giur. comm. 2006, 816; Tomaselli, Il patto di famiglia. Quale strumento per la gestione del rapporto famiglia-impresa, Milano, 2006. |