Codice Civile art. 770 - Donazione rimuneratoria.Donazione rimuneratoria. [I]. È donazione [769] anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione [437, 797 n. 3, 805]. [II]. Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi [80, 742 3, 809] (1). InquadramentoLa donazione è definita rimuneratoria quando è fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione. Essa, pertanto, consiste in un'attribuzione gratuita, compiuta spontaneamente e nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico, morale, sociale, volta a compensare i servizi resi dal donatario (Cass. n. 10262/2016). La donazione rimuneratoria è contratto che soggiace alle condizioni di forma previste dall'art. 782. Tale figura di donazione si caratterizza, quindi, per la rilevanza giuridica che assume in essa il motivo dell'attribuzione patrimoniale, correlata specificamente ad un precedente comportamento del donatario nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti o comunque come una speciale remunerazione di attività svolta (Cass. n. 12769/1999). Anche in presenza di donazione rimuneratoria l'atto conserva la causa di liberalità, mentre il fine rimuneratorio attiene al motivo che abbia ispirato il donante all'attribuzione. Gli elementi costitutivi del contratto di donazioneLa donazione rimuneratoria, al di là del particolare fine che la caratterizza, è una donazione a tutti gli effetti, come tale assoggettata alla disciplina del titolo V del libro II del codice civile, nonché alla disciplina della reintegrazione di quanto spetta ai legittimari e, di conseguenza, all'azione di riduzione (Cass. n. 41480/2021; Cass. n. 20387/2008). Ciò comporta, tra l'altro, che per la validità della donazione rimuneratoria occorre la forma dell'atto pubblico di cui all'art. 782 (Cass. n. 14981/2002). La donazione rimuneratoria si differenzia dal c.d. negotium mixtum cum donazione (considerata ipotesi di donazione indiretta) in quanto in quest'ultimo sullo scopo di liberalità prevale lo scopo oneroso, sicché per la sua validità è sufficiente la forma richiesta per il negozio tipico a cui lo scopo oneroso corrisponde; nella donazione remuneratoria, invece, il donante persegue, oltre allo scopo di liberalità, anche lo scopo del riconoscimento di particolari meriti del beneficiario, sicché la forma richiesta, come detto, è quella dell'atto pubblico (Cass. n. 3499/1999). Problematica appare anche la distinzione tra donazione rimuneratoria e adempimento di un' obbligazione naturale; distinzione che va individuata ancora una volta nella sfera dei motivi che animano il donante: affinché, infatti, si possa parlare di donazione remuneratoria, che come detto necessita la forma dell'atto pubblico, occorre che l'attribuzione patrimoniale venga effettuata come segno tangibile di speciale apprezzamento dei servizi in precedenza ricevuti dal donante, che ad essa non venga data funzione o carattere di corrispettivo e che il donante si induca ad essa spontaneamente, pur sapendo di non esservi tenuto né per legge, né in osservanza di un dovere nascente dalle comuni norme morali o sociali (Cass. n. 2421/1974), ricorrendo altrimenti, in tale ultima ipotesi, l'adempimento di un'obbligazione naturale, soggetto alla disciplina di cui all'art. 2034. Le liberalità di usoNon costituiscono donazione rimuneratoria, ai sensi del secondo comma dell'art. 770, le liberalità di uso, vale a dire le attribuzioni a titolo gratuito, di carattere reale o obbligatorio, fatte con l'intento di conformarsi ad un uso sociale o familiare. Nella donazione rimuneratoria, quindi, deve esservi la piena consapevolezza di non dover adempiere ad alcun obbligo giuridico, morale o sociale nel compiere l'attribuzione patrimoniale, mentre la liberalità di uso viene fatta nel rispetto di un uso che consiglia di compierla in relazione ad un determinato servizio ricevuto (ad esempio, le mance al ristorante o i regali fatti dai clienti ai professionisti). Si ritiene necessaria, comunque, ai fini del ricorrere di una liberalità di uso, una certa proporzionalità tra l'attribuzione fatta e la prestazione ricevuta. Secondo la giurisprudenza di legittimità la liberalità d'uso prevista dall'art. 770, comma 2, che non costituisce donazione in senso stretto e non è soggetta alla forma propria di questa, trova fondamento negli usi invalsi a seguito dell'osservanza di un certo comportamento nel tempo, di regola in occasione di festività, ricorrenze, ricorrenze celebrative nelle quali sono comuni le elargizioni, tenuto in particolare conto dei legami esistenti tra le parti, il cui vaglio, sotto il profilo della proporzionalità, va operato anche in base alla loro posizione sociale ed alle condizioni economiche dell'autore dell'atto (Cass., n. 18280/2016; Cass. n. 15334/2018). La qualificazione giuridica di un'elargizione come liberalità effettuata in conformità agli usi ex art. 770, comma 2, deve quindi risultare non solo dal rapporto con la potenzialità economica del donante, ma anche in relazione alle condizioni sociali in cui si svolge la sua vita di relazione, oltre che dal concreto accertamento dell'animus solvendi consistente nell'equivalenza economica tra servizi resi e liberalità ed, infine, dall'effettiva corrispondenza agli usi, intesi come costumi sociali e familiari (Cass. n. 16550/2008). Non assume, invece, valore dirimente ai fini del ricorrere di una liberalità di uso, il solo valore dell'oggetto donato, in quanto anche in presenza di un oggetto di valore rilevante può aversi ugualmente liberalità di uso purché ricorrano elementi, quali le condizioni economiche del donante o altre circostanze peculiari dell'elargizione, tali da escludere l'animus donandi (Cass. n. 19636/2014). BibliografiaAzzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, 853 ss.; Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2015, 1505 ss. |