Codice Civile art. 845 - Regole particolari per scopi di pubblico interesse.Regole particolari per scopi di pubblico interesse. [I]. La proprietà fondiaria è soggetta a regole particolari per il conseguimento di scopi di pubblico interesse nei casi previsti dalle leggi speciali e dalle disposizioni contenute nelle sezioni seguenti. InquadramentoGli artt. da 840 a 845 dettano le disposizioni generali in tema di proprietà, quanto: alla sua estensione ed ai conseguenti limiti dell'interesse del proprietario del suolo ad escludere l'attività di terzi (art. 840); alle facoltà di protezione del fondo (art. 841); al contemperamento fra la proprietà stessa e l'esplicazione del diritto pubblico all'esercizio della caccia e della pesca (art. 842); alla limitazione legale del diritto del titolare del fondo funzionale al diritto di accesso e di passaggio del vicino necessari per la riparazione della sua proprietà esclusiva (art. 843); al contemperamento tra le immissioni, le esalazioni e i rumori i derivanti dall'uso delle proprietà e gli obblighi di sopportazione dei vicini (art. 844); agli scopi di pubblico interesse che giustificano l'adozione di regole particolari (art. 845). L'espansione orizzontale della proprietà: sottosuolo e spazio sovrastanteA norma dell'art. 840, la proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo sovrastante, salvo che in senso contrario disponga il titolo di acquisto di questo oppure che detta proprietà risulti spettare ad altri in base ad un titolo opponibile al proprietario del suolo, ossia per un negozio antecedentemente trascritto o per un fatto di acquisto originario; tale fatto non può consistere nella mera situazione dei luoghi, come la esclusiva possibilità di accesso al sottosuolo dal fondo altrui (Cass. II, n. 779/2020). L'interesse che segna, invece, il limite all'espansione del diritto di proprietà sullo spazio sovrastante deve essere valutato secondo la concreta possibilità di utilizzazione dello spazio come ambito di esplicazione effettiva o virtuale di un potere legittimo sulla sovrastante superficie, compatibile con le caratteristiche e la normale destinazione del suolo, con riferimento, pertanto, non soltanto alla situazione in atto del fondo, ma anche alle sue possibili destinazioni future, sia pure in concreto non individuate. Ne consegue che parametro di riferimento per l'individuazione dell'interesse del proprietario del suolo non è il criterio riduttivo dell'attuale destinazione dell'immobile ma lo stesso oggetto del diritto di proprietà che comporta la facoltà del proprietario di trarre dalla cosa tutti i vantaggi possibili purché senza danno per i terzi ed in base a criteri di normalità (Cass. II, n. 17207/2011). Spetta al proprietario, che si opponga ad attività di terzi, dimostrare che le stesse, sebbene svolte a profondità od altezza notevoli, gli arrecano un pregiudizio, da intendere non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo alle caratteristiche ed alla normale destinazione, eventualmente anche futura, del fondo (Cass. II, n. 4664/2018). Si è ribadito in giurisprudenza, che lo spazio sovrastante il suolo o una costruzione non costituisce un bene giuridico suscettibile di autonomo diritto di proprietà, ma configura la mera proiezione verso l'alto delle suddette entità immobiliari e, formalmente, la possibilità di svolgimento delle facoltà inerenti al diritto dominicale sulle medesime; con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 952, il diritto reale su tale spazio, separato dalla proprietà dell'immobile sottostante, non è qualificabile come proprietà ma come diritto di superficie insistente sulla proprietà altrui, e perciò, al pari di ogni altro «ius in re aliena», va soggetto ad estinzione per effetto del non uso protrattosi per il tempo stabilito dalla legge (art. 954). Non è infatti concepibile un trasferimento della proprietà dello strato d'aria avulso dall'edificio o dal suolo sottostante. Per converso, l'art. 840 tutela la proprietà del suolo come estesa al sottosuolo ed allo spazio sovrastante, ed è certamente consentita l'eventualità di frazionare orizzontalmente la proprietà, suddividendola per strati o piani esistenti al di sotto o al di sopra del suolo, in maniera da attribuire a ciascuna frazione della cosa materiale, originariamente unica, dignità di autonomo bene giuridico (Cass. II, n. 25965/2015). Scavi e danni a terziIl proprietario di un fondo che faccia eseguire in questo escavazioni o opere risponde direttamente in quanto proprietario, a mente dell'art. 840, comma 1, dei danni causati ai vicini dai lavori da lui intrapresi, anche se abbia commesso gli stessi in appalto, giacché la colpa dell'appaltatore dà luogo ad una responsabilità dello stesso appaltatore verso i terzi, che si aggiunge, ma non elimina o diminuisce quella del proprietario (Cass. III, n. 5723/2008; tuttavia, ad avviso di Cass. III, n. 6296/2013, nonché di Cass. II, n. 7027/2021, la responsabilità del proprietario di un fondo per i danni derivanti da attività di escavazione, ex art. 840, non opera in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, sicché, nell'ipotesi in cui i lavori di escavazione siano affidati in appalto, è l'appaltatore ad essere di regola l'esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nell'esecuzione dell'opera, salvo che non risulti accertato che il proprietario committente aveva — in forza del contratto di appalto — la possibilità di impartire prescrizioni o di intervenire per richiedere il rispetto delle normative di sicurezza e che se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro). Sottosuolo e edifici in condominioQuando può ritenersi costituito il condominio, opera la regola attributiva dell'art. 1117, abbracciante pure “il suolo su cui sorge l'edificio”, che è, appunto, quello occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali. Poiché, peraltro, l'edificio condominiale comprende l'intero manufatto, dalle fondamenta al tetto, esso abbraccia, quindi, altresì i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse ed il suolo su cui sorge l'edificio: oggetto di proprietà comune, agli effetti dell'art. 1117, è non la superficie a livello del piano di campagna, bensì tutta quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l'intero fabbricato e dunque immediatamente pure la parte sottostante di esso. Il criterio estensivo della proprietà del suolo al sottosuolo, fissato dall'art. 840, è perciò inapplicabile in materia di condominio, con riferimento al quale il suolo su cui sorge l'edificio, di proprietà comune ex art. 1117, si identifica con la porzione di terreno su cui poggia l'intero edificio, cioè con la parte inferiore della costruzione posta al di sotto del piano cantinato più basso. Pertanto, nessun condomino può, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, procedere all'escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, verrebbe a ledere il diritto di proprietà degli altri partecipanti su una parte comune dell'edificio, privandoli dell'uso e del godimento ad essa pertinenti (Cass. II, n. 15383/2011; Cass. II, n. 4965/2010). Quanto, poi, allo spazio aereo sovrastante ai cortili condominiali, esso neppure può essere occupato dai singoli condomini con costruzioni proprie in aggetto, non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi dell'art. 840, comma 3, l'utilizzazione, ancorché parziale, a proprio vantaggio della colonna d'aria sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa (Cass. II, n. 5551/2016). Chiusura del fondoL'esercizio da parte del proprietario, della facoltà di chiudere il proprio fondo, ex art. 841, ha la finalità di proteggerlo non già di individuarlo, giacché l'individuazione di un fondo è data soltanto dai suoi confini, che ne determinano l'estensione anche quando la linea di demarcazione con il fondo limitrofo non sia messa in particolare risalto da. Nel caso in cui il proprietario di un fondo proceda alla recinzione dello stesso, non solo la rete, con cui vi provvede, ma anche il muro, che ne costituisce la base di appoggio, deve essere mantenuto entro i confini del fondo recintato per evitare lo sconfinamento nel fondo contiguo per una superficie anche minima con la conseguente lesione del diritto di proprietà del confinante (Cass. II, n. 6365/1993). L'esercizio, da parte del proprietario, della facoltà riconosciutagli dall'art. 841 di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo deve essere esercitato in modo tale che l'esercizio dell'eventuale servitù di passaggio su di esso non venga impedito né reso scomodo. Il conflitto tra il proprietario del fondo servente, che intenda avvalersi della facoltà di chiusura del fondo, e il titolare della servitù di passaggio rimane, quindi, regolato dall'art. 1064, comma 2, nel senso di garantire a quest'ultimo il libero e comodo esercizio della servitù, in base ad un bilanciamento che tenga conto del contenuto specifico del diritto reale di godimento, delle precedenti modalità del suo esercizio, dello stato e della configurazione dei luoghi (Cass. II, n. 21129/2012). La chiusura del fondo realizzata dal proprietario dello stesso mediante l'apposizione di un cancello, in quanto atto di esercizio della facoltà a lui espressamente riconosciuta dall'art. 841, non può mai rivestire gli estremi né dello spoglio né della molestia in danno del possessore, ove a questo sia comunque consentito l'ingresso ed il transito attraverso il cancello in questione (Cass. II, n. 3003/1982; Cass. II, n. 12949/2000; Cass. II, n. 8394/2000). Esercizio della caccia e della pescaIl proprietario di un fondo non può, a norma dell'art 842, impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, salvo che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno, in quanto la caccia non può normalmente esercitarsi se non attraversando i fondi per ricercarvi la selvaggina. L'esercizio della caccia, se conferisce al cacciatore, entro certi limiti, le facoltà previste dalla legge (introduzione nei fondi altrui anche con cani e con strumenti venatori, occupazione temporanea di essi mediante appostamenti e rifugi), esige tuttavia dallo stesso, non soltanto l'osservanza di determinati doveri di astensione, richiesti a tutela dell'altrui diritto di proprietà (divieto di occupazione duratura dei terreni, divieto di notevole manomissione delle piante, divieto di caccia vagante nei terreni in attualità di culture), ma altresì l'uso di una particolare cautela ed avvedutezza circa il modo con cui l'esercizio stesso viene effettuato, anche a garanzia dell'incolumità personale. Identica limitazione della proprietà non va estesa anche al fine dell'esercizio della pesca su acque pubbliche, dato che l'accesso ai corsi d'acqua e già sufficientemente agevolato dal particolare regime giuridico delle sponde e degli argini, ed essendo, pertanto, del tutto eccezionale l'ipotesi che non sia possibile raggiungere il luogo di pesca se non attraversando i fondi rivieraschi. Diritto di accesso al fondoA norma dell'art. 843, il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare il muro o altra opera propria del vicino o comune, indipendentemente dall'accertamento del giudice, la cui eventuale pronuncia ha carattere meramente dichiarativo; ove, però, nel relativo giudizio insorgano contestazioni, il giudice è tenuto a verificare l'esistenza dei presupposti che legittimano il vicino ad esercitare tale potere di accesso ovvero la liceità dell'opera (Cass. II, n. 32100/2021; Cass. II, n. 18555/2021; Cass. II, n. 7768/2011). L'obbligo, gravante sul proprietario del fondo, di consentire l'accesso ed il passaggio nella sua proprietà, ex art. 843, non trova la sua fonte in un diritto di servitù a favore del fondo finitimo, integrando, per converso, gli estremi di una obligatio propter rem che si risolve in una limitazione legale del diritto del titolare del fondo, funzionale al soddisfacimento di una utilità occasionale e transeunte del vicino e consistente nel dovere di consentire l'accesso o la momentanea occupazione degli spazi necessari al compimento delle operazioni di manutenzione e rifacimento dei muri perimetrali dell'edificio finitimo tutte le volte in cui l'impedimento dell'accesso stesso renderebbe impossibile il compimento delle necessarie riparazioni (Cass. VI, n. 16776/2019 ; Cass. II, n. 5012/2018). Non corrispondendo la facoltà di accedere nel fondo del vicino ad un diritto di servitù, bensì al contenuto di un obbligazione «propter rem», essa è insuscettibile di possesso e, quindi, nel caso di diniego del consenso dell'obbligato non è esperibile nessuna tutela possessoria (Cass. II, n. 16462/2002). Viceversa, l'accesso compiuto nonostante l'opposizione del proprietario del fondo si configura come un tipico attentato al possesso, tutelabile mediante l'azione possessoria di reintegrazione (Cass. II, n. 1578/1987). La valutazione comparativa dei contrapposti interessi delle parti deve essere compiuta con riferimento alla necessità non della costruzione o manutenzione, ma dell'ingresso e del transito, nel senso che l'utilizzazione del fondo del vicino non è consentita ove sia comunque possibile eseguire i lavori sul fondo stesso di chi intende intraprenderli, oppure su quello di un terzo, con minore suo sacrificio (Cass. II, n. 28234/2008). Ai fini del riconoscimento della necessità ex art. 843, occorre che il giudice proceda ad una complessa valutazione della situazione dei luoghi, al fine di accertare se la soluzione prescelta (accesso e passaggio per un determinato fondo altrui) sia l'unica possibile o, tra più soluzioni, sia quella che consente il raggiungimento dello scopo (riparazione o costruzione) con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio, sia del proprietario del fondo che deve subirlo (Cass. II, n. 1801/2007). L'art. 843, comma 1, è applicabile anche al condominio di un edificio, sicché il proprietario di un appartamento può esercitare il diritto di accedere o di passare negli appartamenti dei vicini (o nelle cose comuni) solo se ciò sia necessario al fine di realizzare o di riparare un bene o un'opera che sia di sua esclusiva proprietà ovvero comune Cass. II, n. 20555/2021). L'accesso al fondo del vicino consentito dall'art. 843 permette implicitamente che l'accesso sia accompagnato dal deposito di cose, necessariamente strumentale alla costruzione; con la conseguenza che, a necessità terminata, deve essere eliminata, a cura e spese del depositante — cui fa carico l'obbligo del ripristino — ogni conseguenza implicante una perdurante diminuzione del diritto del proprietario del fondo vicino. All'obbligazione propter rem del proprietario del fondo occupato corrisponde l'obbligo per il vicino di versare un'adeguata indennità, da liquidare in via equitativa ed anche in assenza di prova del danno, fermo restando l'obbligo per il medesimo di ripristinare come detto, lo stato dei luoghi ad opera finita (Cass. II, n. 1908/2009). L'indennità riconosciuta al proprietario del fondo, sul quale venga eseguito l'accesso ed il passaggio, delinea un'ipotesi di responsabilità da atto lecito che, sebbene prescinda dall'accertamento della colpa, esige tuttavia che il transito e l'accesso abbiano determinato un concreto pregiudizio al fondo interessato, fermo in ogni caso l'obbligo di ripristinare la situazione dei luoghi (Cass. II, n. 20540/2020). Esulano dalla disciplina dettata dall'art. 843, che riguarda il pagamento di un'indennità conseguente ai danni provocati dall'accesso al fondo, i danni che siano stati provocati dalla struttura delle opere eseguite e riconosciute necessarie per assicurare la stabilità al muro. L'accesso al fondo altrui, al fine di eseguire la costruzione o la riparazione, può ben essere disciplinato, in base al principio della libera autonomia contrattuale, da apposita convenzione conclusa tra i proprietari interessati, sia per quanto attiene alle modalità di svolgimento e alla durata del passaggio, e alla eventuale occupazione del fondo, sia per quanto riguarda il pagamento di una indennità, intesa come preventiva liquidazione del danno che potrebbe derivare al proprietario del fondo dal passaggio e dal protrarsi della occupazione (Cass. II, n. 3222/1982). L'art. 843, al comma 3, prevede l'ulteriore ipotesi del proprietario che parimenti deve permettere il passaggio a chi voglia riprendere la cosa o l'animale propri andati accidentalmente a finire nel fondo del primo. Entrambe le ipotesi si ricollegano ai limiti della proprietà, limiti che la proprietà e il relativo titolare devono sopportare per la coesistenza delle proprietà e dei diritti altrui, specie in relazione ai rapporti di vicinato. ImmissioniL'art. 844 impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l'obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell'ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Al di fuori di tali limiti, si è in presenza di un'attività illegittima, in ordine alla quale non trova ragione di applicazione il criterio della priorità dell'uso, con la conseguenza che l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi rende l'azione inquadrabile nello schema generale di cui all'art. 2043 (Cass. II, n. 21554/2018; Cass. n. 21504/2018). Il criterio del preuso, cui fa riferimento il comma 2 dell'art. 844, ha, infatti, carattere sussidiario e facoltativo, sicché il giudice, nella valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, non è tenuto a farvi ricorso quando, in base agli opportuni accertamenti di fatto, e secondo il suo apprezzamento, incensurabile se adeguatamente motivato, ritenga superata la soglia di tollerabilità (Cass. II, n. 9865/2005). Né ha rilievo, al fine di escludere l'illegittimità delle immissioni comunque eccedenti la normale tollerabilità, ai sensi dell'art. 844, la circostanza che l'impianto che le produca sia a norma e sia mantenuto a regola d'arte (Cass. II, n. 23283/2014). L'art. 844 contiene un elenco esemplificativo delle immissioni suscettibili di divieto, posto che, in esso, dopo la espressa menzione di alcune di tali immissioni, seguono le parole “e simili propagazioni”; tuttavia il carattere eccezionale dei limiti posti all'estrinsecazione del diritto di proprietà fa sì che la tassatività sussista nel genus. Pertanto, considerando sia le caratteristiche delle immissioni espressamente menzionate, sia la necessità che si tratti di “propagazioni”, sia, infine, la ratio della norma, il suo dettato è passibile di applicazione, per interpretazione estensiva, a ipotesi che presentino i requisiti: della materialità dell'immissione, e cioè necessità che essa cada sotto i sensi dell'uomo ovvero influisca oggettivamente sul suo organismo (ad es.: radiazioni nocive) o su apparecchiature (ad es.: correnti elettriche ed onde elettromagnetiche); del carattere indiretto o mediato dell'immissione, nel senso che essa non consista in un facere in alienum, ma costituisca ripercussione di fatti compiuti direttamente o indirettamente dall'uomo, nel fondo da cui si propaga; dell'attualità di una situazione di intollerabilità, non semplice pericolo di essa, derivante da una continuità, o almeno periodicità, anche se non ad intervalli regolari, dell'immissione (Cass. II, n. 1404/1979). Si è chiarito che la tutela prevista dall'art. 844 concerne anche gli immobili accatastati come fondi rustici, in quanto anche un fabbricato rurale può essere adibito ad uso abitativo di chi coltiva il fondo e, pur se destinato esclusivamente a lavorazioni agrarie, resta imprescindibile l'esigenza di tutela delle persone che in esso svolgono le suddette attività (Cass. II, n. 16074/2016); né fa venir meno la tutela exart. 844 la mancanza della certificazione di abitabilità del bene interessato da immissioni intollerabili (Cass. II, n. 11677/2018). L'azione per l'eliminazione delle immissioni intollerabili, attesa la sua natura reale, è imprescrittibile. Il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile dà luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo), sicché la valutazione ex art. 844, diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio e, dall'altro, alla situazione locale. Spetta al giudice del merito accertare in concreto gli accorgimenti idonei a ricondurre tali immissioni nell'ambito della normale tollerabilità (Cass. II, n. 17051/2011). I mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità ex art. 844 implicano accertamenti di natura tecnica che, di regola, vengono compiuti mediante apposita consulenza d'ufficio con funzione "percipiente", in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, l'intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, potendosi in tale materia ricorrere alla prova testimoniale soltanto quando essa verta su fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti e non si riveli espressione di giudizi valutativi (Cass. II, n. 1606/2017) Al giudizio di tollerabilità delle immissioni, secondo i criteri all'uopo indicati dall'art. 844,è estraneo il criterio della colpa (Cass. II, n. 14353/2000). La valutazione imposta al giudice ex art. 844, risponde — nel contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà — alla tutela di preminenti diritti di rilievo costituzionale, come quello alla salute ed alla qualità della vita (Cass. III, n. 20927/2015; Cass. II, n. 5564/2010). Il diritto fondamentale alla salute è, invero, da considerarsi valore comunque prevalente rispetto a qualsiasi esigenza della produzione (Cass. I, n. 14180/2016, in tema di immissioni acustiche provenienti da circolazione stradale). Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia nella quale il privato, deducendo l'omessa adozione da parte della P.A. degli opportuni provvedimenti a tutela del diritto alla salute, domandi nei confronti della stessa il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a immissioni intollerabili (Cass. S.U., n. 23436/2022). Nella particolare materia delle immissioni acustiche, esistono due livelli di tutela, uno costituito dal regime amministrativo destinato alla P.A. in relazione alla quiete pubblica e l'altro che attiene ai rapporti tra privati, regolati dagli artt. 844 e 2043 (Cass. III, n. 20927/2015). In particolare, il d.P.C.M. 1 marzo 1991, nel determinare le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti di tollerabilità in materia di immissioni rumorose, al pari dei regolamenti comunali limitativi dell'attività rumorosa, fissa, quale misura da non superare per le zone non industriali, una differenza rispetto al rumore ambientale pari a 3 db in periodo notturno e in 5 db in periodo diurno. Più in generale, nei rapporti tra privati, l'osservanza delle normative tecniche speciali in tema di tollerabilità non è dirimente nell'escludere l'intollerabilità delle immissioni (Cass. III, n. 8474/2015); sicché la singola fattispecie deve essere vagliata secondo l'art. 844, nel senso che, se è certamente illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell'interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità, la violazione della soglia codicistica di tollerabilità delle immissioni può essere riscontrata pur nell'accertato rispetto dei limiti imposti dalla normativa tecnica (Cass. III, n. 15233/2014; Cass. VI n. 1069/2017; Cass. II, n. 23754/2018 ). È peraltro da ricordare l'art. 6- ter, d.l. n. 208/2008, inserito dalla l. di conv. n. 13/2009, secondo il quale nell'accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell'art. 844, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso. La norma, applicabile anche con riguardo a fattispecie antecedenti alla sua entrata in vigore, avendo portata di interpretazione autentica, per esigenze di coerenza costituzionale non va spiegata come necessariamente derogatoria del principio di accertamento in concreto della normale tollerabilità da parte del giudice, tenuto anche che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato (Cass. III, n. 20927/2015; Corte Cost., n. 103/2011), Occorre infine segnalare come l'art. 1, comma 746, l. n. 145/2018, ha aggiunto all'art. 6-ter d.l. n. 208/2008, il comma 1-bis, secondo cui, «ai fini dell'attuazione del comma 1, si applicano i criteri di accettabilità del livello di rumore di cui alla l. n. 447/1995, e alle relative norme di attuazione». Le due azioni in materia di immissioni, ex artt. 844 e 2043, hanno diverso ambito operativo, atteso che la prima norma impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l'obbligo di sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall'uso della proprietà attuato nel contesto delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Ove risultino superati tali limiti, si è in presenza di un'attività illegittima, di fronte alla quale non ha ragion d'essere l'imposizione di un sacrificio all'altrui diritto di proprietà o di godimento e non sono quindi applicabili i criteri da tale norma dettati ma, venendo in considerazione in detta ipotesi unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'art. 2043, che può essere proposta anche cumulativamente con l'azione ex art. 844 (Cass. III, n. 11915/2002). Di conseguenza, la domanda di indennizzo per il diminuito valore del fondo a causa delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità è del tutto diversa da quella di risarcimento dei danni derivanti dalle stesse immissioni: la prima, fondata sull'art. 844, ha natura reale e mira al conseguimento di un indennizzo da attività lecita, che compensi il pregiudizio subito dal fondo a causa delle immissioni (stante la valutazione di preminenza dell'interesse collettivo alla prosecuzione dell'attività immissiva, preferita dal giudice all'adozione di misure inibitorie della stessa); la seconda, fondata sull'art. 2043, ha natura personale, essendo volta a risarcire il proprietario del fondo vicino dei danni arrecatigli dalle immissioni, sotto tale profilo considerato come fatto illecito (Cass. II, n. 26882/2019 ; Cass. II, n. 7545/2000). Il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 Cedu, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi a seguito della cd. «comunitarizzazione» della Cedu (Cass. S.U., n. 2611/2017; Cass. II, n. 10861/2018; Cass. II, n. 28742/2018; Cass. VI, n. 19434/2019). L'accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può determinare, peraltro, una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza (Cass. III, n. 26899/2014; Cass. VI-3, 11930/2022). Sebbene l'art. 844 si riferisca soltanto al proprietario, la norma viene interpretata estensivamente, nel senso di legittimare all'azione anche il superficiario, l'enfiteuta, il titolare di usufrutto, di uso o di abitazione e il titolare di un diritto personale di godimento sul fondo, come il conduttore ovvero il promissario di vendita immobiliare che abbia ricevuto la consegna del bene in anticipo rispetto alla conclusione del contratto definitivo (Cass. II, n. 12133/1992). Allorché più condomini agiscono nello stesso processo verso altro condomino o verso un terzo per la cessazione delle immissioni a tutela della rispettiva unità immobiliare di proprietà esclusiva, si determina una ipotesi di litisconsorzio facoltativo in cause scindibili (Cass. II, n. 31827/2022).Quanto alla legittimazione passiva, l'azione ex art. 844 può essere esperita anche nei confronti dell'autore materiale delle immissioni, che non sia proprietario dell'immobile da cui derivano e, quindi, anche nei confronti del conduttore, quando allo stesso debba essere imposto un facere o un non facere, suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego, o quanto l'attore chieda semplicemente la cessazione delle immissioni. L'azione va — invece — proposta nei confronti del proprietario se mira al conseguimento di un effetto reale, come avviene quando è volta a far accertare in via definitiva l'illegittimità delle immissioni o ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare (Cass. III, n. 8999/2005; Cass. II, n. 13881/2010; Cass. II, n. 15871/2006; Cass. VI, n. 4908/2018). BibliografiaMusolino, Lo spazio aereo ed il diritto di sopraelevazione fra proprietà e diritto di superficie, in Riv. not., 2005, 239 ss.; Gambaro, Il diritto di proprietà, in Tr. C.M., VIII, t. 2, Milano, 1995, 239 ss.; De Santis, Quousque tandem, Catilina, abutere patientia nostra? Sul concetto di «normale tollerabilità» delle immissioni acustiche alla luce della l. n. 13 del 2009, in Giur. mer. 2009, 2670 ss.; Sesta, Rapporti personali di vicinato: immissioni, atti emulativi, privacy, in Riv. not. 2006, 1471 ss. |