Codice Civile art. 873 - Distanze nelle costruzioni.

Alberto Celeste

Distanze nelle costruzioni.

[I]. Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore [878].

Inquadramento

I limiti posti dall'ordinamento giuridico alla proprietà si distinguono tradizionalmente in due grandi categorie: da un lato, quelli posti nell'interesse pubblico e, dall'altro, quelli posti nell'interesse privato. Questi ultimi riguardano la proprietà immobiliare e regolamentano, sotto vari aspetti, i c.d. rapporti di vicinato, ossia i rapporti tra proprietà vicine, tentando di contemperare i diritti reciproci dei proprietari confinanti, garantendone la coesistenza e la possibilità di esercizio. In quest'ottica, la norma in commento inaugura tale disciplina prescrivendo, in via generale, che le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri (c.d. intercapedine) ma, al contempo, stabilendo che una distanza maggiore può essere prevista nei regolamenti locali. Atteso che questi regolamenti contemplano anche altre norme nell'interesse generale — si pensi all'igiene e all'estetica — risulta rilevante la distinzione operata dal precedente art. 872, nel senso che, se il regolamento non integra le disposizioni del codice civile, il proprietario che abbia subìto pregiudizio per la violazione del medesimo regolamento, oltre che ovviamente avvalersi dei rimedi stabiliti dalle leggi amministrative, può agire nei confronti del proprietario trasgressore solo per il risarcimento del danno e giammai per la riduzione in pristino, laddove invece, se il regolamento comunale integra, il vicino può invocare, oltre che la tutela risarcitoria, anche la rimozione forzosa dell'opera abusivamente realizzata. L'azione per ottenere il rispetto delle distanze legali non si estingue per il decorso del tempo, essendo imprescrittibile, salvo gli effetti dell'eventuale usucapione, la quale dà luogo all'acquisto del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale. 

Resta inteso che, una volta accertata, peraltro, fra due fabbricati posti su fondi finitimi, l'inosservanza della distanza legale, il giudice di merito non potrà, con propria valutazione discrezionale, escludere il carattere dannoso o pericoloso dell'intercapedine. Il legislatore, infatti, imponendo l'osservanza di determinate distanze, ha ritenuto che solo queste valgano a soddisfare le esigenze igieniche e di sicurezza degli abitati.

Rinvio ai regolamenti locali

Nell'ottica della c.d. doppia tutela di cui sopra, è opportuno rimarcare che, in tema di distanza legali, le norme di cui ai regolamenti locali possono avere, ai sensi dell'art. 873, efficacia integrativa delle norme codicistiche; pertanto, qualora lo strumento urbanistico preveda la distanza minima delle costruzioni dal confine, il divieto di costruire sul confine è assoluto, non operando il principio della prevenzione, a meno che una specifica disposizione dei regolamenti locali non consenta espressamente di costruire in aderenza. Parimenti qualora le previsioni al riguardo dettate da un piano regolatore generale e dalle norme tecniche di attuazione dello stesso risultano volte a disciplinare l'attività dell'amministrazione per un migliore assetto dell'agglomerato urgano ed i rapporti di vicinato in modo equo, perché in tal caso sono fonti normative che integrano quelle di cui agli artt. 873, facendo sorgere a favore del vicino danneggiato dalla nuova costruzione il diritto di chiedere la riduzione in pristino, ai sensi dell'art. 872. Invece, le disposizioni dei piani regolatori contenenti divieti di edificazione non hanno funzione integrativa della norma di cui agli artt. 873, in tema di distanze tra costruzioni, qualora siano dettate esclusivamente per interessi pubblici, allo scopo di conservare la destinazione urbanistica di una determinata parte del territorio, sicché la loro violazione consente al proprietario del fondo finitimo la sola azione risarcitoria e non anche quella per la riduzione in pristino.

Sotto il primo profilo, si è avuto modo di precisare che il rinvio contenuto nell'art. 873 alle norme dei regolamenti edilizi comunali si estende all'intera disciplina predisposta da tali fonti e, conseguentemente, anche a quelle disposizioni che, nello stabilire una maggiore distanza tra edifici, prescrivano, contestualmente, particolari modalità circa la misurazione della distanza medesima, assumendo come termine di riferimento eventualmente il confine, o disponendo che, in ogni caso, debba sussistere un determinato distacco rispetto al confine stesso, conseguendone che le diverse (e più gravi) limitazioni così dettate, risultando pur sempre funzionali al rispetto delle distanze tra costruzioni, vanno considerate anch'esse integrative di quelle stabilite dal codice civile e la loro inosservanza legittima il proprietario frontista non soltanto all'azione di risarcimento del danno, ma anche a quella di riduzione in pristino (Cass. II, n. 4267/2001; Cass. II, n. 12582/1995); v., altresì, Cass. II, n. 22054/2018, secondo cui le norme dei regolamenti edilizi, che impongono distanze tra le costruzioni maggiori rispetto a quelle previste dal codice civile o stabiliscono un determinato distacco tra le costruzioni e il confine, sono volte non solo a regolare i rapporti di vicinato evitando la formazione di intercapedini dannose, ma anche a soddisfare esigenze di carattere generale, come quella della tutela dell'assetto urbanistico, così che, ai fini del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino). Si è ulteriormente precisato che, in tema di distanze tra costruzioni, l'art. 9, comma 2, del d.m. n. 1444/1968, essendo stato emanato sulla base dell'art. 41-quinquies della l. n. 1150/1942 (c.d. legge urbanistica), aggiunto dall'art. 17 della l. n. 765/1967, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cass. II, n. 624/2021).

In argomento, si è, di recente, chiarito che il principio della prevenzione è escluso solo in presenza di una norma del regolamento edilizio comunale che prescriva una distanza tra fabbricati con riguardo al confine, con lo scopo di ripartire equamente tra i proprietari confinanti l'obbligo di salvaguardare una zona di distacco tra le costruzioni, sicché, in assenza di una siffatta previsione, deve trovare applicazione il principio della prevenzione, potendo il prevenuto costruire in aderenza alla fabbrica realizzata per prima, se questa sia stata posta sul confine o a distanza inferiore alla metà del prescritto distacco tra fabbricati (Cass. II, n. 5146/2019: nella specie, si era cassata con rinvio la sentenza che aveva ritenuto che l'indicazione di un distacco minimo tra fabbricati da parte di un regolamento edilizio comunale escludesse la facoltà, in capo ai proprietari dei fondi confinanti, di costruire in prevenzione, essendo implicito in quella disciplina il richiamo alla distanza da mantenere rispetto ai confini).

Sotto il secondo profilo, si è puntualizzato che le prescrizioni di piano regolatore acquistano efficacia di norme giuridiche integrative dell'art. 873 solo con l'approvazione del piano medesimo, mentre non rileva a tal fine che le stesse prescrizioni, in pendenza di quell'approvazione, si traducano in misure di salvaguardia adottate dal sindaco o dal prefetto, atteso che l'operatività di questi provvedimenti si esaurisce nel rapporto fra le predette autorità ed i rispettivi destinatari (Cass. II, n. 19822/2004). 

Nella stessa lunghezza d'onda, si è avuto modo di affermare (Cass. II, n. 22374/2018) che, poiché le norme urbanistiche acquistano efficacia vincolante non alla data della loro adozione da parte dei competenti Enti pubblici territoriali, ma solo quando, compiuto l'iter previsto dalla legge, vengano approvate dall'organo a ciò preposto, prima di tale approvazione, le disposizioni in esse contenute, essendo prive dell'efficacia propria delle norme giuridiche, non valgono a integrare sostitutivamente la disposizione fondamentale dettata dall'art. 873 in tema di rapporti di vicinato, con la conseguenza che, fino a detta approvazione conclusiva, tali rapporti restano regolati dalle precedenti norme locali tuttora in vigore o, in mancanza, dal codice civile o da leggi speciali.

Ad ogni buon conto, in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell'interesse generale ad un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati; tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità può venire meno per l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici (Cass. II, n. 26270/2018). Dunque, in materia di distanze legali, le norme di cui all'art. 873, dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli, volte unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose, sono derogabili mediante convenzione tra privati; viceversa, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e negli strumenti urbanistici locali non tollerano deroghe convenzionali, in quanto dettate a tutela dell'interesse generale ad un prefigurato modello urbanistico (Cass. II, n. 5016/2018).

Nozione di costruzione

A questo punto, risulta fondamentale delineare compiutamente il concetto di “costruzione” ai fini del rispetto delle distanze legali, sia quelle contemplate dal codice civile, sia quelle eventualmente integrative previste nei regolamenti locali. 

Al riguardo, la giurisprudenza ha definito deve ritenersi tale qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione, per cui gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, costituiscono con l'immobile una costruzione unitaria, sicché le distanze devono essere calcolate non dalla parete dell'edificio maggiore, ma da quella più prossima alla proprietà antagonista. 

Cass. II, n. 21173/2019, aggiungendo che si può fare riferimento anche all'attività di scavo e di posa in opera delle fondazioni, che consentano, però, di rilevare in maniera univoca quale sia la sagoma dell'edificio in funzione del quale le medesime sono svolte; Cass. II, n. 5607/ 2019, secondo cui, in tema di calcolo delle distanze legali, non deve tenersi conto delle fondamenta del fabbricato poiché, per definizione, totalmente interrate e, perciò, irrilevanti (Cass. II, n. 4277/2011; Cass. II, n. 22127/2009; Cass. II, n. 25837/2008; Cass. II, n. 22086/2007).

In argomento, si è puntualizzato (Cass. II, n. 28612/2020) che, nell'àmbito delle opere edilizie - anche alla luce dei criteri di cui all'art. 31, comma 1, lett. d), della l. n. 457/1978 (oggi art. 3 d.P.R. n. 380/2001) - è ravvisabile una “ricostruzione”, quando l'opera di modifica dell'edificio preesistente si traduce non soltanto nell'esatto ripristino della costruzione precedente, ma anche nella riduzione della volumetria rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio; è ravvisabile, viceversa, una "nuova costruzione", quando l'opera di modifica si traduce non soltanto nella realizzazione ex novo di un fabbricato, ma anche in qualsiasi modificazione della volumetria dell'edificio preesistente che ne comporti un aumento della volumetria, con la conseguenza che solo all'ipotesi di "nuova costruzione" è applicabile la disciplina in tema di distanze ai sensi dell'art. 873.

In quest'ottica (ad avviso di Cass. II, n. 4190/2017), la mancanza di destinazione o di utilità economica di un manufatto (nella specie: rudere di un fabbricato) non esonera dall'osservanza, rispetto ad esso, della distanza suddetta, atteso che la ratio dell'art. 873 c.c. è volta, appunto, ad evitare la formazione di intercapedini dannose, sicché, nella nozione di “costruzione”, rispetto alle quali il secondo costruttore può edificare in aderenza o a distanza legale, rientra ogni opera edilizia che, oltre a presentare carattere di consistenza e stabilità, emerga in modo sensibile al di sopra del livello del suolo.

Nello specifico, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili, rientrano nel concetto civilistico di “costruzione” le parti dell'edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. aggettanti) che, seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato (Cass. II, n. 19554/2009; Cass. II, n. 1556/2005; ad avviso di Cass. II, n. 22845/2018, non sono computabili per la misurazione delle dette distanze esclusivamente le sporgenze esterne del fabbricato con funzione meramente ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica quelle aventi particolari proporzioni, come gli aggetti, anche se scoperti, ove siano di apprezzabile profondità ed ampiezza, poiché, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, essendo destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati).

In relazione alle prescrizioni di cui all'art. 873, costituisce costruzione anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria (nella specie, trattavasi di una tettoia), sicché, al fine di verificare l'osservanza o meno delle distanze legali, la misura deve esser effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del manufatto stesso (Cass. II, n. 5934/2011: nella specie, trattavasi di una tettoia; cui adde, più di recente, Cass. II, n. 5145/2019, la quale aveva confermato la decisione di merito che aveva qualificato come costruzione una tettoia aperta su un lato e saldamente fissata con la copertura al muro di confine, i cui montanti, pur essendo dei cavalletti mobili, erano cementati al suolo).

Al contempo, però, la sporgenza di un tetto piovente, di modesta entità, non è qualificabile come nuova costruzione e conseguentemente non è soggetta alla disciplina normativa relativa al rispetto delle distanze legali (Cass. II, n. 25191/2008).

Parimenti, la trasformazione di una finestra in porta finestra per l'accesso ad un preesistente lastrico solare, non comporta aumenti di superficie o di volume e, dunque, non configura una nuova costruzione, sicché è inapplicabile la disciplina in tema di distanze ex art. 873 (Cass. n. 10873/2016).

Resta il fatto, però, che la nozione di costruzione, agli effetti dell'art. 873, è unica e non può subire deroghe, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme secondarie, in quanto il rinvio contenuto nella seconda parte del suddetto articolo ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una “distanza maggiore” (Cass. II, n. 23843/2018; Cass. II, n. 144/2016; Cass. II, n. 19530/2005).

Dal canto suo, la dottrina ha adottato un'interpretazione estensiva del termine «costruzione»: è tale ogni opera edilizia, stabilmente infissa al suolo, con o senza l'impiego di malta cementizia, sempre che, attraverso il sistema di collegamento, si abbia l'incorporazione delle opere al suolo e l'immobilizzazione di esse rispetto al suolo medesimo; nella nozione di costruzione rientrano, quindi, non solo le opere in muratura, ma anche quelle in legno o in altro materiale, mentre non occorre che la fabbrica sia ultimata, essendo sufficiente che essa sia iniziata, ma non sono ritenuti inizi di fabbrica le fondazioni o lo scavo del terreno (Albano, in Tr. Res., 1982, 574).

 

Ricostruzione del manufatto

Talvolta, in tema di opere edilizie, si verifica l'eventualità che vengano meno, per eventi naturali o per demolizione, le preesistenti strutture edilizie, per cui si ha “mera ricostruzione” se l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle strutture precedenti, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio e, in particolare, senza aumenti della volumetria né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro; in presenza di tali aumenti, mentre si verte, invece, in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima (Cass. II, n. 3391/2009).

In altri termini, nell'ipotesi di distruzione delle componenti essenziali di un edificio per evento naturale o per volontaria demolizione, soltanto l'esatto ripristino del preesistente fabbricato, operato senza alcuna variazione rispetto alle sue dimensioni originarie e, in particolare, senza aumenti della volumetria e delle superfici occupate in relazione alla primitiva sagoma d'ingombro, realizza una ricostruzione, mentre in presenza di dette variazioni o aumenti si verte nella diversa ipotesi di una costruzione nuova; ne deriva, essendo la sagoma di un edificio rappresentata dalla sua proiezione tanto sul piano orizzontale quanto su quello verticale, che un fabbricato ricostruito avente un'altezza superiore a quella preesistente e insistente su di un sedime in parte diverso da quello originario integra una costruzione nuova per l'intero e non soltanto per la porzione che si sopraeleva rispetto all'altezza dell'edificio originario ovvero in cui si discosta dall'area di risulta della demolizione e tale va considerato anche ai fini del computo delle distanze tra gli edifici previste dagli strumenti urbanistici locali, nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni vengano estese anche alle ricostruzioni, ovvero nelle sole parti eccedenti le dimensioni dell'edificio originario, se siffatta norma non esista (Cass. II, n. 17176/2008).

In proposito, si è chiarito (Cass. II, n. 15041/2018)che, nell'àmbito delle opere edilizie - anche alla luce dei criteri di cui all'art. 31, comma 1, lett. d), della l. n. 457/1978 (oggi art. 3 del d.p.r. n. 380/2001) - la semplice “ristrutturazione” si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la “ricostruzione” allorché dell'edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima (nella specie, si era qualificata come nuova costruzione un edificio che presentava, rispetto a quello preesistente, un lieve incremento della superficie ed un possibile modesto aumento del volume).

Logico corollario è che l'eventuale diritto del proprietario frontista a mantenere un fabbricato preesistente sin dall'origine costruito ad una distanza inferiore a quella legale rispetto all'immobile limitrofo non conferisce al predetto l'ulteriore diritto di apportare al manufatto aggiunte e/o modifiche di qualsiasi natura nella parte che, in base alla normativa attualmente vigente, risulti a distanza inferiore a quella minima legale, atteso che dette aggiunte o modifiche costituirebbero un'ulteriore, e non consentita, violazione della normativa in materia di distanze (Cass. II, n. 12483/2002).

Casistica

Le fattispecie esaminate dalla giurisprudenza in materia di distanze legali nelle costruzioni è sconfinata, sicché appare opportuno richiamare quelle più frequenti. 

Le strutture accessorie di un fabbricato, non meramente decorative ma dotate di dimensioni consistenti e stabilmente incorporate al resto dell'immobile (nella specie, pianerottoli di prolungamento dei balconi e “setti” in cemento armato), costituiscono con questo una costruzione unitaria, ampliandone la superficie o la funzionalità e vanno computate ai fini delle distanze fissate dall'art. 873 o dalle norme regolamentari integrative, specie ove queste ultime non prevedano espressamente un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie (Cass. II, n. 859/2016).

Il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico (Cass. II, n. 14710/2019), ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. II, n. 145/2006).  In argomento, si è chiarito che l'art. 873 c.c. trova applicazione anche quando, a causa del dislivello tra i fondi, la costruzione edificata nell'area meno elevata non raggiunga il livello di quella superiore, in quanto la necessità del rispetto delle distanze legali non viene meno in assenza del pericolo del formarsi di intercapedini dannose (Cass. II, n. 14084/2019: nella specie, si era cassata la sentenza gravata la quale, per escludere la violazione della disciplina delle distanze, si era limitata ad accertare che il garage controverso avesse l'estradosso a quota inferiore a quella del piano di campagna del fondo “contiguo”, anziché accertare, come avrebbe dovuto, che il medesimo avesse l'estradosso a quota inferiore a quella del piano di campagna del fondo su cui insisteva).

La sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e, quindi, anche per la disciplina delle distanze, come nuova costruzione (Cass. III, n. 15732/2018; Cass. II, n. 21059/2009; Cass. II, n. 6809/2000). In proposito, si è aggiunto (Cass. II, n. 26783/2018) che, quando due edifici su fondi finitimi si trovano a distanza inferiore a quella legale, quello dei due frontisti che per primo sopraelevi, ove non provi il diritto a ottenere l'arretramento del fabbricato dell'altro, deve osservare nella sopraelevazione la distanza legale (art 873), arretrandosi sul proprio edificio quanto necessario per rispettarla, essendo irrilevante che la sopraelevazione risulti ad altezza maggiore dell'edificio vicino.

In proposito, si è puntualizzato che, ai fini del computo delle distanze, nell'ipotesi di ristrutturazione con sopraelevazione di un fabbricato preesistente, l'altezza del nuovo edificio va calcolata considerando non la linea di gronda, ma quella di colmo (data dalla retta d'intersezione tra le due falde piane di un tetto inclinato), salvo l'ipotesi in cui il rialzo del sottotetto sia funzionale alla sola allocazione d'impianti tecnici non altrimenti situabili, trattandosi in questo caso di un mero volume tecnico non rilevante (Cass. II, n. 11049/2016). In argomento, si è chiarito (Cass. II, n. 30708/2018) che costituisce volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione, solo l'opera edilizia priva di autonomia funzionale, anche potenziale, perché destinata a contenere impianti serventi di un edificio principale, per esigenze tecnico funzionali dell'abitazione, che non possono essere ubicati nella stessa (come quelli connessi alla condotta idrica e termica, per cui non rientra in tale nozione il vano scale, il quale è parte integrante del fabbricato, ossia corpo di fabbrica. (ad ogni buon conto, secondo Cass. II, n. 14705/2019, in tema di distanze legali, con riferimento alla sopraelevazione di un edificio preesistente, il criterio della prevenzione va applicato avendo riguardo all'epoca della sopraelevazione e non a quella della realizzazione della costruzione originaria).

La distanza dal confine di un edificio che presenti sporgenze non meramente decorative e stabilmente incorporate nell'immobile (nella specie, una scala esterna in muratura) deve essere misurata tenendo conto delle sporgenze stesse, specie qualora la distanza sia stabilita in un regolamento edilizio comunale che non preveda espressamente un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie; ne consegue, in caso di accertamento della violazione delle norme sulle distanze legali, la irrilevanza di qualsivoglia, ulteriore indagine di fatto, quale quella, oggettiva, inerente all'accertamento della concreta pericolosità o dannosità delle intercapedini relative agli sporti medesimi, ovvero quella, soggettiva, circa l'eventuale convincimento dell'autore del fatto di esercitare legittimamente un proprio diritto, concretandosi l'animus turbandi nella semplice volontarietà del comportamento contra ius. (Cass. II, n. 1966/2007; Cass. II, n. 4372/2002; Cass. II, n. 5222/1998).

In tema di distanze legali tra fabbricati, l'art. 873, nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi la distanza minima di tre metri dal confine o quella maggiore fissata dai regolamenti locali, si riferisce, in relazione all'interesse tutelato, non necessariamente ad un edificio, ma ad un qualsiasi manufatto (nella specie, autorimessa), avente caratteristiche di consistenza e stabilità o che emerga in modo sensibile dal suolo e che, inoltre, per la sua consistenza, abbia l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà (Cass. II, n. 22086/2007; Cass. II, n. 15282/2005).

 

Fondi finitimi e vicini

Va opportunamente premesso che, in materia di rispetto delle distanze legali delle costruzioni rispetto al confine, la nozione di fondi finitimi è diversa da quella di fondi meramente “vicini”, dovendo per fondi finitimi intendersi quelli che hanno in comune, in tutto o in parte, la linea di confine, ossia quelli le cui linee di confine, a prescindere dall'essere o meno parallele, se fatte avanzare idealmente l'una verso l'altra, vengono ad incontrarsi almeno per un segmento, sicché non possono essere invocate le norme sul rispetto delle distanze ove i fondi abbiano in comune soltanto uno spigolo o i cui spigoli si fronteggino pur rimanendo distanti.

Affinando ulteriormente il concetto, nel caso in cui la costruzione del prevenuto non presenti una perfetta aderenza a quella realizzata con sporgenze dal preveniente secondo una linea spezzata, il giudice non può disporre l'arretramento della costruzione del prevenuto senza accertare che l'intercapedine possa essere colmata mediante opportuni accorgimenti tecnici atti a perfezionare l'aderenza senza determinare spinte in danno del muro del vicino. In tal caso non si verifica violazione del principio di prevenzione, posto che il prevenuto esercita, seppure con l'adozione di cautele rese necessarie da anomalie a lui non imputabili, la facoltà di costruire in aderenza riconosciutagli dalla legge (Cass. II, n. 5894/2004; Cass. II, n. 15367/2001; Cass. II, n. 2975/1998).

Ai fini dell'art. 9 del d.m. n. 1444/1968, due fabbricati, per essere antistanti, non devono necessariamente essere paralleli, ma possono anche fronteggiarsi con andamento obliquo, purché tra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento, sicché non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo retto, né quelli in cui sono gli spigoli opposti a potersi toccare se prolungati idealmente uno verso l'altro (Cass. II, 24471/2019, precisando che, in materia di distanze tra fabbricati, il citato art. 9 - che prescrive una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesistente, o che si trovi alla medesima altezza o ad altezza diversa rispetto all'altro).

Affinché si verifichi l'ipotesi di costruzione in aderenza è necessario che la nuova opera e quella preesistente combacino perfettamente da uno dei lati, in modo che non rimanga tra i due muri, nemmeno per un breve tratto o ad intervalli, uno spazio vuoto, ancorché totalmente chiuso, che lasci scoperte, sia pure in parte, le relative facciate (Cass. II, n. 21227/2009).

Resta inteso che, nella disciplina sulle distanze legali, la previsione di un'area di distacco mira ad assicurare il rispetto delle distanze tra fabbricati edificati su fondi finitimi appartenenti a diversi proprietari, sicché è legittima, dal punto di vista privatistico, la realizzazione di costruzioni ad una distanza inferiore a quella legale o regolamentare sul fondo di un unico proprietario (Cass. II, n. 6855/2017).

Edificio in condominio

Peculiarità riveste la tematica in esame qualora venga “calata” nella realtà condominiale.

Invero, le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l'applicazione di quest'ultime non sia in contrasto con le prime; nell'ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l'inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti dall'art. 1102 (applicabile al condominio per il richiamo di cui all'art. 1139), atteso che, in considerazione del rapporto strumentale fra l'uso del bene comune e la proprietà esclusiva, non sembra ragionevole individuare, nell'utilizzazione delle parti comuni, limiti o condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione (Cass. II, n. 7044/2004).

Bibliografia

Alvino, Costruzione su fondi non contigui ed osservanza delle distanze, in Giust. civ., 1983, I, 156; Benedetti, Distanze legali tra costruzioni: il punto sull'applicazione dell'art. 873 c.c., in Riv. giur. edil. 1999, I, 456; De Cupis, Sulla distanza legale tra costruzioni, in Giust. civ. 1982, II, 431; De Giovanni, Rapporti di vicinato, Milano, 2013; Del Bene, Distanze tra costruzioni, in Enc. giur., XI, Roma, 1996; Fusaro, Le distanze nelle costruzioni, in Nuova giur. civ. 1986, II, 165; Galletto, Distanze fra costruzioni, in Dig. civ., VI, Torino, 1990; Terzago G. - Terzago P., I rapporti di buon vicinato, Milano, 1996.

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