Codice Civile art. 880 - Presunzione di comunione del muro divisorio.Presunzione di comunione del muro divisorio. [I]. Il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto [881]. [II]. Si presume parimenti comune il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi. InquadramentoLa norma in commento ha la precisa funzione di chiarire la natura e l'assetto proprietario del muro divisorio, stabilendo che il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto, e stesso regime trova applicazione qualora il muro serva di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi. Resta inteso che, ai sensi dell'art. 880, la delineata “presunzione di comunione” riguarda soltanto il muro che divide entità prediali omogenee — edificio da edificio, cortile da cortile, orto da orto, ecc. — sicché la stessa non possa operare qualora il muro divida, ad esempio, un fondo agricolo da un cortile. Parimenti, qualora trattasi di muro divisorio tra edifici con altezze disuguali, la presunzione di comunione a norma dell'art. 880 non riguarda la parte di muro dal punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto, con la conseguenza che tale parte del manufatto é di proprietà esclusiva di colui cui appartiene il suddetto più alto edificio, e che questi può chiedere il rispetto delle distanze legali dal confinante che realizzi una nuova costruzione. Registrando comunque la presenza di una presunzione iuris tantum di comunione del muro divisorio fra edifici, la stessa può essere vinta dalla prova della proprietà esclusiva del muro, facendo riferimento ad uno dei modi di acquisto della proprietà a titolo originario o derivativo, con la conseguenza che, in difetto di tale prova contraria, la presunzione di comunione conserva la sua piena operatività. Presunzione di comunione e prova contrariaLa giurisprudenza ha avuto modo di delineare l'àmbito di operatività di tale presunzione di comunione e le ipotesi in cui la stessa possa essere superata dalla prova contraria. Invero, in tema di presunzione di comunione del muro divisorio tra edifici prevista dall'art. 880, i limiti di operatività di detta presunzione sono determinati dallo stesso articolo (secondo periodo del comma 1) facendo espresso riferimento “al punto i cui uno degli edifici comincia ad essere più alto”, nel senso che, in ipotesi che uno dei due edifici sia più alto rispetto all'altro, la presunzione suddetta opera sino al punto in cui le altezze dei due edifici combaciano (Cass. II, n. 5261/2006). La presunzione relativa di comunione del muro, stabilita dall'art. 880, postulando la funzione divisoria di fondi omogenei, alla quale si ricollega l'utilità comune, è vinta dall'accertamento che il muro sia stato costruito nella sua interezza su di una sola delle aree confinanti, con conseguente acquisto per accessione, ai sensi dell'art. 934 (Cass. II, n. 50/2014). Discussa è, invece, l'applicabilità della presunzione ai muri di sostegno, che il proprietario del fondo superiore costruisce allo scopo di sostenere il suo terreno e impedire che esso frani sul fondo inferiore. Mentre è pacifico che, se il muro di sostegno si eleva fino al livello del fondo superiore, senza sopraelevarsi su di esso, appartiene in esclusiva al proprietario del fondo superiore, non potendo contestarsi la mera funzione di sostegno che esso assume, ove invece il muro si elevi a livello superiore, la funzione di sostegno viene meno e, pertanto, deve ritenersi la natura divisoria del muro (De Martino, in Comm. S. B., 1976, 309, il quale sottolinea che non possa darsi una regola generale, essendo rimesso al prudente apprezzamento del giudice l'accertare se ricorra o meno la funzione divisoria). Demolizione di uno degli edificiSi è, altresì, precisato che la presunzione di comunione del muro divisorio fra due edifici stabilita dall'art. 880 non viene meno per la demolizione di uno di essi, restando a carico di chi invoca la proprietà esclusiva del muro l'onere di dimostrare che in realtà la comunione non sussisteva al tempo della contemporanea esistenza dei due edifici o era venuta a cessare per un fatto posteriore idoneo a trasferire il dominio (Cass. II, n. 8497/1995; Cass. II, n. 3915/1977). Nella stessa ottica, la comunione del muro divisorio non va intesa nel senso che ciascuno dei comproprietari abbia la proprietà assoluta della metà del muro (e del suolo) secondo una linea mediana ideale, da considerarsi come linea di confine delle proprietà esclusive da esso delimitate bensì nel senso che ciascuno di essi è proprietario, sia pure pro quota, dell'intero muro, e del suolo ad esso sottostante, in ogni sua parte (identificandosi la linea di confine delle proprietà esclusive con il muro ed il suolo comune); né la demolizione di uno dei due edifici confinanti fa venire meno (in assenza di titolo o di giustificazione) la comunione, che può essere utilmente invocata ad ogni effetto da ciascuno dei partecipanti, con la conseguenza che il comproprietario del muro comune abbattuto arbitrariamente dall'altro comproprietario ha diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive sue caratteristiche, nonché al risarcimento del danno ed alla restituzione della parte di suolo comune indebitamente attratta nella sfera della signoria esclusiva dell'altro condomino, restando esclusa l'applicabilità dell'art. 938, in tema di accessione invertita, che è configurabile in relazione ad una porzione di fondo di proprietà esclusiva (Cass. II, n. 3393/1988). Regime del muro divisorio comuneRelativamente al regime del muro divisorio comune, si è affermato (Cass. II, n. 3393/1988; Cass. II, n. 3376/1979) che la comunione dello stesso non va intesa nel senso che ciascuno dei comproprietari abbia la proprietà assoluta della metà del muro (e del suolo) secondo una linea mediana ideale, da considerarsi come linea di confine delle proprietà esclusive da esso delimitate, bensì nel senso che ciascuno di essi è proprietario, sia pure pro quota, dell'intero muro, e del suolo ad esso sottostante, in ogni sua parte (identificandosi la linea di confine delle proprietà esclusive con il muro ed il suolo comune); né la demolizione di uno dei due edifici confinanti fa venire meno (in assenza di titolo o di giustificazione) la comunione, che può essere utilmente invocata ad ogni effetto da ciascuno dei partecipanti, con la conseguenza che il comproprietario del muro comune abbattuto arbitrariamente dall'altro comproprietario ha diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive sue caratteristiche, nonché al risarcimento del danno ed alla restituzione della parte di suolo comune indebitamente attratta nella sfera della signoria esclusiva dell'altro condominio, restando esclusa l'applicabilità dell'art. 938, in tema di accessione invertita, che è configurabile in relazione ad una porzione di fondo di proprietà esclusiva. Nel caso di proprietà delimitate da un muro comune, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro medesimo, poiché su di esso, nonché sull’area di relativa incidenza, i proprietari confinanti esercitano la contitolarità del rispettivo diritto per l’intera estensione ed ampiezza, sicché le distanze si misurano rispetto alla facciata del muro prospiciente la cosa da tenere a distanza (Cass. I, n. 26941/2016). BibliografiaAlvino, Costruzione su fondi non contigui ed osservanza delle distanze, in Giust. civ., 1983, I, 156; Benedetti, Distanze legali tra costruzioni: il punto sull'applicazione dell'art. 873 c.c., in Riv. giur. edil. 1999, I, 456; De Cupis, Sulla distanza legale tra costruzioni, in Giust. civ. 1982, II, 431; De Giovanni, Rapporti di vicinato, Milano, 2013; Del Bene, Distanze tra costruzioni, in Enc. giur., XI, Roma, 1996; Fusaro, Le distanze nelle costruzioni, in Nuova giur. civ. 1986, II, 165; Galletto, Distanze fra costruzioni, in Dig. civ., VI, Torino, 1990; Terzago G. - Terzago P., I rapporti di buon vicinato, Milano, 1996. |