Codice Civile art. 901 - Luci.Luci. [I]. Le luci che si aprono sul fondo del vicino devono: 1) essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati; 2) avere il lato inferiore a una altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori; 3) avere il lato inferiore a una altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa. InquadramentoLa norma in commento delinea, in modo molto dettagliato, i requisiti che devono avere le luci che si aprono sul fondo del vicino. Dunque, funzione delle luci è soltanto quella di dare aria e luce agli ambienti siti all'interno del muro, su cui esse sono praticate, laddove risultano preclusi l'affaccio e la veduta; di conseguenza, i requisiti a cui la legge sottopone tali aperture sono diretti ad impedire l'inspectio e la prospectio, senza impedire il passaggio di luce ed aria. Nello specifico, tali luci devono: 1) essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati; 2) avere il lato inferiore ad una altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori; 3) avere il lato inferiore ad una altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa. In altri termini, l'art. 901 prevede che le luci devono avere, quanto all'altezza, un doppio requisito: a) un'altezza minima interna (con riferimento al posizionamento del lato inferiore della luce) non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare aria e luce, se esse sono al piano terra, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori; b) un'altezza esterna non minore di due metri e mezzo dal suolo del vicino, a meno che si tratti di un locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa. Luci nel solaio frapposto tra immobili soprastantiIn argomento, si è precisato (Cass. II, n. 738/2000) che la facoltà di apertura e mantenimento di luci in un solaio frapposto tra due unità immobiliari l'una soprastante l'altra e comprese in uno stabile condominiale resta subordinata, a mente dell'art. 903, comma 2 — norma dettata in tema di muro divisorio ed applicabile nella specie attesa l'analogia tra le funzioni del muro stesso e del solaio — al consenso di tutti i comproprietari, con la conseguenza che il diritto a mantenere le luci stesse può essere aliunde acquisito soltanto iure servitutis. Pannelli di vetrocementoSi è, altresì, puntualizzato che non costituiscono luci in senso tecnico-giuridico, soggette alla disciplina dell'art. 901, quelle parti del muro perimetrale nelle quali sia stato inserito materiale di altra natura, quale in particolare il vetrocemento, il quale, pur consentendo il passaggio della luce, presenta caratteristiche analoghe a quelle del materiale impiegato per la costruzione del muro ed adempie alla medesima funzione di delimitazione e di riparo assegnata a quest'ultimo; viceversa vanno considerate luci irregolari quelle altre parti del muro le quali, o per la natura del materiale impiegato, o per la struttura o conformazione di questo, o per il modo nel quale esso sia stato inserito nel muro e reso con questo solidale, non possono dirsi parte integrante della preesistente costruzione, in difetto dei necessari requisiti di stabilità, consistenza, sicurezza, coibenza, sì da costituire un semplice mezzo per impedire l'affaccio od il solo passaggio dell'aria (Cass. II, n. 2707/1991; Cass. II, n. 6192/1984; Cass. II, n. 3258/1983). Luci nel muro di proprietà comuneCome al solito, la realtà condominiale richiede doverosi adattamenti. Invero, le luci che si aprono tra un vano e l'altro dello stesso edificio condominiale, quando insistono su muro comune, sono subordinate al consenso del vicino e, pertanto, a differenza di quelle che si aprono sul fondo aperto altrui, sono prive di quella connotazione di precarietà e di mera tolleranza che caratterizza queste ultime, con la conseguenza che sono sottratte alla disciplina di cui agli artt. 901 ss., e che, in particolare, essendo condizionata al consenso del vicino, la loro permanenza nonostante il mancato consenso integra l'ipotesi tipica dell'usucapione, consistente nell'aver subito un peso sulla proprietà per il tempo occorrente alla costituzione della servitù (Cass. II, n. 7490/2001). Inoltre, esula dall'applicazione della normativa prevista dagli artt. 901 e 904 quell'apertura che si apre in un muro comune tra un vano e l'altro del medesimo edificio con lo scopo di dare ad uno di essi aria e luce attraverso l'altro; tale apertura non costituisce estrinsecazione del diritto di proprietà, ossia manifestazione di una facultas del diritto di dominio, ma ponendo in essere in via effettuale l'invasione della sfera di godimento della proprietà altrui, ha sostanza, struttura e funzione di uno ius in re aliena acquistabile, quindi, ex lege mediante usucapione o destinazione del padre di famiglia, sempreché l'apertura si concreti in opere visibili e permanenti destinate ad un inequivoco e stabile assoggettamento del vano, sì da rilevare all'esterno l'imposizione di un peso a suo carico per l'utilità dell'altro (Cass. II, n. 15248/2005; Cass. II, n. 3441/2001; Cass. II, n. 9637/1999). In tema di apertura di luci irregolari nel muro divisorio tra proprietà confinanti, bisogna distinguere se esse siano state realizzate sul manufatto di proprietà esclusiva di colui che compie tale attività e, quindi, iure proprietatis, oppure sul muro comune o di proprietà esclusiva del confinante e, pertanto, iure servitutis, poiché solo in quest'ultima ipotesi il diritto a mantenere la relativa servitù può essere acquisito per usucapione (Cass. II, 28804/2018: in applicazione del principio, si era cassata la decisione di appello che aveva affermato la non usucapibilità di una servitù di luce, prescindendo dalla concreta individuazione del regime dominicale del muro sul quale detta luce era stata aperta). Il lastrico solare agevolmente accessibile non svolge soltanto una funzione di copertura del fabbricato e pertanto, se posto allo stesso livello e destinato al servizio della porzione immobiliare sita all'ultimo piano dell'edificio, può comportare l'obbligo del proprietario di quest'ultimo di costruzione di un muretto recinto da rete metallica, onde rendere la luce irregolare conforme alle prescrizioni stabilite dallartt. 901 (Cass. II, n. 113/2017). In dottrina, si è precisato che l'altezza, prevista dalla norma in esame, va osservata anche nel caso in cui la finestra lucifera si apra su un lastrico solare o su una terrazza praticabili, ma non quando essa dia sul tetto di un edificio, non essendo quest'ultimo ricompreso nel concetto di “suolo del vicino” (Figone, 139). BibliografiaAlbano, Luci e vedute, in Enc.. giur., XIX, Roma, 1990; Bozza, La distanza delle costruzioni dalle vedute nel condominio, in Giust. civ. 1992, I, 2838; Chinello, Servitù di luci e vedute: limiti all'acquisto per usucapione, in Immob. & proprietà 2006, 78; Colletti, Sulla controversa natura di luci e vedute, in Arch. loc. e cond., 2005, 198; Figone, Luci e vedute, in Dig. civ., XI, Torino, 1994; Fiorani L. - Fiorani G., Il regime delle luci, delle vedute e delle relative servitù nel codice civile, Latina, 1982; Loiacono, Luci e vedute, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975; Magnani, Criteri distintivi tra luci e vedute, in Not. 1997, 413; Sestant, Brevi note in tema di distanza delle costruzioni dalle vedute dirette, in Giust. civ. 1994, I, 1091. |