Codice Civile art. 903 - Luci nel muro proprio o nel muro comune.Luci nel muro proprio o nel muro comune. [I]. Le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui. [II]. Se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro; ma chi ha sopraelevato il muro comune può aprirle nella maggiore altezza a cui il vicino non abbia voluto contribuire [885]. InquadramentoLa norma in commento precisa che le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui, ma se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro. In virtù di tale disposto e, peraltro, in applicazione dei principi generali sulla comunione, nessuno dei due proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro manifestato per iscritto. Pertanto, nell'ipotesi di apertura di luci nel muro divisorio tra proprietà confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell'art. 880, deve applicarsi il disposto dell'art. 903, il quale, oltre a consentire, al comma 1, l'apertura al proprietario di luci nel muro proprio che sia contiguo al fondo altrui, stabilisce, al comma 2, come regola di ordine generale, che “se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro”. Di conseguenza, il diritto a mantenere le luci può essere in tale ipotesi diversamente acquisito solo iure servitutis. Nel caso, poi, di sopraelevazione del muro comune, chi ha realizzato tale iniziativa può aprirle nella maggiore altezza a cui il vicino non abbia voluto contribuire. Resta inteso che il diritto che ha il proprietario di aprire luci nel muro del suo fabbricato, costruito a confine con il fondo del vicino, rappresenta, di norma, l'esercizio di una mera facoltà rientrante nel diritto di proprietà; esso, quindi, non si estingue per non uso, ma solamente per rinuncia o costituzione di una servitù avente contenuto contrario (ne luminibus officiatur), che essendo non apparente non potrà acquistarsi se non per titolo. Luci nel muro divisorioIn questa prospettiva, la giurisprudenza ha avuto modo di analizzare compiutamente le varie ipotesi concrete delineate nella norma in commento. Così, nell'ipotesi di comunione del muro divisorio fra un cortile comune ed un'area inedificata di proprietà esclusiva di uno dei comproprietari del muro, il fatto che, in prosieguo di tempo, questo ultimo comproprietario abbia addossata al muro divisorio una sua baracca, non lo legittima, senza il consenso dell'altro comproprietario del muro, all'apertura di luci o vedute nel detto muro divisorio, stante il preciso divieto dell'art. 903, comma 2, non essendo applicabile il regime proprio del muro perimetrale di edificio in condominio su un cortile comune, atteso che tale regime (che consente l'apertura di luci e vedute) trova la sua giustificazione nella diversa funzione del muro perimetrale di edificio in condominio, rispetto al semplice muro divisorio di due autonomi cortili e nel rapporto di complementarietà o di servizio che intercorre fra l'edificio condominiale e il cortile relativo (Cass. II, n. 6495/1981). Comunque, la facoltà, evincibile dall'art. 903, di trasformare una veduta illegittima in luce è esercitabile a condizione che anche quest'ultima sia aperta lungo il medesimo muro preesistente, non essendo altrimenti consentita la trasformazione dell'una apertura nell'altra (Cass. II, n. 5594/2016). Luci nel solaio comuneLa facoltà di apertura e mantenimento di luci in un solaio frapposto tra due unità immobiliari l'una soprastante l'altra e comprese in uno stabile condominiale resta subordinata, a mente dell'art. 903, comma 2 — norma dettata in tema di muro divisorio ed applicabile nella specie attesa l'analogia tra le funzioni del muro stesso e del solaio — al consenso di tutti i comproprietari, con la conseguenza che il diritto a mantenere le luci stesse può essere aliunde acquisito soltanto iure servitutis (Cass. II, n. 738/2000). Muro comune in edificio condominialeSalva l'opposizione, per motivi di sicurezza o di estetica, degli altri partecipanti alla comunione, al condomino è consentito di aprire nel muro comune, sia esso maestro oppure no luci sulla strada o sul cortile; tuttavia, qualora il muro comune assolva anche la funzione di isolare e dividere la proprietà individuale di un condomino dalla proprietà individuale di altro condomino, ricorrono anche gli estremi per l'applicabilità dell'art. 903, comma 2, con la conseguenza che, in tal caso l'apertura della luce resta subordinata sia alle condizioni ed alle limitazioni previste dalle norme in materia di condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i partecipanti alla comunione e alle regole stabilite circa l'uso delle cose comuni da parte dei singoli condomini) sia, alla stregua del comma 2 del citato art. 903 al consenso del condominio vicino, in considerazione dell'interesse del medesimo alla riservatezza della sua proprietà individuale (Cass. II, n. 3819/1981). Servitù di luce in muro comuneUna servitù di luce con riguardo ad una apertura in un muro in comproprietà può essere acquistata o in virtù di convenzione fra i proprietari dei fondi finitimi o per usucapione e può consistere in una servitus luminum che costringe il vicino a subire l'esistenza della luce nel muro divisorio comune senza poterne chiedere la rimozione o in una servitus ne luminibus officiatur che impedisce al comproprietario del muro di sopprimere o di oscurare la luce, obbligandolo in caso di costruzione da parte sua in appoggio o in aderenza, ad osservare la distanza imposta dalle norme applicabili al caso; l'identificazione della precisa natura della servitù va condotta interpretando il titolo convenzionale o accertando le circostanze del possesso che portò all'usucapione (Cass. II, n. 6165/1993). Luci nel muro sopraelevatoPer completare l'ipotesi da ultimo prevista dall'art. 903, si è statuito che chi ha sopraelevato il muro comune può aprire luci “nella maggiore altezza a cui il vicino non abbia voluto contribuire”, nel senso che tale volontà di non concorrere nelle spese di sopraelevazione non deve necessariamente risultare da un espresso rifiuto ovvero dalla mancata risposta ad un apposito interpello, ma può anche essere desunta dal comportamento tenuto dal vicino nelle particolari circostanze in cui è stata iniziata e proseguita la sopraelevazione stessa (Cass. II, n. 3008/1967). La dottrina ha sottolineato che l'ultimo inciso del comma 2 introduce un'innovazione rispetto al codice del 1865, riconoscendo a colui che abbia sopraelevato il muro comune, senza che gli altri comproprietari abbiano voluto contribuire, il diritto di aprire luci nella parte sopraelevata, indipendentemente dal consenso degli altri comunisti. Tale regola si applica anche nell'ipotesi in cui il vicino acquisti la comunione del muro solo per una parte dell'altezza, laddove, nella parte rimasta di proprietà esclusiva, le luci potranno essere aperte legittimamente (Albano, 1097). BibliografiaAlbano, Luci e vedute, in Enc.. giur., XIX, Roma, 1990; Bozza, La distanza delle costruzioni dalle vedute nel condominio, in Giust. civ. 1992, I, 2838; Chinello, Servitù di luci e vedute: limiti all'acquisto per usucapione, in Immob. & proprietà 2006, 78; Colletti, Sulla controversa natura di luci e vedute, in Arch. loc. e cond., 2005, 198; Figone, Luci e vedute, in Dig. civ., XI, Torino, 1994; Fiorani L. - Fiorani G., Il regime delle luci, delle vedute e delle relative servitù nel codice civile, Latina, 1982; Loiacono, Luci e vedute, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975; Magnani, Criteri distintivi tra luci e vedute, in Not. 1997, 413; Sestant, Brevi note in tema di distanza delle costruzioni dalle vedute dirette, in Giust. civ. 1994, I, 1091. |