Codice Civile art. 907 - Distanza delle costruzioni dalle vedute.

Alberto Celeste

Distanza delle costruzioni dalle vedute.

[I]. Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino [1027 ss.], il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell'articolo 905.

[II]. Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita.

[III]. Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.

Inquadramento

A chiusura della sezione VII dedicata alle vedute, la norma in commento disciplina l'ipotesi in cui si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, prevedendo che, in tal caso, il proprietario di quest'ultimo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma del precedente art. 905. Qualora la veduta diretta forma anche una veduta obliqua, allora la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita. Infine, si contempla la possibilità di appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le suddette vedute dirette o oblique, prescrivendo che essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia. Resta inteso che la distanza di tre metri dalle vedute prescritta dall'art. 907 per le nuove costruzioni, al pari di ogni altra distanza contemplata dalla legge per disciplinare i rapporti di vicinato, ha carattere assoluto, essendo stata predeterminata dal legislatore codicistico in via generale ed astratta, senza che al giudice sia consentito alcun margine di discrezionalità sia nella valutazione dell'esistenza della violazione della distanza, sia nella valutazione relativa alla dannosità e pericolosità della posizione della nuova costruzione rispetto alla veduta del vicino. In pratica, nel regolare il conflitto di interessi tra i proprietari dei fondi confinanti, se con gli artt. 905 e 906 si é inteso tutelare la privacy del vicino, imponendo una determinata distanza per l'apertura delle vedute, si è, per altro verso, con la norma in esame, ritenuto equo tutelare anche chi ha aperto la veduta, imponendo al vicino di non ostruire, se non ad una distanza tale da non impedire al titolare l'esercizio della veduta stessa.

Vedute iure proprietatis e iure servitutis

Al riguardo, si è avuto modo di puntualizzare che, in tema di distanza delle costruzioni dalle vedute, il preveniente deve attenersi, nella prosecuzione in altezza del proprio fabbricato, alla scelta operata originariamente, di modo che ogni parte dell'immobile risulti conforme al criterio di prevenzione adottato alla base di esso, ma poiché tale obbligo è in funzione dell'interesse del proprietario dell'edificio frontistante — il quale non può essere obbligato a costruire a distanze variabili, che tengano conto della linea spezzata del fronte dell'edificio preveniente — nell'eseguire la sopraelevazione il preveniente è tenuto a rispettare il diritto di veduta che eventualmente il prevenuto abbia frattanto acquisito, e quindi la distanza legale della parte dell'edificio eseguita in sopraelevazione dalla veduta (Cass. II, n. 21059/2009).

Inoltre, il diritto di proprietà di un immobile fronteggiante il fondo altrui non può attribuire, in assenza di titoli specifici (negoziali o originari, come l'usucapione), anche l'acquisto della servitù di veduta, ne consegue che una situazione di mero fatto — che si sia concretizzata nell'esistenza, a distanza inferiore di quella prescritta dall'art. 905, di aperture che consentano la inspectio e la prospectio nel fondo confinante — non è di per sé suscettibile di tutela in via petitoria, al fine di pretendere, da parte del vicino che edifichi sul proprio fondo, l'osservanza delle distanze previste dall'art. 907 (Cass. II, n. 11956/2009).

Nozione di costruzione

Come nell'ipotesi regolamentata dall'art. 873, è interessante evidenziare come si è, in concreto, interpretato il concetto di “costruzione”.

Ad avviso della dottrina, ai fini della disposizione in esame, il termine “fabbricare” non va inteso nel suo significato rigoroso e letterale di elevare manufatti in calce e mattoni, ma in quello di compiere qualsiasi opera che, indipendentemente dalla forma e dal materiale con cui è stata realizzata, determini, secondo l'apprezzamento insindacabile del giudice di merito, un ostacolo, di carattere stabile, all'esercizio della veduta (De Martino, in Comm. S. B., 1976, 410).

Secondo la giurisprudenza, poiché le vedute, ai sensi dell'art. 907, implicano il diritto ad una zona di rispetto che si estende per tre metri in direzione orizzontale dalla parte più esterna della veduta e per tre metri in verticale rispetto al piano corrispondente alla soglia della medesima, ogni costruzione che venga a ricadere in questa zona, ivi compresa una sopraelevazione del tetto, è illegale e va rimossa (Cass. II, n. 4389/2009).

In tema di violazione delle norme sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, ai sensi dell'art. 907, per costruzione deve intendersi l'opera destinata per la sua funzione a permanere nel tempo, e, tuttavia, il carattere di precarietà della medesima non esclude la sua idoneità a costituire turbativa del possesso della veduta come in precedenza esercitata dal titolare del diritto (Cass. II, n. 21501/2007).

Ai fini del rispetto della distanza delle costruzioni dalle vedute, costituisce costruzione qualsiasi opera, di qualsiasi natura, che si elevi stabilmente dal suolo e che ostacoli l'esercizio della veduta, intesa come possibilità sia di inspectio che di prospectio (Cass. II, n. 17802/2005).

Parimenti, rientra nell'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, stabilire se, nell'àmbito dei rapporti di vicinato, opere quali tettoie, tendaggi fissi, estensibili o detraibili, con intelaiatura fissata stabilmente al suolo, costituiscano costruzioni o a queste possano equipararsi e se impedendo o limitando — per la struttura, dimensione o conformazione — le vedute in appiombo esercitate dal vicino, debbano rispettare la distanza di tre metri prevista dall'art. 907 (Cass. II, n. 16687/2003).

Il divieto di costruire a distanza inferiore a tre metri da una preesistente veduta, stabilito dall'art. 907 a salvaguardia di tale diritto, riguarda in genere una “fabbrica” realizzata a distanza inferiore da quella prevista dalla legge, di qualsiasi materiale e forma, idonea ad ostacolare stabilmente l'esercizio della inspectio e della prospectio e, quindi, anche i muri di cinta, i quali - secondo la previsione di cui all'art. 878, comma 1 - sono soltanto esentati dal computo della distanza tra costruzioni su fondi finitimi di cui all'art. 873 e non anche dall'osservanza delle distanze stabilite a tutela delle vedute (Cass. II, n. 26263/2018: in applicazione dell'enunciato principio, si era cassata la sentenza impugnata nella parte in cui la corte di merito aveva negato che una vetrata fosse “di impedimento alle vedute attoree”, argomentando, fra l'altro, in base all'art. 878 che non è invece applicabile in materia di distanza dalle vedute; Cass. II, n. 12033/2011).

 

Misurazione della distanza

Problemi, su cui si sono confrontati i giudici di legittimità sono sorti riguardo alla misurazione in concreto della distanza contemplata nella norma de qua.

Si è, innanzitutto, premesso (Cass. II, n. 36122/2021; Cass. II, n. 4976/2000) che, in ipotesi di nuova costruzione, l'obbligo della distanza in verticale di 3 metri dalla soglia delle vedute esistenti nel fabbricato del vicino va osservato in ogni caso, senza alcuna distinzione tra costruzioni in appoggio e costruzioni in aderenza.

Ai fini dell'applicazione della disciplina di cui al comma 3 dell'art. 907, relativa alla distanza minima di tre metri in linea verticale da osservarsi nel caso dell'esistenza, nel muro del fabbricato altrui, di una veduta diretta, all'ipotesi della costruzione da realizzarsi in appoggio va equiparata quella della costruzione da realizzarsi in aderenza (Cass. II, n. 1832/2000).

La veduta laterale, che ricorre quando il confine del fondo del vicino ed il muro dal quale si esercita la veduta formano un angolo di 180 gradi, può essere esercitata, oltre che di lato, anche in basso, verticalmente, assumendo, così, le caratteristiche della veduta in appiombo, che deve, perciò, considerarsi espressamente ammessa dal codice civile che, proprio per specificare i limiti normali di tale veduta (e della veduta obliqua in basso), impone a colui che vuole appoggiare la nuova costruzione al muro da cui si esercita la veduta di arrestarsi almeno a tre metri sotto la soglia della medesima (art. 907); ricorre, conseguentemente, la servitù di veduta in appiombo tutte le volte in cui, per i maggiori contenuti della zona di rispetto prevista nel caso concreto, essa determini, per il fondo sul quale si esercita verticalmente, una restrizione dei poteri normalmente inerenti al diritto di proprietà delineati dalle norme sulle distanze, risolvendosi così in un peso imposto a tale fondo per il vantaggio (utilità) del fondo dal quale la veduta si esercita, come nel caso delle vedute esercitate anche verticalmente dai proprietari dei singoli piani di un edificio condominiale dalle rispettive aperture fino alla base dell'edificio (Cass. II, n. 1261/1997).

Veduta diretta anche obliqua e soltanto obliqua

Proseguendo la carrellata delle fattispecie contemplate dalla norma in commento, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare quanto segue.

In tema di distanze tra costruzioni, il disposto di cui all'art. 907, comma 2, postula, per la sua applicazione, l'esistenza di una veduta diretta, ovvero di una veduta diretta che formi anche una veduta obliqua, non anche solo obliqua, e, tantomeno, soltanto laterale (Cass. II, n. 12479/2002).

Dal necessario collegamento del comma 2 con il comma 1 dell'art. 907, a norma del quale è obbligatorio mantenere la distanza di tre metri anche dalla finestra da cui si esercita veduta obliqua quando da questa finestra si eserciti anche veduta diretta sullo stesso fondo, deriva che quando la veduta sia soltanto obliqua, il proprietario del fondo sul quale la veduta medesima si esercita non deve rispettare la distanza di tre metri ma solo quella di settantacinque centimetri dal più vicino lato della finestra medesima, ai sensi dell'art. 906 (Cass. II, n. 724/1995).

Fondi separati da una via pubblica o da una costruzione

Si è opportunamente rilevato (Cass. II, n. 24759/2019; Cass. II, n. 9297/1992) che l'obbligo di rispettare la distanza legale di metri tre prevista dall'art. 907, da parte del proprietario che intenda eseguire una costruzione su un suo fondo, nei confronti del vicino che sullo stesso fondo abbia acquistato il diritto di avere una veduta diretta, viene meno quando tra la veduta ed il fondo vi sia una via pubblica o anche un semplice “spiazzo pubblico”, e, perché ciò si verifichi, non è peraltro necessario che i due fondi si fronteggino e la via o lo spiazzo pubblico si trovino in mezzo ad essi, sì da farli risultare su fronti opposti, ma è sufficiente che i due fondi siano confinanti con la strada o lo spiazzo pubblico e si trovino in posizione tale da rientrare nella previsione di cui all'art. 907, che ricorre anche quando la strada o lo “spiazzo pubblico” delimitino ad angolo retto, da un lato, il fondo dal quale si gode la veduta e, dall'altro, il fondo sul quale si esegue la costruzione.

Al contempo, l'obbligo di costruire rispettando la distanza stabilita dall'art. 907 dalla veduta diretta del vicino sussiste anche se tra i due fondi vi è un'intercapedine o la costruzione di un terzo, che non ne pregiudica però l'esercizio, perché tale norma non richiede che i predetti fondi siano confinanti, e perché tale obbligo viene meno soltanto se tra di essi vi è una strada o piazza pubblica (Cass. II, n. 4526/1998).

Edificio in condominio

Peculiarità si registrano ogni qual volta si tratti di applicare la norma de qua alla realtà condominiale.

Invero, Il proprietario del piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture (nella specie, finestra e non balcone aggettante) la veduta appiombo, sicché può imporre al vicino di non costruire una veranda, seppur nei limiti del perimetro del sottostante balcone, a meno di tre metri (Cass. II, n. 7269/2014).

Ancora, il principio secondo cui in materia di condominio trovano applicazione le norme sulle distanze legali (nella specie, con riferimento al diritto di veduta) non ha carattere assoluto, non derogando l'art. 1102 al disposto dell'art. 907, giacché, dovendosi tenere conto in concreto della struttura dell'edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai singoli condomini, il giudice di merito deve verificare, nel singolo caso, se esse siano o meno compatibili con i diritti dei condomini (Cass. II, n. 22838/2005).

In altri termini, la regolamentazione generale sulle distanze è applicabile anche tra i condomini di un edificio condominiale soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la norma speciale in tema di condominio in ragione della sua specialità, per cui, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all'art. 1102, deve ritenersi legittima l'opera realizzata senza osservare le norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue sempre che venga rispettata la struttura dell'edificio condominiale (Cass. II, n. 15244/2018; Cass. II, n. 6546/2010).

Al contempo,  la realizzazione, in appoggio al muro perimetrale del fabbricato, di una tettoia insistente su di un resede in proprietà esclusiva di uno dei condomini deve rispettare la distanza di tre metri dalle vedute degli altri appartamenti, in applicazione dell'art. 907, non ponendosi alcuna questione di compatibilità tra la disciplina sulle distanze e quella sull'uso della cosa comune, ex art. 1102, giacché la tettoia insiste su un'area di proprietà esclusiva e non condominiale ed essendo i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite (Cass. II, n. 17216/2020).

Di recente, i magistrati di Piazza Cavour (Cass. II, n. 5732/2019) si sono espressi nel senso che il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell'edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino che, direttamente o indirettamente, pregiudichi tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l'art. 907 il bilanciamento tra l'interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, poiché luce ed aria assicurano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita.

Manufatto in appoggio

Si è precisato, in proposito, che il proprietario o condomino il quale realizzi un manufatto in appoggio o in aderenza al muro in cui si apre una veduta diretta od obliqua esercitata da un sovrastante balcone, e lo elevi sino alla soglia del balcone stesso, non è soggetto, rispetto a questo, alle distanze prescritte dall'art. 907, comma 3, nel caso in cui il manufatto sia contenuto nello spazio volumetrico delimitato dalla proiezione verticale verso il basso della soglia predetta, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del piano di sopra; infatti, tra le normali facoltà attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone è compresa quella di inspicere e prospicere in avanti e appiombo, ma non di sogguardare verso l'interno della sottostante proprietà coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela la pretesa di esercitare la veduta con modalità abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto (Cass. II, n. 13012/2000).

La nuova costruzione, che risulti in appoggio (o in aderenza) non al muro in cui si apre la preesistente veduta del vicino bensì ad un muro, a questo addossato, dello stesso proprietario della costruzione, non è soggetta all'osservanza della distanza verticale di tre metri dalla soglia della veduta prescritta dal comma 3 dell'art. 907, che trova applicazione solo nel caso di appoggio della costruzione al muro nel quale si trova la veduta, bensì deve rispettare da questa la distanza di tre metri in linea orizzontale misurata a norma dell'art. 905, come disposto dal comma 1 dell'art. 907, ove la nuova costruzione, anche se non raggiunga in altezza il livello della veduta, si elevi in linea verticale oltre la distanza di tre metri dalla soglia della veduta stessa (Cass. II, n. 11217/1991).

Bibliografia

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