Codice Civile art. 960 - Obblighi dell'enfiteuta.Obblighi dell'enfiteuta. [I]. L'enfiteuta ha l'obbligo di migliorare il fondo e di pagare al concedente un canone periodico [972] (1). Questo può consistere in una somma di danaro ovvero in una quantità fissa di prodotti naturali [961, 962]. [II]. L'enfiteuta non può pretendere remissione o riduzione del canone per qualunque insolita sterilità del fondo o perdita di frutti. (1) V. l. 22 luglio 1966, n. 607; l. 18 dicembre 1970, n. 1138; l. 14 giugno 1974, n. 270. InquadramentoLa norma in commento tratteggia i connotati salienti dell'istituto — peraltro, oggetto di successivi interventi da parte del legislatore speciale (l. n. 607/1966; l. n. 1138/1970; l. n. 270/1974) — sancendo che l'enfiteuta ha l'obbligo di migliorare il fondo e di pagare al concedente un canone periodico, e che questo può consistere in una somma di danaro o in una quantità fissa di prodotti naturali. Si aggiunge che lo stesso enfiteuta non può pretendere la remissione o la riduzione del canone per qualunque insolita sterilità del fondo o perdita di frutti. Pertanto, elemento essenziale dell'enfiteusi, anche dopo le modifiche introdotte in materia dalle suddette leggi speciali, e tanto nel caso in cui essa abbia ad oggetto un fondo rustico, quanto in quello in cui riguardi un fondo urbano (terreno da utilizzare per scopi non agricoli, o edificio già costruito), è l'imposizione a carico dell'enfiteuta dell'obbligo di migliorare la precedente consistenza del fondo, il quale, pure nel caso dell'enfiteusi urbana, non si identifica, né si esaurisce nel diverso obbligo di provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria. Obbligo di miglioramento del fondoIn ordine al primo obbligo, la giurisprudenza ha statuito che la disposizione del comma 1 dell'art. 975, a norma della quale “quando cessa l'enfiteusi, all'enfiteuta spetta il rimborso dei miglioramenti nella misura dell'aumento di valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti stessi, quali accertati al tempo della riconsegna”, ha lo scopo di favorire il miglioramento del fondo enfiteutico assicurando all'enfiteuta, in ogni caso di cessazione che comporti l'integrale ripristino del rapporto, i vantaggi economici delle opere eseguite ed incentivando, per tale via, l'interesse dello stesso all'adempimento puntuale dell'obbligo di miglioramento del fondo all'assunto con il contratto (art. 960) e si riferisce, quindi, solo ai miglioramenti che si collocano nell'ambito del rapporto di enfiteusi e che, essendo ancora esistenti alla data della riconsegna, si traducono in un valore economico direttamente o indirettamente riconducibile alla legittima attività dell'enfiteuta (o dei suoi danti causa) e non ai miglioramenti realizzati dopo la cessazione del rapporto, nel tempo in cui l'enfiteuta ha mantenuto di fatto il possesso materiale del bene, per i quali sono, invece, applicabili i criteri previsti dall'art. 1150 (Cass. II, n. 3038/1995). Al riguardo, si è puntualizzato che elemento essenziale dell'enfiteusi, anche dopo le modifiche introdotte in materia dalle l. n. 607/1966 e n. 1138/1970, e tanto nel caso in cui essa abbia ad oggetto un fondo rustico, quanto in quello in cui riguardi un fondo urbano - terreno da utilizzare per scopi non agricoli, o edificio già costruito - è l'imposizione a carico dell'enfiteuta dell'obbligo di migliorare la precedente consistenza del fondo, il quale, pure nel suddetto caso dell'enfiteusi urbana, non si identifica, né si esaurisce nel diverso obbligo di provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria, conseguendone che, sia nel caso di enfiteusi urbana sia rurale, le migliorie non si risolvono nella mera manutenzione, sia pure straordinaria (Cass. VI/II, n. 15822/2022). Ad ogni buon conto, non può considerarsi costitutivo di enfiteusi il contratto che, oltre a non prevedere l'obbligo di miglioramenti, rechi una destinazione del fondo oggettivamente incompatibile con ogni successiva miglioria (Cass. III, n. 10646/1994). È oggetto di discussione in dottrina la natura essenziale o meno dell'obbligo di migliorare il fondo in relazione al diritto di enfiteusi, e la risoluzione della problematica non è priva di conseguenze concrete, essendo essa collegata alla possibilità di derogare all'obbligo in questione in sede di costituzione del diritto di enfiteusi. Se, da un lato, l'art. 972 statuisce che il concedente può chiedere la devoluzione del fondo nell'ipotesi in cui l'enfiteuta lo deteriora o non adempie all'obbligo di migliorarlo, l'art. 957, comma 2, non lo ricomprende tra le disposizioni che non sono suscettibili di deroga convenzionale. Alcuni sostengono che l'obbligo di miglioramento costituisca un elemento naturale del diritto di enfiteusi, sulla base di quanto disposto dagli articoli menzionati, e le parti possono ben stipulare che l'enfiteuta non sia tenuto ai miglioramenti essendo l'art. 960 una norma puramente dispositiva (Trifone, in Comm. S. B., 1978, 30). Altri, invece, considerano essenziale l'obbligo di migliorare il fondo non elemento naturale poiché, al di là del dato storico e dei precedenti dell'istituto, non si reputa decisiva la considerazione che la norma sia inserita tra quelle inderogabili o meno dal legislatore; in questo ragionamento, si ritiene che la disciplina legislativa dell'obbligo in questione sia derogabile, ma non che sia sopprimibile, anche in considerazione della funzione assolta dall'enfiteusi (Cariota Ferrara, in Tr. Vas., 1951, 381). Obbligo di pagamento del canoneIn ordine al secondo obbligo, la norma de qua stabilisce che il canone può consistere, oltre che in una somma di denaro, anche in una quantità fissa di prodotti naturali, con ciò escludendo che lo stesso possa tradursi in una quota dei prodotti del fondo. In dottrina, dai lavori preparatori, si è rilevato che il motivo, per il quale non si è previsto che il canone in prodotti potesse essere fissato in misura variabile e proporzionale a quelli ricavati dal fondo, risiede nell'aver voluto lasciare all'enfiteuta piena libertà nella produzione e raccolta dei prodotti evitando ingerenze del concedente (Trifone, in Comm. S. B., 1978, 38). Non si esclude, però, che si possa trasformare il canone in denaro in natura e viceversa, a scelta del concedente o dell'enfiteuta, anche in dipendenza di una prevista trasformazione culturale del fondo o che si possa prefissare la quantità dei prodotti in misura diversa nei singoli anni. La giurisprudenza ha affermato, in proposito, che il possesso corrispondente all'esercizio del diritto di enfiteusi, come tale suscettibile di condurre all'acquisto per usucapione di tale diritto, postula l'adempimento da parte del possessore dell'obbligazione relativa al pagamento del canone, costituente requisito necessario, anche se non sufficiente, perché un rapporto di enfiteusi possa stabilirsi anche de facto (Cass. II, n. 12964/1992). BibliografiaAlbano - Greco - Pescatore, Della proprietà, in Commentario al codice civile, III, Torino 1968; Alessi, Enfiteusi (diritto civile), in Enc. giur., XII, Roma 1989; Cattedra, L'enfiteusi, manuale teorico-pratico, Firenze, 1983; Marinelli, Sulla prevalenza dell'affrancazione sulla devoluzione del fondo enfiteutico, in Giust. civ. 1985, I, 2766; Musolino, Enfiteusi e affrancazione del bene, in Riv. notar. 2001, 154; Orlando Cascio, Enfiteusi, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965; Palermo, Contributo allo studio dell'enfiteusi (dal codice civile alle leggi di riforma), in Riv. notar. 1982, 804; Tomassetti, Enfiteusi, in Enc. giur., VI, Milano, 2007; Vitucci, Enfiteusi, in Dig. civ., VII, Torino, 1991. |