Codice Civile art. 1022 - Abitazione.

Alberto Celeste

Abitazione.

[I]. Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia [540 2].

Inquadramento

Dopo l'uso, disciplinato nella disposizione precedente, la norma in commento contempla l'abitazione, stabilendo che chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia (l'àmbito della “famiglia” viene circoscritto nella disposizione successiva). Il diritto di abitazione è un diritto reale di godimento che, cadendo sulla cosa altrui, rappresenta una limitazione del diritto del proprietario, il quale può essere tenuto al riconoscerlo, in quanto sussista un titolo, consacrato in un atto pubblico o in una scrittura privata, che possa spiegare efficacia nei suoi confronti, sia per essere stato da lui negozialmente predisposto, sia che rappresenti concessione, fatta per sé o a favore di altri, dal suo dante causa. Il diritto di abitazione, di cui all'art. 1022, si estende sia a tutto ciò che concorre ad integrare la casa che ne è oggetto, sotto forma di accessorio o pertinenza (balconi, verande, giardino, rimessa, ecc.), giacché l'abitazione non è costituita soltanto dai vani abitabili, ma anche da tutto quanto ne rappresenta la parte accessoria, sia, in virtù del combinato disposto degli artt. 983 e 1026, alle accessioni.

Limite del bisogno personale e familiare

In proposito, la dottrina ha chiarito che l'abitazione può riferirsi solo ad una casa idonea a fornire un alloggio, ai relativi accessori, pertinenze ed accessioni, salvo diversa determinazione pattizia: dunque, ad un bene naturalmente infruttifero. Per quanto concerne gli accessori o dipendenze della casa, come cantine, rimesse, giardini, depositi, stalle, ecc., bisogna in primo luogo badare al titolo ed accertare se il loro uso sia necessario ai bisogni del titolare (De Martino, in Comm. S.B. 1978, 354). Non è possibile che l'habitator utilizzi la casa per l'esercizio di attività economiche (professionale, industriale, commerciale, ecc.), né che l'edificio serva come sede di una persona giuridica; il che non dovrebbe, tuttavia, significare che al titolare sia interdetta qualsiasi attività professionale nella casa che forma oggetto del suo diritto, ma soltanto quella che presupponga l'instaurarsi di un legame strumentale tra tale attività e l'immobile, che risulti a ciò specificamente destinato (Bigliazzi Geri, in Tr. C. M. 1979, 313).

Al riguardo, i giudici di legittimità (Cass. II, n. 14687/2014) hanno precisato che, in tema di diritto di abitazione, il limite sancito dall'art. 1022 riguardo ai bisogni del titolare e della sua famiglia non deve essere inteso in senso quantitativo, che imporrebbe l'ardua determinazione della parte di casa necessaria a soddisfare tali bisogni, ma solo come divieto di utilizzo della casa in altro modo che per l'abitazione diretta dell'habitator e dei suoi familiari.

Peraltro, il diritto di abitazione, che la legge riserva al coniuge superstite (art. 540, comma 2), può avere ad oggetto soltanto l'immobile concretamente utilizzato prima della morte del de cuius come residenza familiare; il suddetto diritto, pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento, autonomo rispetto alla sede della vita domestica, ancorché ricompreso nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare (Cass. II, n. 4088/2012 ; in senso conforme, v., da ultimo, Cass. II, n. 12042/2020); nella stessa lunghezza d'onda, si è puntualizzato (Cass. II, n. 7128/2022) che il diritto reale di abitazione, riservato al coniuge superstite dall'art. 540, comma 2, ha ad oggetto la sola “casa adibita a residenza familiare”, e cioè l'immobile in cui i coniugi abitavano insieme stabilmente prima della morte del de cuius, quale luogo principale di esercizio della vita matrimoniale; ne consegue che tale diritto non può comprendere due (o più) residenze alternative, ovvero due (o più) immobili di cui i coniugi avessero la disponibilità e che usassero in via temporanea, postulando la nozione di casa adibita a residenza familiare comunque l'individuazione di un solo alloggio costituente, se non l'unico, quanto meno il prevalente centro di aggregazione degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia.

Differenze dall'usufrutto, dal comodato e dalla locazione

I giudici di legittimità hanno cercato di perimetrare il diritto di abitazione, operando i doverosi distinguo riguardo ad altre figure apparentemente simili.

In quest'ottica, si è affermato che l'usufrutto è costituito dal diritto al godimento della cosa nella sua piena capacità produttiva, mentre sia l'uso che l'abitazione sono caratterizzati dal potere di godimento limitato ai bisogni del titolare e della sua famiglia, di guisa che l'usufruttuario fa propri tutti i frutti che la cosa produce e degli uni e dell'altra può anche fare un'utilizzazione indiretta e non personale, laddove il titolare dei diritti di uso o di abitazione può utilizzare la cosa che forma oggetto del suo diritto solo direttamente e nei limiti dell'utilizzazione relativa ai bisogni suoi e delle sua famiglia; la distinzione fra uso ed abitazione è di carattere qualitativo, riferendosi il secondo diritto a quella speciale forma di uso che, avendo per oggetto un edificio o porzione di esso, soddisfa l'esigenza di un alloggio per il titolare e per la sua famiglia (Cass. II, n. 637/1960, aggiungendo che l'accertamento sulla sussistenza dell'usufrutto o del semplice diritto di uso o di abitazione costituisce un apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se congruamente motivato).

Inoltre, è configurabile il comodato di una casa per consentire al comodatario di alloggiarvi per tutta la vita senza che perciò debba ravvisarsi un contratto costitutivo di un diritto di abitazione, con conseguente necessità di forma scritta ad substantiam (Cass. III, n. 8548/2008; Cass. III, n. 9909/1998).

Modi di costituzione

Resta inteso che il diritto di abitazione, che ha le sue origini nell'usus domus del diritto romano classico, ha natura reale e quindi può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta ad substantiam la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata, ai sensi dell'art. 1350, n. 4) (Cass. II, n. 4562/1990).

Natura personale

Peraltro, il diritto di abitazione, a differenza dell'usufrutto e del diritto di uso, ha carattere talmente particolare e personale da non potere né essere ceduto ad altri, nemmeno quanto all'esercizio, né avere attuazione diversa da quella dell'abitazione personale dell'immobile da parte del relativo titolare (Cass. II, n. 3974/1984).

Tutela giudiziaria nei confronti del possessore

Sul versante processuale, la giurisprudenza ha statuito che i principi probatori che regolano la rivendicazione della proprietà nel senso che il possessore convenuto non è tenuto a dedurre l'esistenza di un titolo giustificativo del possesso, spettando al rivendicante di fornire la prova rigorosa del preteso diritto dominicale, trovano applicazione anche nell'analoga ipotesi di azione proposta dal titolare di un diritto reale di godimento, come il diritto di abitazione di cui all'art. 1022, il quale, pertanto, per conseguire il rilascio del bene dal possessore, deve dimostrare l'esistenza e l'estensione del proprio diritto, anche se il convenuto si sia limitato a difendersi con la semplice affermazione possideo quia possideo (Cass. II, n. 768/1979).

Bibliografia

Caterina, Usufrutto e proprietà temporanea, in Riv. dir. civ. 1999, II, 715; De Cupis, Usufrutto, in Enc. dir., XLV, Milano, 1992; Di Bitonto, Usufrutto, in Enc. dir., XVI, Milano, 2008; Mazzon, Usufrutto, uso e abitazione, Padova, 2010; Musolino, L'usufrutto, Bologna, 2011; Plaia, Usufrutto, uso, abitazione, in Dig. civ., XIX, Torino, 1999; Ruscello, Origini ed evoluzione storica dell'usufrutto legale dei genitori, in Dir. fam. 2009, 1329.

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