Codice Civile art. 1122 bis - Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili (1).Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili (1). [I]. Le installazioni di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione per le singole utenze sono realizzati in modo da recare il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di proprietà individuale, preservando in ogni caso il decoro architettonico dell'edificio, salvo quanto previsto in materia di reti pubbliche. [II]. È consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato. [III]. Qualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi. L'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma dell'articolo 1136, adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio e, ai fini dell'installazione degli impianti di cui al secondo comma, provvede, a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto. L'assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali. [IV]. L'accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale deve essere consentito ove necessario per la progettazione e per l'esecuzione delle opere. Non sono soggetti ad autorizzazione gli impianti destinati alle singole unità abitative. (1) Articolo inserito dall'art. 7, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. InquadramentoGli artt. 1120 e 1121 recano la disciplina delle innovazioni, con riguardo alle necessaria maggioranza assembleari per la loro approvazione, agli scopi ed ai limiti propri di esse ed a talune finalità di intervento normativamente favorite. L'art. 1122 regolamenta, invece, le opere all'interno delle unità immobiliari di proprietà esclusiva. L'art. 1122-bis contiene, infine, la previsione delle modalità realizzative degli impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili. Nozione di innovazioneLa nozione di innovazione ex art. 1120 va tenuta distinta da quelle di modificazione della cosa comune ex art. 1102. Queste due norme, in realtà, non sono sovrapponibili (come spesso la pratica confonde), avendo presupposti ed ambiti di operatività diversi. Le innovazioni, di cui all'art. 1120, non corrispondono alle modificazioni, cui si riferisce l'art. 1102 atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 (Cass. II, n. 18052/2012). In realtà, tra le nozioni di modificazione della cosa comune e di innovazione (e, pertanto, tra le sfere di operatività delle norme di cui all'art. 1102 e dell'art. 1120, l'una impeditiva degli usi che comunque alterano la destinazione o pregiudicano il pari godimento, l'altra soltanto degli usi che addirittura rendono inservibile la parte comune al godimento di qualche singolo) corre una differenza che è di carattere innanzitutto soggettivo, giacché, fermo il tratto comune dell'elemento obiettivo consistente nella trasformazione della “res” o nel mutamento della destinazione, quel che nell'art. 1120 assume rilevanza (mentre è sconosciuto nell'art. 1102) è l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata dei parteciparti, espresso da una deliberazione dell'assemblea. Si sostiene, così, in dottrina che “in materia di innovazioni si esplica il più ampio potere riconosciuto all'assemblea relativamente alla gestione dinamica dei beni comuni” (Corona, 2001, 194). Non sembra, allora, da condividersi l'immagine che descrive la relazione corrente tra il concetto di innovazione e quello di modificazione in termini di continenza (così Vincenti, in Triola, 267), delineandosi essa, piuttosto, in termini di “incontinenza”: “innovazione” e “modifica d'uso della cosa comune” sono circonferenze non concentriche, ma esterne. Le due nozioni sono, in pratica, separate non tanto sotto il profilo effettuale economico dell'imputazione dei relativi costi, quanto sotto quello della preminenza del metodo collegiale e del principio maggioritario, in ragione dell'interesse alla collaborazione tra i partecipanti, ovvero dell'interesse egoistico del singolo comunista. Si consideri, peraltro, come la giurisprudenza (ad esempio, Cass. II, n. 14107/2012) abbia evolutivamente sostenuto che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene (così poi anche Cass. VI, n. 2500/2013; Cass. VI, n. 1850/2018). Le innovazioni vietateNulla può la maggioranza riguardo a modificazioni che rechino pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza del fabbricato, che alterino il decoro architettonico, che rendano inservibili talune parti comuni all'uso anche di un solo condomino, o che, comunque, non assicurino un miglioramento del godimento o un maggior rendimento delle cose comuni per tutti i partecipanti. In realtà, l'assemblea può deliberare anche l'esecuzione di opere da cui derivi un uso più comodo o più redditizio della parte comune solo per taluni dei partecipanti, purché gli altri possano continuare a goderne secondo la primitiva destinazione (L. Salis, Il condominio negli edifici, cit., 76). Per la legittimità dell'innovazione, ai sensi dell'art. 1120, comma 4, è irrilevante che l'autorità amministrativa abbia autorizzato l'opera, in quanto il rapporto tra la pubblica autorità e il condomino esecutore dell'opera non può incidere negativamente sulle posizioni soggettive degli altri condomini (Cass. II, n. 20985/2014). L'art. 1120, nel prescrivere che le innovazioni siano approvate dai condomini con la maggioranza dell'art. 1136, comma 5, considera, come visto, l'ipotesi delle innovazioni che comportano oneri di spesa da ripartire tra tutti i condomini. Se invece la spesa dell'innovazione viene assunta interamente a suo carico da un singolo condomino, torna in gioco la norma generale dell'art. 1102: sicché, rispettato il limite della destinazione della cosa comune e la condizione del pari uso garantito agli altri partecipanti, il condomino può, facendo l'esempio più diffuso, installare a proprie spese nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, fatto sempre salvo il diritto degli altri condomini di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo alle spese di esecuzione dell'impianto ed a quelle di manutenzione dell'opera (Cass. II, n. 20713/2017; Cass. II, n. 25872/2010). Ai fini della legittimità dell'intervento innovativo approvato ai sensi dell'art. 2 l. n. 13/1989, è sufficiente, peraltro, che lo stesso produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione (Cass. VI, n. 6129/2017). In effetti, all'impianto di ascensore si addice particolarmente la previsione dell'art. 1121. Questa norma pone un ulteriore limite alle innovazioni, allorché esse abbiano carattere voluttuario, siano, cioè, prive di utilità, o comportino spese molto gravose in rapporto alle condizioni ed all'importanza dell'edificio: le innovazioni, in tal caso, sono ammesse soltanto ove consistano in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata e sia possibile, quindi, esonerare da ogni contribuzione alla spesa i condomini che non intendano trarne vantaggio; se l'utilizzazione separata non è possibile, la maggioranza dei condomini può deliberare ugualmente l'innovazione gravosa o voluttuaria, ma deve sopportarne integralmente la spesa. La voluttuarietà o la gravosità di un'innovazione vanno intese in senso oggettivo, riferite all'intero edificio ed all'importo della quota di spesa dovuta dal singolo condomino in base alla sua quota di proprietà; l'onere della prova di tali estremi grava sul condomino interessato (Cass. II, n. 10850/2020; Cass. II, n. 20713/2017; Cass. II, n. 5028/1996; in dottrina, Branca, in Comm. S. B., 1982, 438-439). L'art. 1120, tra l'altro, vieta le innovazioni che alterino il decoro architettonico del fabbricato. Parimenti, l'art. 1127, comma 3, prevede che i condomini possano opporsi alla sopraelevazione realizzata dal proprietario dell'ultimo piano, se essa pregiudichi l'aspetto architettonico dell'edificio. Secondo la giurisprudenza, per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 con riguardo alle innovazioni sulle cose comuni, deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata ed armonica fisionomia. L'alterazione di tale decoro, in questa prospettiva, può perciò correlarsi alla realizzazione di opere che immutano l'originario aspetto sia pure soltanto di singoli elementi o punti del fabbricato, allorché la modifica degli stessi si rifletta sull'insieme dell'aspetto dello stabile. Questa nozione di “decoro architettonico” non viene intesa come sinonimica di quella di “aspetto architettonico” adoperata in tema di diritto di sopraelevazione. In particolare, con riferimento all'aspetto architettonico, secondo quanto disposto per le sopraelevazioni dall'art. 1127, comma 3, verrebbe in rilievo la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell'edificio, di modo che l'adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile diverso da quello della parte preesistente comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell'aspetto architettonico complessivo, percepibile da qualunque osservatore (Cass. VI, n. 1235/2018; Cass. VI, n. 16258/2017;Cass. II, n. 10048/2013; Cass. II, n. 1286/2010). Il regolamento di condominio può legittimamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120, estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva (Cass. II, n. 1748/2013). Una volta riscontrato un danno estetico di particolare rilevanza, può ritenersi implicito, senza necessità di una specifica indagine, il danno economico arrecato all'edificio condominiale (Cass. II, n. 5417/2002). Il decoro architettonico, considerato dall'art. 1120, configura evidentemente un limite all'utilizzazione delle cose comuni in quanto esplicazione di un uso normale del diritto di proprietà dei condomini. Si dice che il decoro architettonico è un bene al quale sono direttamente interessati tutti i condomini, in quanto concorre a determinare il valore sia della proprietà individuale, sia di quella collettiva delle parti comuni. Perciò l'esigenza di tutela del decoro architettonico trova fondamento, più che nella comproprietà di talune parti dell'edificio, nella proprietà separata di una unità immobiliare che risentirebbe danno dall'esecuzione di opere che compromettessero l'euritmia del fabbricato (Salis, in Tr. Vas., 1950, 141). Il collegamento appena delineato tra decoro architettonico dell'edificio e valore delle proprietà individuali induce allora a ritenere imprescrittibile il diritto di riduzione in pristino spettante al condomino. Il potere di reazione attribuito a ciascun partecipante avverso le innovazioni lesive è direttamente correlato all'esercizio dell'interesse reale del proprietario di piano o porzione di piano ad utilizzare le parti comuni dell'edificio. L'imprescrittibilità dell'azione del condomino a tutela del decoro architettonico dell'edificio, quale applicazione del principio per cui in facultativis non datur praescriptio, cede, tuttavia, davanti alla prova dell'usucapione del diritto a mantenere la situazione lesiva (Cass. II, n. 7727/2000). Più in generale, l'esecuzione, su di una parte comune dell'edificio condominiale, di opere od innovazioni non consentite, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1120, dà diritto agli altri condomini di ottenere la rimessione in pristino e ciò soprattutto quando la innovazione sia tale da recare pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza del fabbricato. Nell'identificazione del limite all'immutazione della cosa comune, disciplinato dall'art. 1120, comma 4, il concetto di inservibilità della stessa, a sua volta, non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione — coessenziale al concetto di innovazione — ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della «res communis» secondo la sua naturale fruibilità (Cass. II, n. 15308/2011). Atteso che il concetto di «inservibilità» va interpretato come sensibile menomazione dell'utilità che il condomino ritraeva secondo l'originaria costituzione della comunione, devono ritenersi consentite quelle innovazioni che, recando utilità a tutti i condomini tranne uno, comportino per quest'ultimo un pregiudizio limitato e che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità (Cass. II, n. 12805/2019). La delibera dell'assemblea che privi il singolo partecipante dei propri diritti individuali su una parte comune dell'edificio, rendendola inservibile all'uso e al godimento dello stesso, integra un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al condòmino medesimo, il quale ha facoltà di chiedere la condanna al risarcimento del danno del condominio (Cass. II, n. 23076/2018). Le innovazioni favoriteRiprendendo talvolta discipline già contenute in una disorganica preesistente legislazione speciale, con gli artt. 1120, commi 2 e 3, e 1122-bis sono state favorite, in particolare quanto all'individuazione dei quorum deliberativi occorrenti ed alle modalità esecutive coinvolgenti sia beni condominiali sia porzioni esclusive, le installazioni su parti comuni di opere ed impianti (centralizzati e non centralizzati) relativi a sicurezza e salubrità, eliminazione delle barriere architettoniche (qui, peraltro, innalzandosi purtroppo la maggioranza necessaria rispetto a quella prima prevista dall'art. 2, comma 1, l. n. 13/1989), contenimento del consumo energetico e produzione di energia da fonti rinnovabili, ricezione radiotelevisiva e di flussi informativi. Risultano ribadite le costanti linee guida del rispetto della destinazione delle cose comuni, della tutela del diritto d'uso di ciascun condomino, del minor pregiudizio per le parti condominiali o individuali, della salvaguardia della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico dell'edificio. È importante rimarcare come, per l'esecuzione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, sia prevista la facoltà di costituire a titolo oneroso in favore di terzi un diritto reale o personale di godimento sul lastrico solare (o altra superficie comune). Nulla però cambiare rispetto all'art. 1108, comma 3, che si ritiene pacificamente applicabile al condominio in virtù del rinvio operato dall'art. 1139, e secondo il quale non spetta all'assemblea, né tanto meno ai singoli condomini (semmai nei limiti della loro quota, ex art. 1103) la facoltà di cedere ad un soggetto estraneo al condominio l'uso di una cosa comune, e perciò la costituzione del diritto reale o di una locazione ultranovennale impongono il consenso di tutti i partecipanti. Il comma 3 dell'art. 1122-bis stabilisce che il condomino che debba necessariamente modificare le parti comuni, allo scopo di procedere all'istallazione di impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva o di produzione di energia, debba darne comunicazione all'amministratore, potendo, poi, l'assemblea, con la severa maggioranza dell'art. 1136, comma 5, prescrivere modalità alternative, imporre cautele a salvaguardia dell'edificio o richiedere garanzie. E' stato affermato in giurisprudenza che l'installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche, rientra fra le opere di cui all'art. 27, comma 1, l. n. 118/1971 ed all'art. 1, comma 1, d.P.R. n. 384/1978 (decreto abrogato dall’art. 32 d.P.R. n. 503/1996) e, pertanto, costituisce un'innovazione che, ex art. 2, commi 1 e 2, l n. 13/1989, va approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, commi 2 e 3, c.c., ovvero, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, che può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap, con l'osservanza dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c., secondo quanto prescritto dal comma 3 del citato art. 2; peraltro, la verifica della sussistenza di tali ultimi requisiti deve tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all'intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione (Cass. VI, n. 6129/2017). Opere su parti di proprietà esclusivaLa riscrittura dell'art. 1122 ha uniformato i criteri di offensività delle opere su parti di proprietà o uso individuale a quelli delle opere su cose comuni contemplati dall'art. 1120: dal generico limite del danno alle parti condominiali (che, tuttavia, già veniva inteso come pregiudizio non soltanto materiale, ma anche funzionale, incidente, cioè, sulle utilità ritraibili dai beni ex art. 1117) si è passati all'espressa estensione degli indici della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico dell'edificio. La norma delinea, così, un limite legale intrinseco alla proprietà delle singole unità immobiliari, e si conclude con un obbligo imperfetto di dare preventiva notizia “in ogni caso” (e dunque, apparentemente, pure di quegli interventi sulle parti individuali che non arrechino alcuna potenzialità di pregiudizio all'edificio) all'amministratore, perché ne riferisca in assemblea. Tale notizia deve dirsi volta a che l'amministratore possa determinarsi, nel caso, a sperimentare un'azione per la rimozione delle opere e la riduzione in pristino, rientrante tra gli atti conservativi da compiere per preservare l'integrità delle cose comuni, e non certo al fine di ottenere un'autorizzazione dell'assemblea all'esecuzione dei lavori interni, in quanto un simile condizionamento preventivo sull'esercizio delle facoltà dominicali relative alla proprietà esclusive, non essendo direttamente stabilito nel riformato art. 1122, può tuttora fondarsi soltanto sull'esistenza di un'apposita convenzione fra i condomini. In tal senso si spiega pure il già citato comma 4 dell'art. 1122-bis, il quale, dopo aver affermato che l'accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale deve essere consentito se necessario per la realizzazione degli impianti radiotelevisivi e di produzione di energia non centralizzati o destinati a singoli appartamenti (obbligo, peraltro, già derivante dall'art. 843), nega la necessità di qualsivoglia autorizzazione per l'esecuzione delle relative opere. L'art. 1122, comma 1, vieta a ciascun condomino, nell'unità immobiliare di sua proprietà, l'esecuzione di opere che elidano o riducano in modo apprezzabile le utilità conseguibili dalla cosa comune da parte degli altri condomini o determinino pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari, dovendosi aver riguardo alla destinazione funzionale del bene comune ed alle utilità che possano trarne le restanti unità di proprietà esclusiva (Cass. II, n. 30307/2022). Si riconosce in ipotesi di realizzazione nei locali di proprietà individuale di lavori lesivi del decoro dell'edificio condominiale, il diritto di ciascun condomino a chiedere ed ottenere, in via di adempimento in forma specifica dell'obbligo di non fare, la demolizione delle opere illegittimamente eseguite, a nulla valendo un eventuale consenso prestato dell'assemblea dei condomini o dal regolamento di condominio (Cass. II, n. 10704/1994). Nel giudizio promosso per conseguire la rimozione di una costruzione, illegittimamente realizzata in un'unità immobiliare in danno delle parti comuni di un edificio condominiale, sono litisconsorti necessari tutti i comproprietari di tale unità, indipendentemente dal fatto che solo uno od alcuni di essi ne siano stati gli autori materiali (Cass. II, n. 4685/2018). BibliografiaAA. VV., Il nuovo condominio, a cura di Triola, Torino, 2013; Basile, Regime condominiale ed esigenze abitative, Milano, 1979; Caruso, Gli obblighi dei condomini, in Il Condominio a cura di C.M. Bianca, Torino, 2007; Celeste - Salciarini L., Il regolamento di condominio e le tabelle millesimali, Milano, 2006; Celeste - Scarpa, La Riforma del Condominio, Milano, 2012; Colonna, Sulla natura delle obbligazioni del condominio. in Foro it. 1997, I, 872; Corona, Il regime di ripartizione delle spese nel condominio, in Studi economico-giuridici, Milano, 1969; Corona, Contributo alla teoria del condominio negli edifici, Milano, 1974; Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960; Scarpa, “Condominio (Riforma del)”, Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento VIII, Torino, 2013; Terzago G. - Terzago P., La ripartizione delle spese nel condominio, Milano, 1994; Triola, Il condominio, Milano, 2007. |