Codice Civile art. 1123 - Ripartizione delle spese.

Antonio Scarpa

Ripartizione delle spese.

[I]. Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione [1104, 1118 2; 68 ss. att.].

[II]. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.

[III]. Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità [1124-1126; 63 att.].

Inquadramento

L'art. 1123, rubricato “Ripartizione delle spese”, e rimasto immutato dopo la Riforma del 2012, è norma rivelatrice della complessa accezione dell'istituto condominiale fatta propria dal Codice Civile.

Secondo quanto stabilito nel comma 1° del medesimo art. 1123, le spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti e dei servizi comuni sono distribuite tra i partecipanti in proporzione al valore economico delle rispettive unità abitative. L'art. 1118, comma 3, specifica che a tale obbligo di contribuzione alle spese per la conservazione delle cose condominiali il singolo non può sottrarsi nemmeno modificando la destinazione d'uso della propria porzione esclusiva. Queste previsioni vengono completate dall'art. 68 disp. att. che, per gli effetti indicati dagli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136, assegna al regolamento di condominio il compito di precisare in apposita tabella il valore proporzionale, espresso in millesimi, di ciascuna unità immobiliare.

I commi 2 e 3 dell'art. 1123, invece, avuto riguardo a cose o impianti destinati a servire i condomini in misura diversa, ovvero solo una parte dell'intero fabbricato, addossano il carico delle spese ai soli condomini che ne facciano uso o ne traggano utilità.

I rapporti tra i tre commi dell'art. 1123

È dubbia la possibilità di individuare una relazione di regola ed eccezione nello schema delineato dai tre commi dell'art. 1123. Peraltro, l'articolo in esame ricorre inequivocamente a contrapposti criteri di riparto delle spese, a seconda delle caratteristiche e della destinazione delle cose analizzate: l'uno, più elementare e di intuitiva applicazione, legato al valore della quota e quindi all'appartenenza della res; l'altro, più evoluto, legato all'uso potenziale, e quindi avente causa nell'interesse alla res.

In ogni caso, mentre nella comunione il concorso dei partecipanti negli oneri in proporzione alla rispettive quote (art. 1101, comma 2) risulta idoneo ad eliminare ogni conflitto, nel condominio la misura del godimento delle cose comuni dipende dal godimento delle proprietà individuali, di tal che è impossibile calcolare precisamente la relativa quantità e il Codice Civile finisce per adottare un criterio empirico, proporzionando presuntivamente l'entità del servizio reso al singolo dalle parti comuni ai millesimi dell'unità immobiliare esclusiva (Caruso, Gli obblighi dei condomini, in Il Condominio, a cura di C.M. Bianca, Torino, 2007, 316). Così, mentre la situazione di comunione è caratterizzata da una presunzione di eguaglianza delle quote di ciascuno, la disciplina del condominio evita un esplicito riferimento alla nozione di “quota” (intesa come “misura dell'appartenenza”) con riguardo alla comproprietà dei beni elencati nell'art. 1117, ed utilizza, piuttosto, l'indice del valore dell'unità immobiliare che appartiene al condomino. Rimane pressoché impossibile prescegliere, nell'ambito delle variegate posizioni dottrinali, un'enunciazione sintetica e definitoria della ratio sottesa all'art. 1123, orientandosi tra meccanismi di imputazione delle spese che prestano attenzione alla titolarità della quota, e meccanismi inclini alla funzione o alla natura delle spese, senza che vi sia concordia neppure sulla scala di priorità presunta nel sistema del Codice.

La giurisprudenza è pervenuta a configurare un assetto interpretativo dell'art. 1123 sufficientemente stabile. Ad esempio, Cass. n. 64/2013, chiarisce come le parti dell'edificio — muri e tetti — (art. 1117, n. 1) ovvero le opere ed i manufatti — fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3) — deputati a preservare l'edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell'art. 1123, non rientrando, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all'art. 1123, commi 2 e 3 (si veda più di recente Cass. IV, n. 24927/2019).

Così, la realizzazione di un "cappotto termico" sulle superfici esterne dell'edificio condominiale non rientra tra le innovazioni voluttuarie o gravose di cui all'art. 1121, né configura una cosa che è destinata a servire i condomini in misura diversa, oppure solo una parte dell'intero fabbricato ma, in quanto finalizzata alla coibentazione dell'edificio condominiale ed al miglioramento della sua efficienza energetica, va ricompresa tra le opere destinate al vantaggio comune dei proprietari, inclusi quelli dei locali terranei; ne consegue che, ove la sua realizzazione sia deliberata dall'assemblea, trova applicazione l'art. 1123, comma 1, per il quale le spese sono sostenute da tutti i condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (Cass. II, n. 10371/2021).

I criteri stabiliti dall'art. 1123 c.c. possono essere derogati, come prevede la stessa norma, da una convenzione sottoscritta da tutti i condomini, oppure da una deliberazione presa dagli stessi in sede assembleare con l'unani mità dei consensi dei partecipanti. Una clausola del regolamento contrattuale di condominio può anche esonerare una singola unità immobiliare, in tutto o in parte, dal contributo nelle spese di conservazione e di manutenzione (Cass. II, n. 16321/2016). 

La convenzione sulla ripartizione delle spese in deroga ai criteri legali, ai sensi dell'art. 1123, comma 1, deve essere approvata da tutti i condomini ed ha efficacia obbligatoria soltanto tra le parti, non vincolando gli aventi causa da queste ultime (Cass. II, n. 21086/2022; Cass. VI-2, n. 36386/2022).

Su rapporti fra tabelle millesimali  ex artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c. e "diversa convenzione" di cui all'art. 1123, comma 1, ultima parte, c.c., si veda Cass. VI, n. 1848/2018

Sui rapporti tra convenzione relativa al pagamento delle spese condominiali e Codice del Consumo, Cass. VI-2, n. 20007/2022.

L'art. 63, comma 2, disp. att., c.c., configura, in capo ai condomini che abbiano regolarmente pagato la loro quota di contribuzione alle spese condominiali, ed in favore del terzo che sia rimasto creditore (per non avergli l'amministratore versato l'importo necessario a soddisfarne le pretese), un'obbligazione sussidiaria ed eventuale, favorita dal beneficium excussionis, avente ad oggetto non l'intera prestazione imputabile al condominio, quanto unicamente le somme dovute dai morosi. Non è stata, quindi, affatto superata, quanto, semmai, data per scontata, dalla l. n. 220/2012, la ricostruzione operata da Cass. S.U., n. 9148/2008, secondo la quale non avendo la solidarietà tra i condomini per i debiti nei confronti dei terzi alcun fondamento normativo, e prevalendo, anzi, al riguardo l'intrinseca parziarietà dell'obbligazione, il creditore deve procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli condomini soltanto nei limiti della rispettiva quota di ciascuno e giammai per l'intero (Cass. II, n. 13505/2019; Cass. VI, n. 14530/2017; Cass. VI, n. 1851/2018). Si è affermato (in fattispecie però regolata dalla disciplina anteriore a quella introdotta dalla l. n. 220/2012) che il condomino che abbia pagato l'intero corrispettivo di un contratto d'appalto concluso dall'amministratore non ha diritto di regresso verso gli altri condomini, né può avvalersi della surrogazione legale ex art. 1203, n. 3 (Cass. II, 199/2017; Cass. VI, n. 20073/2017). 

L'obbligo del singolo partecipante di sostenere le spese condominiali, da un lato, e le vicende debitorie del condominio verso i suoi appaltatori o fornitori, dall'altro, restano del tutto indipendenti, il primo fondando sulle norme che regolano il regime di contribuzione alle spese per le cose comuni (artt. 1118 e 1123 ss. c.c.), le seconde trovando causa nel rapporto contrattuale col terzo, approvato dall'assemblea e concluso dall'amministratore in rappresentanza dei partecipanti al condominio (Cass. II, n. 10371/2021). 

In caso di azione proposta da soggetti terzi rispetto al condominio e volta all'adempimento delle obbligazioni contratte dall'amministratore per conto del condominio medesimo, passivamente legittimati sono i proprietari effettivi delle unità immobiliari e non anche coloro che possano apparire tali, poggiando la responsabilità pro quota dei condomini sul collegamento tra il debito e la titolarità del diritto reale condominiale, emergente dalla trascrizione nei registri immobiliari; né, onde invocare l'apparentia iuris e garantire l'affidamento del terzo creditore, può negarsi rilievo a tale dato pubblicitario, giacché il principio dell'apparenza si applica solo quando sussistono uno stato di fatto difforme dalla situazione di diritto ed un errore scusabile del terzo in buona fede circa la corrispondenza del primo alla seconda, assumendo essa rilievo giuridico solo per individuare il titolare di un diritto, ma non per fondare una pretesa di adempimento nei confronti di chi non sia debito (Cass. VI, n. 23621/2017). 

L'amministratore di condominio non ha diritto di riscuotere i contributi dal coniuge o dal convivente assegnatario dalla casa familiare (Cass. VI-2, n. 16613/2022).

Con riguardo ai rapporti tra condiminio e utilizzatore di un'unità immobiliare in leasing , Cass. II, n. 27162/2018.

Le “spese generali”

Gli artt. 1123 e ss, anche dopo la Riforma del 2012, adoperano diverse denominazioni delle causali delle spese condominiali, senza che le diverse scelte lessicali rivelino un significato univoco. Così, mentre il primo comma dell'art. 1123 parla di “spese necessarie per la conservazione e il godimento”, il comma 3 della medesima disposizione si riferisce alle spese per la “manutenzione” delle parti comuni; l'art. 1124, comma 1, è dedicato alle spese occorrenti per “mantenere” o “sostituire” scale ed ascensori; l'art. 1125 distribuisce, a sua volta, le “spese per la manutenzione e ricostruzione” di soffitte, volte e solai; l'art. 1126 contempla le spese delle “riparazioni o ricostruzioni” dei lastrici solari di uso esclusivo; l'art. 1134, infine, annovera le spese inerenti la “gestione delle parti comuni”.

Nelle pronunce della Cassazione si afferma abitualmente che l'obbligo del condomino di contribuire — ex art. 1123, comma 1, in proporzione della rispettiva quota, indipendentemente dalla misura dell'uso — alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune ed alle innovazioni deliberate dalla maggioranza, ha origine nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio indicate dall'art. 1117, ovvero, più in generale, delle cose che servono per l'esistenza e l'uso delle singole proprietà immobiliari. Il riferimento può farsi, più genericamente, alle c.d. “spese generali”, così definendosi tutti gli esborsi che riguardano il godimento delle cose comuni: per esse, il criterio di riparto applicabile è sempre quello stabilito dal comma 1 dell'art. 1123, in base al valore della proprietà di ciascun condomino, e mai quello dell'uso differenziato offerto dal comma 2 dello stesso articolo. Né potrebbe l'assemblea, in difetto di apposita convenzione adottata all'unanimità ed espressione, perciò, dell'autonomia contrattuale, suddividere le spese generali con criterio «capitario» (Cass. n. 27233/2013).

Si è anche chiarito come la misura di utilizzazione delle parti comuni sia stabilita dall'art. 1102 e non sia in rapporto con la quota maggiore o minore stabilità dalle tabelle millesimali per il calcolo delle spese relative alla gestione delle stesse (Cass. n. 820/2014).

Il condomino che subisca, nella propria unità immobiliare, un danno derivante dall'omessa manutenzione delle parti comuni di un edificio, ai sensi degli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126, assume, quale danneggiato, la posizione di terzo avente diritto al risarcimento nei confronti del condominio, senza tuttavia essere esonerato dall'obbligo - che trova la sua fonte nella comproprietà o nella utilità di quelle e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile - di contribuire, a propria volta e "pro quota", alle spese necessarie per la riparazione delle parti comuni, nonché alla rifusione dei danni cagionati (Cass. VI, n. 18187/2021).

Il riferimento alla funzione del bene

Si propone una diversificazione degli ambiti di operatività del primo e del secondo comma dell'art. 1123in relazione alle parti comuni dell'edificio che provocano l'obbligo di spesa: sicché, vi sarebbero beni, opere e manufatti che producono utilità in senso oggettivo in favore delle unità di proprietà esclusiva, in forza della loro unione materiale o destinazione funzionale assolutamente necessaria al servizio collettivo dei condomini (in sostanza, le parti elencate per lo più nell'art. 1117, n. 1 e n. 3) e dunque indipendentemente da qualsiasi attività umana compiuta dal singolo partecipante. Altre parti comuni, per contro, arrecano utilità solo per effetto dell'attività personale dei titolari delle unità immobiliari individuali (generalmente quelle indicate nell'art. 1117 n. 2, ma pure alcune di cui al n. 3). Su tali basi, le spese per la conservazione della prima categoria di beni, rientranti, per la loro funzione, fra le cose comuni, sarebbero assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive ai sensi della prima parte dell'art. 1123, mentre le spese correlate ai beni della seconda categoria, giacché suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, giustificherebbero il ricorso agli altri due metodi di ripartizione contemplati dalla medesima disposizione (Cass. II, n. 6010/2019 ; Cass. n. 2946/2005; Cass. n. 1420/2004; Cass. n. 4403/1999).

Non si è mancato, peraltro, di rinvenire, anche con riguardo all'ambito di stretta pertinenza dell'art. 1123, comma 1, un fondamento utilistico, e non rigorosamente proprietario, sostenendo che, ai fini della ripartizione delle spese di ristrutturazione, sarebbe decisivo non l'appartenenza alla proprietà comune ovvero esclusiva delle parti dell'edificio interessate, quanto la loro funzione Così per le spese di potatura degli alberi che insistono su suolo oggetto di proprietà esclusiva di un solo condomino sono tenuti a contribuire tutti i condomini, allorché si tratti di piante funzionali al decoro dell'intero edificio (Cass. II, n. 22573/2020).

Così, ad esempio, in sede di riparto delle spese di manutenzione del tetto, quel che veramente rileverebbe non sarebbe tanto l'appartenenza del tetto medesimo ad alcuni o a tutti i condomini, quanto la funzione di copertura degli appartamenti (Cass. n. 1923/1973).

Parimenti, ai fini della corretta ripartizione tra i condomini delle spese per i lavori concernenti elementi strutturali portanti dall'intero edificio, si reputa irrilevante il dato formale della titolarità del bene, venendo in rilievo l'utilità dello stesso, con conseguente imputazione dei costi dell'intervento a tutti i condomini pro quota (Cass. n. 3470/2008).

Questa conclusione è stata condivisa con riferimento ad ogni altra cosa, impianto o servizio, indispensabili per l'esistenza dell'edificio, sebbene appartenenti in proprietà esclusiva ad uno solo dei partecipanti al condominio. Laddove del bene di proprietà esclusiva si avvantaggino anche gli altri condomini, ricavando, ad esempio, l'utilità del sostegno delle loro porzioni di piano, o della protezione delle stesse dagli agenti atmosferici, sulla stessa res concorre una comunione di godimento in favore di tutti i condomini beneficiati, i quali sono pure tenuti a sopportare le spese per la conservazione della cosa.

Si aggiunge in giurisprudenza (ad esempio, Cass. n. 1154/1996, a proposito di un muro portante) che l'obbligo di contribuzione alle spese del bene essenziale oggetto di mera comunione di godimento trarrebbe conferma dall'art. 882, commi 1 e 2, la cui ratio è nel senso che, nonostante la rinunzia alla comproprietà del muro comune, il comproprietario non può sottrarsi al concorso negli oneri di riparazione, quando il muro comunque sostiene un edificio di sua spettanza.

In dottrina (Triola, 656) si sostiene, invece, che l'obbligo dei condomini di sopportare le spese di conservazione del bene di proprietà esclusiva, necessario però, per le restanti unità immobiliari, deriverebbe piuttosto in via analogica, dall'art. 1030, il quale esenta il proprietario del fondo servente dagli oneri correlati alle opere di manutenzione o consolidamento occorrenti per consentire l'esercizio della servitù, mentre il concorso alle spese del proprietario esclusivo del bene necessario potrebbe discendere dall'art. 1069, comma 3. Dall'estensione di quest'ultima norma si avrebbe allora che, ove sia stato direttamente il proprietario della cosa o dell'impianto, indispensabili per l'esistenza dell'edificio, ad eseguire sul bene — sia pure nel proprio interesse — opere necessarie alla conservazione dell'utilità condominiale, le relative spese dovrebbero essere sostenute dai soggetti interessati, e cioè dal proprietario esclusivo della res e dagli altri condomini avvantaggiati, in proporzione ai rispettivi vantaggi.

La proporzionalità tra spese ed uso

Nel tentativo di dare una spiegazione alla tripartizione dei criteri di ripartizione delle spese, che connota l'art. 1123, una diffusa ed autorevole elaborazione (risalente a Corona, 1969, 115 ss., poi recepita in giurisprudenza da Cass. n. 8292/2000; come anche da Cass. n. 11747/2003) pone in evidenza come, mentre il comma 1 riguarda tanto le spese per la conservazione quanto quelle per il “godimento”, e il comma 3 si rivolge esclusivamente alle spese per la conservazione (così spiegandosi il termine “manutenzione”) nella speciale ipotesi del c.d. “condominio parziale”, il comma 2 si limiterebbe a regolamentare la ripartizione delle spese per l'uso delle cose destinate a servire i condomini in misura diversa. In tal caso, invero, il metro di riparto delle spese non è quello previsto dal comma 1 dell'art. 1123, ma quello della proporzionalità tra spese ed uso. Questa contrapposizione tra i primi due commi dell'art. 1123 costituirebbe ulteriore conferma della rilevanza del fine che l'obbligazione di contribuire alle spese persegue nel regime condominiale. Un precetto ha origine nel fondamento delle spese imposte dalla conservazione del valore capitale dei beni comuni, ovvero dall'esigenza di tutela o di ripristino della loro integrità, spese che non possono che imputarsi ai rispettivi proprietari; l'altro precetto, invece, trovando il proprio fondamento negli esborsi correlati al godimento delle cose, non può che vedere come destinatari che eserciti l'uso.

Si è anche sostenuto che la deroga ipotizzata dal comma 2 dell'art. 1123 rispetto alla generale regola della ripartizione per quote millesimali è correlata al godimento potenziale, e non effettivo, che il condomino può ricavare dalla cosa comune, in base all'oggettiva destinazione impressa alla stessa: la generica qualificazione dell'obbligo delle spese gravante sui condomini in termini di obbligazione propter rem escluderebbe, in sostanza, che possa ritenersi esonerato dal pagamento delle spese il partecipante che, pur potendo godere della cosa comune, di fatto non la utilizzi (Cass. n. 13160/1991).

Per converso, proprio il principio di proporzionalità fra spese ed uso è invocato al fine di negare l'onere del condomino di contribuire alle spese di gestione del bene comune, allorché, avuto riguardo alla destinazione della quota immobiliare di proprietà esclusiva, sia impedita, per ragioni strutturali indipendenti dalla libera scelta del condomino, la stessa possibilità dell'uso della res.

Possono qualificarsi spese per la conservazione quelle attinenti alla tutela dell'integrità materiale e, quindi, del valore capitale del bene comune. Solo allora le spese per la conservazione sarebbero propriamente descritte come obbligazioni propter rem, non rilevando alcun elemento soggettivo nel nesso corrente tra l'obbligo di contributo ed il bene. Perciò la spesa di conservazione è essenzialmente misurata sulla quota, e cioè sulla quantità dell'appartenenza.

Le spese per l'uso delle parti comuni, viceversa, derivano dal dato mutevole e fattuale del godimento soggettivo del bene, e perciò si suddividono in proporzione all'utilizzo, indipendentemente dal valore della proprietà. Il debito relativo all'uso prescinde, cioè, dall'attribuzione della res, in quanto non dipende da una predeterminata situazione di contitolarità. Ulteriore conferma si trarrebbe dal novellato art. 1118, comma 3: la disposizione fa espresso riferimento alle spese per la conservazione, e non a quelle per l'uso, giacché queste insorgono soltanto quale conseguenza della fruizione delle cose, degli impianti e dei servizi.

A questa complessa ricostruzione si è tuttavia obiettato che la generica menzione delle “spese” adoperata nel comma 2 dell'art. 1123 vada, piuttosto, spiegata, con la superfluità della ripetizione dell'elencazione fatta nel comma precedente, e faccia, quindi, propendere per la conclusione che, quando si tratti di cose destinate a servire in misura diversa “tutti” (e non soltanto alcuni, come nella diversa fattispecie contemplata dal comma 3 dell'art. 1123), sia le spese per la conservazione, sia le spese per il godimento vadano ripartite in base all'uso (Triola R., 637).

La ripartizione “per consumo”

Vengono ripartite di regola in proporzione ai consumi effettivi, e non alle quote di proprietà, le spese derivanti dagli oneri delle utenze elettriche, idriche o di distribuzione del gas.

Si è deciso che le spese del riscaldamento centralizzato di un edificio in condominio, ove sia stato adottato un sistema di contabilizzazione del calore, devono essere ripartite in base al consumo effettivamente registrato, risultando perciò illegittima una suddivisione di tali oneri - sia pure solamente parziale - alla stregua dei valori millesimali delle singole unità immobiliari (Cass. II, n. 28282/2019; Cass. II, n. 22573/2016).

Non può giustificare un esonero del condomino dal contributo la circostanza che l'impianto di riscaldamento non eroghi calore sufficiente, neanche con riguardo alle spese di esercizio, sempre perché di esclude che sussista un rapporto sinallagmatico tra obblighi di contribuzione ex art. 1123 e fruizione del servizio (Cass. n. 12420/1993; in dottrina, Triola, 371).

Diversa conclusione si segue per le spese di riscaldamento delle parti comuni, le quali sono spese generali, in quanto riguardano il godimento della cosa comune. Per esse, il criterio di riparto da applicare è perciò quello stabilito dal comma 1 dell'art. 1123, in base al valore della proprietà di ciascun condomino, e non quello dell'uso differenziato stabilito dal comma 2 (Cass. n. 2946/2005).

Il condominio parziale

L'art. 1123, comma 3, si riferisce alle situazioni di “condominio parziale”: allorché le cose e gli impianti comuni siano destinati a servire soltanto una parte del fabbricato, nell'ambito della più vasta compartecipazione, la norma identifica i soggetti obbligati a concorrere alle spese per la conservazione con i soli condomini rientranti nel ristretto gruppo che dalla cosa o dall'impianto tragga utilità. È lo stesso nesso di realità che intercorre tra comproprietà ed obbligo di contribuzione alle spese a giustificare la portata del terzo comma dell'art. 1123

Di per sé, il condominio parziale non esige un proprio fatto o atto costitutivo, ma insorge ope legis, in presenza della condizione materiale o funzionale giuridicamente rilevante. Nessuna modifica relativa al regime delle cose comuni può, infatti, derivare da una delibera di istituzione di uno o più condomini parziali nell'ambito del fabbricato.

Può, tuttavia, ipotizzarsi pure un'apposita clausola del regolamento volta ad attribuire soltanto ad un gruppo di condomini la proprietà di un bene o di un impianto, ovvero ad accertarne la titolarità esclusiva in forza della destinazione oggettiva della cosa stessa, dando conto delle conseguenze gestionali di tale situazione di condominio parziale (Triola R., 641; Celeste-Salciarini, 278).

Il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all'art. 1117, è, per vero, ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell'art. 1117, con la riserva «se non risulta il contrario dal titolo». Anzi, pure in mancanza di un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, l'ipotesi della “condominialità” si reputa ravvisabile altresì in presenza di un insieme di edifici “indipendenti”; ciò ricavandosi dagli artt. 61 e 62 disp. att., che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui «un gruppo di edifici... si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi», sempre che «restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell'articolo 1117 del codice» (cfr., in relazione a fattispecie in cui si ipotizzava la costituzione di un nuovo autonomo condominio avente ad oggetto alcuni locali seminterrati adibiti a box auto e deposito, Trib. Salerno 27 marzo 2009). Il più recente art. 1117-bis estende, inoltre, nei limiti della compatibilità, la disciplina del capo II del Titolo VII del terzo libro del Codice Civile a «tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117».

Relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarità, per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare. A carico dei medesimi condomini privi di contitolarità con riguardo a quel dato bene, neppure ovviamente si pone un problema di contribuire alle spese (Cass. II,  n. 791/2020).

Non può, ovviamente, ravvisarsi una legittimazione processuale del condominio parziale distinta da quella del condominio dell'intero edificio, né ammettersi che esso possa, mediante un proprio autonomo amministratore, agire a difesa dei diritti comuni inerenti alle parti oggetto della più limitata contitolarità di cui all'art. 1123, comma 3: è ciò sia intervenendo nel giudizio in cui la difesa dei beni oggetto del condominio parziale sia stata già assunta dall'amministratore dell'intero fabbricato, sia anche avvalendosi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti dell'intero condominio rappresentato dall'amministratore (Cass. II n. 12641/2016Cass. n. 2363/2012).

Bibliografia

AA. VV., Il nuovo condominio, a cura di Triola, Torino, 2013; Basile, Regime condominiale ed esigenze abitative, Milano, 1979; Caruso, Gli obblighi dei condomini, in Il Condominio a cura di C.M. Bianca, Torino, 2007; Celeste - Salciarini L., Il regolamento di condominio e le tabelle millesimali, Milano, 2006; Celeste - Scarpa, La Riforma del Condominio, Milano, 2012; Colonna, Sulla natura delle obbligazioni del condominio. in Foro it. 1997, I, 872; Corona, Il regime di ripartizione delle spese nel condominio, in Studi economico-giuridici, Milano, 1969; Corona, Contributo alla teoria del condominio negli edifici, Milano, 1974; Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960; Scarpa, “Condominio (Riforma del)”, Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento VIII, Torino, 2013; Terzago G. - Terzago P., La ripartizione delle spese nel condominio, Milano, 1994; Triola, Il condominio, Milano, 2007.

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