Codice Civile art. 1131 - Rappresentanza.Rappresentanza. [I]. Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 (1) o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio [1138] o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi. [II]. Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell'autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto. [III]. Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell'amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini. [IV]. L'amministratore che non adempie a quest'obbligo può essere revocato [1129; 64 att.] ed è tenuto al risarcimento dei danni [1138 4]. (1) L'art. 12, l. 11 dicembre 2012, n. 220, ha sostituito le parole "dall'articolo precedente" con le parole "dall'articolo 1130". La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. InquadramentoGli artt. 1130, 1130-bis e 1131 contengono la definizione dei compiti dell'amministratore e del suo potere di rappresentanza sostanziale e processuale. Le attribuzioni e la rappresentanzaL'art. 1130, già prima della Riforma, investiva l'amministratore del compito di: a) eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini; b) disciplinare l'uso delle cose comuni così da assicurare il godimento a tutti i (ora: a ciascuno dei) partecipanti al condominio; c) riscuotere dai condomini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea; d) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio. Così, Cass. II, n. 1451/2014, ha ribadito che l'amministratore del condominio è legittimato ad agire in giudizio per l'esecuzione di una deliberazione assembleare o per resistere all'impugnazione di una delibera da parte del condomino senza la necessità di una specifica autorizzazione assembleare, trattandosi di controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni. Nelle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di deliberazioni della assemblea condominiale relative alla ripartizione delle spese per le cose e per i servizi comuni, unico legittimato passivo è l'amministratore di condominio, sicché non è ammissibile il gravame avanzato da un singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio, trattandosi di controversie aventi ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, bensì la gestione di esso, e, dunque, intese a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale, nelle quali non v'è correlazione immediata con l'interesse esclusivo d'uno o più condomini (Cass. II. n. 29748/2017). L'amministratore di condominio, essendo poi tenuto a curare l'osservanza del regolamento di condominio (art. 1130, n. 1), è legittimato ad agire e a resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento condominiale contrattuale, senza la necessità di alcuna specifica deliberazione assembleare (Cass. II, 21562/2020; Cass. II, n. 21841/2010). Tuttavia, l'art. 1, comma 9, lett.e) d.l. n. 145/2013, conv. in l. n. 9/2014, ha stabilito che, per l'irrogazione delle sanzioni conseguenti alle infrazioni del regolamento di condominio, di cui all'art. 70 disp. att., occorre una delibera dall'assemblea con le maggioranze di cui al comma 2 dell'art. 1136. L'obbligo, invece, di eseguire gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, si intende riferito ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell'integrità dell'immobile (cfr. Cass. II, n. 2436/2018). L'amministratore di un condominio, ai sensi dell'art. 1131, ha, comunque, la rappresentanza dei partecipanti e può, quindi, agire a tutela di un interesse comune, sia contro i condomini sia contro i terzi, soltanto nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'art. 1130; pertanto, quando la rappresentanza attiva esula dalla sfera di dette attribuzioni, essa deve essere necessariamente sorretta da apposita investitura, deliberata dall'assemblea condominiale. Tuttavia, un contratto stipulato dall'amministratore, che, ad esempio, implichi l'obbligo di sostenere le spese relative ad un bene non rientrante tra le parti comuni dell'edificio condominiale, assume efficacia vincolante nei confronti dei condomini solo in virtù di uno speciale mandato rilasciato da ciascuno di essi, ovvero della ratifica del pari proveniente da ognuno, atteso che, trattandosi di ipotesi estranea all'ambito di operatività dei poteri rappresentativi di cui agli artt. 1130 e 1131 c.c., è necessaria la sussistenza, in capo all'amministratore predetto, di un potere di rappresentanza convenzionale (Cass. VI n. 5833/2017). La legittimazione dal lato passivo dell'amministratore si estende poi a qualsiasi azione, ex art. 1131, comma 2, sempre concernente gli interessi comuni dell'edificio, e la sua presenza in giudizio vale a smentire la necessità del litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini. Nel ricostruire la portata di questa disposizione, deve richiamarsi quanto deciso da Cass. S.U., n. 18331/2010. Questa pronuncia ha ritenuto che l'amministratore convenuto possa certamente in modo autonomo costituirsi in giudizio, così come impugnare la sentenza sfavorevole al condominio, è ciò nel quadro generale di tutela urgente di quell'interesse comune che è alla base della sua qualifica e della legittimazione passiva di cui è investito; non di meno, l'operato dell'amministratore deve poi essere sempre ratificato dall'assemblea, in quanto unica titolare del relativo potere. Questo orientamento nega che l'amministratore sia titolare di una legittimazione processuale passiva illimitata “ex lege” (ovvero, della titolarità di una “difesa necessaria”) per le azioni concernenti le parti comuni dell'edificio. La finalità dell'art. 1131, comma 2, sarebbe, in pratica, limitata a facilitare i terzi nell'evocazione in giudizio di un condominio, consentendo loro di notificare la citazione al solo amministratore anziché a tutti i condomini; dovendo poi l'amministratore munirsi di autorizzazione dell'assemblea per resistere nella lite. Successivamente, Cass. n. 1451/2014 ha meglio definito l'ambito applicativo di Cass. S.U., n. 18331/2010 (circa la regola della necessità dell'autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in giudizio dell'amministratore), riferendolo soltanto alle cause che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1131, commi 2 e 3. L'amministratore di condominio, il quale intenda conferire procura al difensore che debba costituirsi in giudizio in causa rientrante nell'ambito delle proprie attribuzioni, non necessita di alcuna autorizzazione assembleare e, ove anche questa intervenga, essa vale quale mero assenso alla scelta già validamente compiuta dall'amministratore medesimo (Cass. II, n. 10865/ 2016). L'amministratore, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, può altresì proporre opposizione a decreto ingiuntivo, nonché impugnare la decisione del giudice di primo grado, per tutte le controversie che rientrino nell'ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130, quali quelle aventi ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di un'obbligazione assunta dal medesimo amministratore per conto dei partecipanti, ovvero per dare esecuzione a delibere assembleari, erogare le spese occorrenti ai fini della manutenzione delle parti comuni o l'esercizio dei servizi condominiali (Cass. II, n. 16260/2016). Il potere dell'amministratore di rappresentare il condominio nell'ambito delle attribuzioni conferitegli a norma dell'art. 1130 deriva direttamente dalla legge e non può soffrire limitazione né per volontà dell'amministratore né per deliberazione dell'assemblea. Ne deriva che la clausola contenuta in un regolamento condominiale (ancorché deliberato per mutuo accordo tra tutti gli originari condomini), secondo cui l'autorizzazione a stare in giudizio debba essere deliberata dall'assemblea, anche per le liti per cui tale autorizzazione non occorre secondo legge, non ha efficacia giuridica, poiché il quarto comma dell'art. 1138 prevede che le norme regolamentari non possono derogare alle disposizioni ivi menzionate, fra le quali appunto è appunto compresa quella di cui all'art 1131 citato (Cass. II, n. 2127/2021). Nell'ambito dei poteri di rappresentanza processuale dell'amministratore, rimane tuttavia dibattuto il profilo della legittimazione dello stesso rappresentante, ovvero della necessità del contraddittorio di tutti i condomini, allorché sia controversa la sussistenza, o meno, della proprietà condominiale di un determinato bene, di cui un partecipante rivendichi, per contro, la proprietà esclusiva. Configurandosi un'ipotesi di litisconsorzio necessario, il contraddittorio deve essere integrato nei confronti di tutti i comproprietari dello stabile, con la conseguenza che la sentenza, implicando un accertamento in ordine a titoli di proprietà confliggenti tra loro, non può produrre alcun risultato utile se non pronunciata nei confronti della totalità dei partecipanti al condominio. La legittimazione passiva dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1131, comma 2, opera, del resto, solo in ordine alle liti riguardanti le parti comuni dell'edificio, di tal che, ove un condomino chieda l'accertamento della proprietà esclusiva di una parte che si ritiene comune, in base all'art. 1117, non può ravvisarsi la capacità processuale del rappresentante collettivo, riguardando la causa l'estensione del diritto dei singoli in dipendenza dei rispettivi acquisti. Va aggiunto che la necessità dell'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini va valutata non già secundum eventum litis, ma con riguardo al momento nel quale essa sorge, sicché nessun rilievo assume la circostanza che la domanda di accertamento della proprietà sia proposta solo in via subordinata. In tal senso si è chiarito come, qualora un condomino, convenuto dall'amministratore per il rilascio di uno spazio di proprietà comune occupato "sine titulo", agisca in via riconvenzionale per ottenere l'accertamento della proprietà esclusiva su tale bene, il contraddittorio va esteso a tutti i condomini, incidendo la controdomanda sull'estensione dei diritti dei singoli; pertanto, ove ciò non avvenga e la domanda riconvenzionale sia decisa solo nei confronti dell'amministratore, l'invalida costituzione del contraddittorio può, in difetto di giudicato espresso o implicito sul punto, essere eccepita per la prima volta o rilevata d'ufficio anche in sede di legittimità, con conseguente rimessione degli atti al primo giudice (Cass. VI, n. 6649/2017). Come precisato da Cass. II, n. 11757/2012, anche l'impugnazione della delibera che modifica la tabella millesimale va proposta contro l'amministratore del condominio, perché questi è sempre legittimato a resistere contro l'impugnazione delle deliberazioni assunte dall'assemblea. Si è affermato che l'amministratore di condominio è passivamente legittimato, ex art. 1131, comma 2, rispetto ad ogni azione volta alla determinazione giudiziale di tabelle millesimali che ripartiscano le spese in applicazione aritmetica dei criteri legali giacché, rientrando l'approvazione di tali tabelle nella competenza gestoria dell'assemblea, si versa in presenza di controversia riconducibile alle attribuzioni riconosciute allo stesso amministratore dall'art. 1130 c.c. ed ai correlati poteri rappresentativi processuali, senza alcuna necessità di litisconsorzio di tutti i condomini (Cass. II. n. 2635/2021; Cass. II, n. 19651/2017). Per il rilievo del mutamento della persona dell'amministratore in corso di causa, Cass. II, n. 27302/2020. Ai sensi del comma 3 dell'art. 71 quater disp. att. c.c. l'amministratore di condominio è legittimato a partecipare alla procedura di mediazione obbligatoria solo previa delibera assembleare di autorizzazione, non rientrando tra le sue attribuzioni, in assenza di apposito mandato, il potere di disporre dei diritti sostanziali rimessi alla mediazione. Ne consegue che la condizione di procedibilità delle "controversie in materia di condominio" non può dirsi realizzata qualora l'amministratore partecipi all'incontro davanti al mediatore sprovvisto (come nella specie) della previa delibera assembleare, da assumersi con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., non essendo in tal caso possibile iniziare la procedura di mediazione e procedere al relativo svolgimento, come suppone il comma 1 dell'art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 (Cass. VI, n. 19846/2020). L'obbligo di agire per la riscossione dei contributiL'art. 1129, comma 9, obbliga l'amministratore ad “agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale sia compreso il credito esigibile, a meno che non sia stato espressamente dispensato dall'assemblea”. Questa norma ribadisce quanto il preesistente art. 1130, n. 3, già esprimeva, stabilendo che l'amministratore deve “riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni”. L’erogazione delle spese di manutenzione ordinaria o relative ai servizi comuni essenziali non richiede la preventiva approvazione dell'assemblea, trattandosi di esborsi cui l'amministratore provvede in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere dell'assemblea; la loro approvazione è, invece, richiesta in sede di consuntivo, giacché solo con questo si accertano le spese e si approva lo stato di ripartizione definitivo, che legittima l'amministratore ad agire contro i condomini morosi per il recupero delle quote poste a loro carico (Cass. II, n. 454/2017). L'amministratore, per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, agisce, anche ai sensi dell'art. 63 disp. att., domandando un decreto ingiuntivo, immediatamente esecutivo, senza bisogno di autorizzazione assembleare; deve, peraltro, comunicare ai creditori insoddisfatti, che gliene facciano richiesta, i dati dei condomini morosi. Una volta promossa l'azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, viene indicata quale situazione di grave irregolarità, ai sensi dell'art. 1129, comma 12, n. 6, legittimante la revoca giudiziale dell'amministratore, “l'aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva”. Viene così precisato dalla l. n. 220/2012 come non occorra alcuna specifica autorizzazione rilasciata dall'assemblea all'amministratore per permettere all'amministratore di chiedere il decreto ingiuntivo contro il condomino moroso. Il mancato rispetto del termine di sei mesi non fa chiaramente venir meno la legittimazione dell'amministratore ad agire, sia pure in ritardo, per la riscossione delle somme dovute dai condomini. D'altro canto, lo stesso art. 1129, comma 9, afferma che l'amministratore possa essere espressamente dispensato dall'assemblea dall'agire per la riscossione entro il ricordato termine. Ove l'amministratore non adempia agli obblighi di riscossione propri del mandatario, la sua condotta costituisce fonte di inadempimento, autorizzando il condominio danneggiato a richiedere l'esatto adempimento al condomino moroso ed, eventualmente, il risarcimento del danno dall'amministratore. È inevitabile che l'amministratore mandatario debba fornire la prova di aver eseguito l'incarico conferitogli di riscossione dei crediti con la necessaria diligenza, dando conto del comportamento tenuto a fronte del ritardo nel pagamento delle bollette condominiali (art. 1710). In forza dell'art. 1130, n. 3, l'amministratore può, infatti, comunque agire per il recupero degli oneri condominiali, e il giudice, pronunciando sul merito, emetterà una sentenza favorevole o meno, a seconda che l'amministratore dimostri che la domanda sia fondata, e cioè che il diritto reclamato sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare: l'esistenza, o meno, di uno stato di ripartizione delle spese approvato dall'assemblea rileva, quindi, in ordine alla fondatezza della domanda con riferimento all'onere probatorio a carico dell'attore. Non è attribuito, d'altro canto, all'amministratore del condomino un generale potere di spesa (al di fuori di quanto previsto dall'art. 1135 in tema di lavori urgenti e dall'art. 1130, n. 3), per cui spetta all'assemblea non soltanto l'approvazione del conto consultivo, al fine di confrontarlo con il preventivo, ma anche la valutazione di opportunità delle spese affrontate d'iniziativa dell'amministratore stesso. L'art. 63 disp. att., consentendo all'amministratore di ottenere decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per il pagamento dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, prevede un mezzo di riscossione coattivo, rapido e incisivo, per le spese comuni dei condomini e rappresenta una risposta razionale rispetto alle peculiari esigenze dell'amministrazione condominiale, nella quale è necessario che l'amministratore possa tempestivamente disporre dei fondi destinati alle spese comuni suddivise delibera dell'assemblea. Tale disposizione non ha l'effetto di rendere inammissibile l'opposizione proposta dal condomino che non abbia ancora provveduto al pagamento della quota condominiale, non traducendosi in negazione o in indebito condizionamento del diritto del singolo condomino di agire in giudizio per contestare l'an o il quantum delle spese condominiali. Condizione indispensabile per la concessione dell'esecuzione provvisoria, è dunque, l'approvazione assembleare dello stato di ripartizione delle spese, giacché evidentemente a esso, pur non essendo titolo esecutivo, il legislatore ha riconosciuto un valore probatorio privilegiato in ordine alla certezza del credito del ricorrente. L'art. 63 disp. att. conferisce al verbale di delibera attinente allo stato di ripartizione dei contributi non già la forza di titolo esecutivo, ma comunque un'efficacia corrispondente a quella dei documenti esemplificativamente elencati nell'art. 642 c.p.c., sicché il giudice del monitorio è vincolato, anche in assenza di esplicita domanda del condominio ricorrente, alla concessione della esecuzione provvisoria del decreto. Ciò riguarda unicamente la provvisoria esecuzione dell'ingiunzione di pagamento, laddove l'autorizzazione all'inizio dell'esecuzione senza l'osservanza del termine di cui all'art. 482 c.p.c., deve essere, invece, appositamente concessa dal giudice che emette il decreto. In difetto di uno stato di riparto approvato dall'assemblea, l'amministratore potrà ovviamente agire, per esempio in base alle bollette mensili, in sede di ordinario processo di cognizione, ovvero ottenere ingiunzione di pagamento senza esecuzione provvisoria (cfr. Cass. II, n. 4672/2017). Si ritiene che, non operando l'art. 63 disp. att. nessuna distinzione, l'amministratore possa ottenere decreto di ingiunzione anche per la riscossione di contributi relativi a spese straordinarie, in base a stato di ripartizione approvato dall'assemblea o determinato dall'amministratore su delega dell'assemblea secondo criteri prefissati. Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l'onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell'assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti. In sede di cognizione potrà perciò mancare lo stato di ripartizione approvato, ma non ovviamente la delibera dell'assemblea di autorizzazione all'esecuzione delle spese straordinarie, facendo altrimenti difetto “il titolo stesso per pretendere i contributi nei confronti dei condomini”. Nel medesimo giudizio di opposizione il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione, ma solo questioni riguardanti l'efficacia di quest'ultima. Tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. VI, n. 16389/2018; Cass. II, n. 4672/2017). In forza dell'art. 63, comma 3 disp. att., in caso di mora nel pagamento dei contributi condominiali protratta per oltre un semestre, l'amministratore può sospendere al condomino l'utilizzazione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato. La Riforma ha eliminato dal testo previgente la condizione che radicava il potere di sospensione dell'amministratore in un'espressa autorizzazione conferitagli dal regolamento. L'art. 63, comma 1 disp. att., prescrive poi che l'amministratore è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi; il comma 2 della stessa disposizione ammette i creditori ad agire nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti dopo la preventiva infruttuosa escussione dei morosi. L'art. 1130, n. 10, obbliga l'amministratore a “fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso”. L'amministratore è tenuto, dunque, a comunicare al creditore i dati dei condomini morosi, e l'eventuale sua inerzia diviene sanzionabile. L'art. 63, comma 1 disp. att. va correlato all'art. 1129, comma 9: l'amministratore è di regola, salva espressa dilazione di pagamento autorizzata dall'assemblea, vincolato ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dai singoli condomini obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale in cui sia maturata la spesa. L'art. 63 disp. att., ai primi due commi, consente, invece, al terzo creditore di procedere dapprima alla doverosa escussione dei condomini morosi, i cui dati gli siano stati forniti dall'amministratore; di seguito, ove tale preventiva esecuzione rimanga infruttuosa, il creditore potrà agire pure nei confronti dei condomini, invece, in regola con i pagamenti. La legittimazione primaria dell'amministratore di condominio a incassare le somme dovute dai partecipanti e la legittimazione derivativa, o secondaria, del terzo ad agire nei confronti dei morosi, in forza del trasferimento surrogatorio offertogli dall'art. 63, comma 1 disp. att. vanno necessariamente coordinate fra loro, a evitare che il singolo possa essere destinatario di un'inammissibile duplicazione di condanne, e perciò di titoli esecutivi, l'una verso il condominio, l'altra verso il creditore. La giurisprudenza ha chiarito che l'obbligo del singolo partecipante di pagare al condominio le spese dovute e le vicende debitorie del condominio verso i suoi appaltatori o fornitori rimangono del tutto indipendenti. Tant'è che il condomino non può ritardare il pagamento delle rate di spesa in attesa dell'evolvere delle relazioni contrattuali tra condominio e soggetti creditori di quest'ultimo, né può utilmente opporre all'amministratore che il pagamento sia stato da lui effettuato direttamente al terzo, in quanto, si assume, ciò altererebbe la gestione complessiva del condominio: sicché il singolo deve sempre e comunque pagare all'amministratore, salva l'insorgenza, in sede di bilancio consuntivo, di un credito da rimborso per gli avanzi di cassa residuati (così Cass. II, n. 2049/2013). Il conto corrente del condominioL'art. 1129, comma 7, obbliga ora “l'amministratore a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio”, e aggiunge che “ciascun condomino, per il tramite dell'amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica”. Tra le ipotesi tipizzate di gravi irregolarità, legittimanti la revoca dell'amministratore, figurano, conseguentemente, proprio i casi della “mancata apertura e utilizzazione del conto intestato al condominio”, o anche “la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini” (art. 1129, comma 12 rispettivamente n. 3 e n. 4). Dunque, per effetto della Riforma, si avrà sempre uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio, nonché un patrimonio del condominio. In realtà, il conto corrente intestato al condominio, formato con i contributi dei condomini, non viene sottoposto a misure di conservazione, in modo da concentrarvi la garanzia dei creditori. Alcun vincolo sorge, cioè, dall'apertura del conto corrente al soddisfacimento delle obbligazioni connesse alla gestione condominiale, il che rende possibile in ogni momento la distrazione delle somme raccolte e la loro restituzione ai singoli. Tutti i contributi versati dai partecipanti devono transitare sul conto corrente intestato al condominio, confondendosi con le altre somme già ivi esistenti, e andando perciò ad integrare quel saldo che è ad immediata disposizione del correntista “condominio”, secondo l'art. 1852, senza che mantenga alcun rilievo lo specifico titolo dell'annotazione a credito, né la provenienza della provvista dall'uno o dall'altro condomino. Quando, così, un creditore del condominio sottoponga a pignoramento le somme risultanti presso l'istituto bancario ove il condominio intrattiene il rapporto di conto corrente e sul quale affluiscono anche le rate del fondo per la manutenzione straordinaria e le innovazioni, il credito del debitore che viene pignorato è il credito alla restituzione delle medesime somme depositate, il quale trova causa, appunto, nel rapporto di conto corrente, rimanendo del tutto prive di significato le ragioni per le quali le singole rimesse siano state effettuate, come la provenienza delle stesse dall'uno o dall'altro condomino. Il pignoramento del saldo di conto corrente condominiale da parte del creditore è volto a soddisfare in via esecutiva la sola obbligazione per l'intero gravante sull'amministratore e non interferisce col meccanismo del beneficio di escussione ex art. 63, comma 2, disp. att., il quale è posto a presidio unicamente dei distinti obblighi pro quota spettanti ai singoli. L'obbligo di conservare la documentazioneL'amministratore, ha l'obbligo di “conservare tutta la documentazione inerente alla propria gestione riferibile sia al rapporto con i condomini sia allo stato tecnico-amministrativo dell'edificio e del condominio” (art. 1130, n. 8). Non è al riguardo immediatamente operante, nemmeno per la documentazione strettamente contabile riguardante il condominio, il termine decennale di durata dell'obbligo di conservazione delle scritture contabili, fissato dall'art. 2220, seppur il nuovo art. 1130-bis si conclude specificando che le scritture e i documenti giustificativi, posti a sostegno del rendiconto annuale, devono essere conservati, appunto, per 10 anni dalla data della relativa registrazione. Agli effetti dell'art. 1129, comma 8, l'amministratore dovrebbe comunque conservare tutti quei documenti che, alla cessazione del suo incarico, devono consegnarsi all'amministratore subentrante, in modo da consentirgli un'agevole prosecuzione della gestione, e quindi, in special modo: - le deliberazioni dell'assemblea da eseguirsi; - le verifiche tecniche degli impianti e dei servizi comuni; - i rendiconti e i riparti dei contributi. Altrettanto, nel caso in cui sia in corso un giudizio civile, relativo a motivi di revoca o comunque di responsabilità dell'amministratore, o ai rapporti tra condominio e singoli condomini, oppure terzi, e soprattutto ove sia stata istanza di esibizione documentale ex art. 210 c.p.c., l'amministratore, nei cui confronti tale istanza sia stata formulata, è tenuto a conservare la documentazione oggetto di essa fino a che il giudice non abbia definitivamente e negativamente provveduto sulla stessa: non rileverebbe che, trattandosi di documentazione contabile, sopravvenga, nel frattempo, la maturazione del termine decennale di durata dell'obbligo di conservazione delle scritture contabili fissato dall'art. 2220. L'obbligo di riconsegnare la documentazioneL'art. 1129, comma 8 sancisce espressamente l'obbligo dell'amministratore cessato dall'incarico di riconsegnare tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio. A questa conclusione già era pervenuta la giurisprudenza, facendo applicazione del generale obbligo di restituzione previsto per il mandato dall'art. 1713, comma 1: si tratta, infatti, di documentazione che l'amministratore detiene unicamente nella sua veste di mandatario e che è di esclusiva pertinenza del condominio mandante. Pertanto, alla scadenza l'amministratore è tenuto a restituire tutto ciò che ha ricevuto nell'esercizio del mandato per conto del condominio, e quindi anche tutto ciò che ha in cassa, e non certo soltanto quanto concerne la gestione dell'ultimo anno. Legittimamente, quindi, l'amministratore di condominio potrebbe essere chiamato in proprio in un giudizio di rendiconto. Il diritto alla restituzione della documentazione condominiale può essere azionato anche in via cautelare, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., in quanto dall'omessa consegna di essa al nuovo amministratore può derivare al condominio e alla sua gestione un irreparabile pregiudizio (per l'impossibilità di effettuare il rendiconto, di ripartire le spese e incassare i contributi, di convocare l'assemblea e deliberare conseguentemente su beni e servizi comuni). L'anagrafe condominialeAi sensi dell'art. 1130, n. 6, l'amministratore deve curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale, il quale deve contenere le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell'edificio, secondo quanto precisato dalla lett. c) dell'art. 1, comma 9, d.l. n. 145/2013, convertito in l. n. 9/2014. Le variazioni di questi dati devono essere comunicate all'amministratore per iscritto entro 60 giorni dal loro verificarsi; ove ciò non avvenga, ovvero quando comunque i dati da inserire nell'anagrafe risultino incompleti, l'amministratore può chiedere ragguagli agli interessati con lettera raccomandata. Decorsi 30 giorni dal ricevimento della raccomandata, se all'amministratore non perviene una risposta soddisfacente, questi potrà acquisire in altro modo le informazioni necessarie, addebitandone il costo “ai responsabili”. Tale onere di comunicazione fa sistema con l'ultimo comma del riformato art. 63 disp. att., in forza del quale, fermo l'obbligo solidale di pagamento dei contributi dell'anno in corso e di quello precedente, gravante su chi subentri nei diritti di un condomino, chi invece ceda tali diritti su unità immobiliari resta ora obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui sia trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto. Non è agevole intuire perché nel Registro dell'anagrafe l'amministratore debba inserire anche i dati anagrafici relativi ai conduttori, visto che il nostro ordinamento non conosce alcun rapporto gestorio condominiale che coinvolga direttamente gli inquilini delle porzioni esclusive, nemmeno ai fini degli artt. 9 (spese relative a servizi comuni poste interamente a carico del conduttore) e 10 (diritto di intervento e di voto in assemblea del conduttore) della l. n. 392/1978. L'obbligo del rendiconto annualeIl rendiconto rappresenta il fulcro della gestione condominiale. L'amministrazione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni negli edifici, soggetti al regime del condominio, è affidata all'assemblea dei proprietari delle unità immobiliari e all'amministratore, nominato dalla stessa assemblea. Dagli artt. 1130, 1130-bis, 1135, n. 3, e 1137, commi 2 e 3, sono così disciplinati l'obbligo dell'amministratore del condominio di predisporre e di presentare il rendiconto condominiale annuale all'approvazione dell'assemblea; la competenza dell'assemblea in ordine alla verifica e all'approvazione del rendiconto, concernente il bilancio consuntivo; i poteri dei singoli condomini relativi al controllo dell'operato dell'amministratore, che si esauriscono con la partecipazione e con il voto in assemblea e, eventualmente, con l'impugnazione delle deliberazioni. L'amministratore di un edificio in regime del condominio è tenuto a dare il conto della gestione alla fine di ciascun anno: l'assemblea dei condomini è legittimata a verificare e ad approvare il rendiconto annuale dell'amministratore; i condomini assenti o dissenzienti possono impugnare la deliberazione, che approva il rendiconto, rivolgendosi all'autorità giudiziaria nel termine di 30 giorni. Se il rendiconto viene approvato, all'operato dell'amministratore il singolo condomino non può più rivolgere censure: questi può soltanto impugnare la deliberazione non per ragioni di merito, ma nei soli casi e secondo i modi fissati dall'art. 1137, commi 2 e 3. Il sindacato dell'autorità giudiziaria non può, infatti, estendersi alla valutazione del merito del rendiconto, ma deve limitarsi al riscontro della sua legittimità (Cass. II, n. 5254/2011). In sostanza, una volta che l'amministratore abbia presentato il rendiconto annuale all'assemblea dei partecipanti e questa lo abbia approvato, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali afferenti alla gestione delle parti comuni, al condomino dissenziente non resta che impugnare la deliberazione per ragioni di mera legittimità. In mancanza di formale impugnazione della deliberazione di approvazione del rendiconto (alla quale non può essere equiparata, per esempio, una mera contestazione scritta) il partecipante non riesce allora a sottrarsi al pagamento di quanto da lui dovuto in base alla ripartizione approvata. Per di più, l'approvazione assembleare dell'operato dell'amministratore e la mancata impugnativa delle relative deliberazioni precludono l'azione di responsabilità al singolo condomino, che si ritenga leso dall'attività dalle iniziative arbitrarie dello stesso per le attività di gestione dei beni e dei servizi condominiali. La legge di Riforma del condominio ha precisato che il rendiconto deve specificare le voci di entrata e di uscita, la situazione patrimoniale del condominio, i fondi disponibili e le eventuali riserve, “in modo da consentire l'immediata verifica”. La giurisprudenza, al riguardo, ha finora sempre affermato che, per la validità della deliberazione di approvazione del rendiconto condominiale, non è necessaria la presentazione all'assemblea di una contabilità redatta con rigorose forme, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, essendo a tal fine sufficiente che essa sia idonea a rendere intelligibile ai condomini medesimi, appunto, le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione. Non si richiede nemmeno che entrate e spese siano trascritte nel verbale assembleare, o che siano oggetto di analitico dibattito ed esame, riconoscendosi all'organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all'approvazione, alla stregua della documentazione giustificativa fornita dall'amministratore. Da tale documentazione, però, dovrà trarsi la prova non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell'entità e della causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentano di individuare e vagliare le modalità con cui l'incarico è stato eseguito e di stabilire se l'operato di chi rende il conto sia stato adeguato a criteri di buona amministrazione (Cass. II, n. 1405/2007). L'art. 1130-bis chiarisce che i condomini, ma anche i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari, possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese. Questo conferma che non esiste un obbligo per l'amministratore di depositare la documentazione giustificativa del rendiconto, bensì soltanto di consentire ai condomini, come pure agli usufruttuari e ai conduttori, che ne facciano richiesta, di prenderne visione o estrarne copia a loro spese (Cass. VI, n. 15996/2020). L'obbligo del mandatario di rendere il conto diventa esigibile al momento in cui il mandato viene eseguito, e per l'amministratore del condominio l'attualità di tale obbligo si verifica alla scadenza di ciascun anno, dovendosi poi convocare l'assemblea per la relativa approvazione entro 180 giorni. E, quindi, in questo momento che il potere di controllo dei condomini, finalizzato all'approvazione del rendiconto condominiale, deve avere la sua massima estrinsecazione, attraverso la concreta possibilità di verifica della documentazione. La mancata disponibilità della documentazione contabile, per l'esame dei condomini e dei titolari di diritti reali o di godimento, comporta la violazione da parte dell'amministratore dell'obbligo di rendiconto e l'annullabilità della deliberazione di approvazione (gravando sugli interessati l'onere di dimostrare che l'amministratore non abbia loro consentito di esercitare detta facoltà di accesso), giacché la lesione del diritto dei condomini all'informazione incide sul procedimento di formazione delle maggioranze assembleari. L'esercizio della facoltà del singolo condomino di ottenere dall'amministrazione del condominio l'esibizione dei documenti contabili non deve risolversi, peraltro, in un onere economico per il condominio, sicché i costi relativi alle operazioni compiute devono gravare esclusivamente sui condomini richiedenti a vantaggio della gestione condominiale, e non invece costituire ragione di ulteriore compenso in favore dell'amministratore, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell'incarico per tutta l'attività amministrativa di durata annuale (Cass. II, n. 4686/2018). Le eventuali prescrizioni del regolamento che disciplinano la facoltà di accesso ai documenti contabili, avendo natura solo organizzativa, possono essere interpretate, giusta l'art. 1362, comma 2, c.c., anche alla luce della condotta tenuta dai comproprietari posteriormente alla relativa approvazione ed anche "per facta concludentia", in virtù di comportamento univoco (si veda Cass. VI-2, n. 12579/2017). I condomini, in quanto mandanti, sono titolari dei poteri di vigilanza e di controllo previsti dalla disciplina del contratto mandato; inoltre, i condomini, contro i provvedimenti presi dall'amministratore, in ogni tempo, possono proporre ricorso all'assemblea e chiederne la revoca. Così si comprende meglio pure perché l'art. 1129, comma 2, ora preveda che, contestualmente all'accettazione della nomina e a ogni rinnovo dell'incarico, l'amministratore deve comunicare, tra l'altro, il locale dove si trovano i registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta, possa, appunto, prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata. È ovvio, peraltro, che la vigilanza e il controllo, così esercitati dai partecipanti, non devono risolversi in un intralcio all'amministrazione, e quindi non possono porsi in contrasto con il principio della correttezza, ex art. 1175; è altrettanto inevitabile che di tali attività di accesso alla documentazione gli interessati si addossino i costi. Non è, invece, indispensabile che i condomini specifichino la ragione, per cui vogliano prendere visione o estrarre copia dei documenti. Si ricordi ancora come l'art. 71-ter disp. att. preveda altresì l'attivazione di un sito internet del condominio, che consenta agli interessati di consultare ed estrarre copia in formato digitale dei documenti previsti dalla deliberazione assembleare in discussione. Il registro di contabilità, il riepilogo finanziario e la nota sintetica esplicativa della gestione, con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti, che compongono il rendiconto, saranno ispirati dallo scopo di realizzare l'interesse del condomino a una conoscenza concreta dei reali elementi contabili ivi recati dal bilancio, e saranno, quindi, orientati dall'esigenza di informazione dei partecipanti, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati del conto, e consentire in assemblea l'espressione di un voto cosciente e meditato. Si prestano a tale scopo pure i chiarimenti forniti dall'amministratore in assemblea, se adeguati a far venire meno l'interesse del condomino, che li abbia chiesti e ottenuti, a eventuali impugnative della deliberazione di approvazione del rendiconto in relazione ai punti oggetto dei chiarimenti. Il registro, il riepilogo e la nota, avendo lo scopo di informare dettagliatamente i condomini sulla reale situazione patrimoniale, devono essere redatti con i prescritti criteri, ovvero con indicazione chiara delle entrate e delle spese, dei fondi disponibili e delle riserve. L'assemblea, con la maggioranza prevista per la nomina dell'amministratore, può poi nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio, suddividendone le spese di incarico fra i condomini pro quota. Si dovrà trattare di professionista in possesso del requisito dell'iscrizione nel registro dei revisori contabili. La relazione del revisore nominato dall'assemblea non si porrà come sinonimo inevitabile della verità del rendiconto condominiale, ma costituirà, tuttavia, una pronuncia qualificata sull'attendibilità della contabilità. BibliografiaAA. VV., Il nuovo condominio, a cura di Triola, Torino, 2013; Basile, Regime condominiale ed esigenze abitative, Milano, 1979; Caruso, Gli obblighi dei condomini, in Il Condominio a cura di C.M. Bianca, Torino, 2007; Celeste - Salciarini L., Il regolamento di condominio e le tabelle millesimali, Milano, 2006; Celeste - Scarpa, La Riforma del Condominio, Milano, 2012; Colonna, Sulla natura delle obbligazioni del condominio. in Foro it. 1997, I, 872; Corona, Il regime di ripartizione delle spese nel condominio, in Studi economico-giuridici, Milano, 1969; Corona, Contributo alla teoria del condominio negli edifici, Milano, 1974; Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960; Scarpa, “Condominio (Riforma del)”, Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento VIII, Torino, 2013; Terzago G. - Terzago P., La ripartizione delle spese nel condominio, Milano, 1994; Triola, Il condominio, Milano, 2007. |