Codice Civile art. 1140 - Possesso.InquadramentoDi regola, colui che ha il diritto di esercitare un potere è anche colui che di fatto lo esercita, tuttavia, può succedere che colui il quale, pur avendo un diritto, non lo esercita o colui che, pur non avendo il diritto, si comporta come se lo avesse e ne esercita il contenuto. Orbene, l'esercizio di fatto dei poteri sulle cose dà luogo alle situazioni “possessorie”, alle quali il legislatore codicistico conferisce rilievo a prescindere che la situazione di fatto corrisponda a quella di diritto, e, in particolare, si tutela la figura del possesso ai poteri corrispondenti all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (escludendo, ad esempio, l'àmbito dei diritti obbligatori). La ratio di tale tutela, da parte dell'ordinamento, va rinvenuta perché, per un verso, proteggendo il fatto esteriore (e facilmente accertabile) del possesso, si assicura allo stesso proprietario, che di solito riveste anche la figura del possessore, una difesa rapida ed efficace del suo diritto, e, per altro verso, impedendo che si arrechi molestia o violenza al possessore, si tende a conservare la pacifica convivenza tra i consociati (ne cives ad arma ruant). La norma in commento aggiunge, poi, che si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa: in tal caso, il detentore ha la disponibilità della cosa e la può utilizzare tutte le volte che lo desidera (corpus), ma deve pur sempre riconoscere che essa è di altri, a cui deve rendere conto dell'uso del bene medesimo (animus detinendi). Nozione di possessoIn argomento, la migliore dottrina (Sacco, in Tr. C. M.,1988, 58) ha ritenuto che la definizione del possesso si compone di una nota generica, quale il potere sulla cosa, e di una nota specifica, identificata nell'attività corrispondente all'esercizio di un diritto reale, come modo di estrinsecazione del potere, che lo rende qualificato rispetto alla mera detenzione. Riguardo alla relativa natura giuridica del possesso, gli interpreti hanno offerto soluzioni alquanto variegate: alcuni hanno considerato il possesso come diritto (Cesareo Consolo, Trattato teorico-pratico del possesso e delle azioni possessorie, Torino 1901, 22); altri hanno optato per ritenerlo come fatto (Barassi, 485), con la precisazione che vanno tenuti distinti il possesso e il diritto a possedere (ius possidendi) che spetta al proprietario, dovendosi, invece, parlare di uno ius possessionis, attese le diverse conseguenze giuridiche connesse dall'ordinamento alla situazione di fatto in cui si identifica il possesso; altri ancora (Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1967, 252) hanno sostenuto che il possesso è all'origine un fatto che assurge, poi, a diritto, atteso che è sùbito produttivo di effetti giuridicamente rilevanti; si è, però, osservato (Levoni, 93) che la configurazione del possesso come fatto si limita a cogliere l'elemento materiale, trascurando quello psicologico, e non potendosi, comunque, configurare come mero atto giuridico, si è prospettato, piuttosto, come l'effetto di un atto; in una posizione intermedia, altri (Finzi, Il possesso dei diritti, Roma, 1915, 23) hanno preferito individuare nel possesso un fatto produttivo di conseguenze giuridiche che lo fanno rilevare come diritto; infine, non è mancato chi ha prospettato una concezione essenzialmente processualistica, secondo la quale il possesso consisterebbe in un diritto di azione, spettante al possessore, tendente ad ottenere una pronuncia, in sede giudiziale, di accertamento del possesso (Carnelutti, Sistema del diritto processuale civile, II, Padova 1939, 42); altri autori, infine, hanno considerato il possesso come un interesse legittimo, in considerazione della sua limitata protezione (Gentile, 10). La giurisprudenza, dal canto suo, ha avuto modo di perimetrare compiutamente il concetto di possesso, nelle sue varie applicazioni concrete. Invero, l'operatività della successione nel possesso (di cui all'art. 1146, comma 1) presuppone l'esistenza in capo al de cuius del possesso della res, il quale, secondo la nozione fornitane dall'art. 1140, si identifica nella manifestazione di un potere di fatto sulla cosa corrispondente all'esercizio di un diritto reale; ne consegue che, ove la successio possesionis sia negata da colui nei cui confronti essa sia fatta valere, è onere dell'erede dimostrare l'esistenza in capo al de cuius del suddetto rapporto di fatto con il bene in contestazione (Cass. III, n. 14760/2007). In tema di azione di spoglio, il possesso (o compossesso) di un bene, concretandosi in un potere di fatto sulla cosa, che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, non presuppone l'effettiva e continua utilizzazione della cosa in ogni sua parte, essendo sufficiente una relazione con il bene unitariamente considerato, anche se si concreti, per le particolari esigenze del possessore, in forme di godimento limitato (Cass. II, n. 7579/2007 cui adde Cass. II, n. 7538/2004). Esercizio saltuario del potere sulla cosaAffinando ulteriormente il concetto, i giudici di legittimità hanno precisato che, in tema di servitù discontinue, l'esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso, dovendo lo stesso essere determinato in riferimento alle peculiari caratteristiche ed alle esigenze del fondo dominante; pertanto, ove non risultino chiari segni esteriori diretti a manifestare l'animus dereliquendi, la relazione di fatto instaurata dal possessore con il fondo servente non viene meno per l'utilizzazione non continuativa quando possa ritenersi che il bene sia rimasto nella virtuale disponibilità del possessore (Cass. II, n. 3076/2005). Corpus possessionisRiguardo all'elemento oggettivo del possesso, si è sottolineato, in particolare, che, nella vendita ad effetti reali, un volta concluso il contratto, l'acquirente consegue immediatamente, e senza necessità di materiale consegna, non solo la proprietà ma anche il possesso giuridico (sine corpore) della res vendita, con l'obbligo del venditore di trasferirgli il possesso materiale (corpus), che si realizza con la consegna e che, quanto al tempo della sua attuazione, ben può essere regolato dall'accordo dell'autonomia delle parti (Cass. II, n. 569/2008). Animus possidendiIn ordine al requisito psicologico, si è puntualizzato che il possesso (o la detenzione) può essere conservato solo animo, purché il possessore (o il detentore) sia in grado di ripristinare ad libitum il contatto materiale con la cosa, sicché, ove tale possibilità sia di fatto preclusa da altri o da un'obiettiva mutata situazione dei luoghi, l'elemento intenzionale non è, da solo, sufficiente per la conservazione del possesso (o della detenzione), che si perde nel momento stesso in cui è venuta meno l'effettiva disponibilità della cosa (Cass. II, n. 1723/2016). Ai fini della prova dell'intervenuta usucapione, la coltivazione di un terreno, in modo pubblico, pacifico, continuo ed ininterrotto per i venti anni richiesti dall'art. 1158 ben può configurare lo ius possessionis, mentre la sussistenza dell'animus possidendi è desumibile in via presuntiva ed implicita dall'esercizio dell'attività materiale corrispondente al diritto di proprietà (Cass. II, n. 15446/2007). Ai fini dell'usucapione, l'animus rem sibi habendi non deve necessariamente consistere nella convinzione di esercitare un potere di fatto in quanto titolare del relativo diritto, essendo sufficiente che tale potere venga esercitato come se si fosse titolari del corrispondente diritto, indipendentemente dalla consapevolezza che invece esso appartiene ad altri (Cass. II, n. 2857/2006). Il possesso perdura anche per effetto della conservazione del solo animus se il mancato esercizio del godimento sulla cosa non dipenda da fatto estraneo alla volontà del possessore, tale da impedire che l'elemento del corpus possa essere ripristinato quando lo si voglia, salvo che la parte non abbia univocamente manifestato l'animus derelinquendi (Cass. II, n. 9396/2005). Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus, ma anche dell'animus; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale; pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all'usucapione, o mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l'animus possidendi nell'indicato soggetto (Cass. II, n. 15145/2004). In tema di possesso ed in ipotesi di conservazione del medesimo solo animo, onde accertare la sussistenza del dedotto spoglio è necessario verificare che non vi sia stata la dismissione del possesso, la quale può non coincidere con l'impossessamento altrui, potendo configurarsi (senza che si configuri anche il secondo) qualora l'impedimento al ripristino del corpus sia temporaneo ed il possessore solo animo rinunci ad utilizzare il bene nello stesso periodo senza manifestare in alcun modo il suo contrario intendimento. (Cass. II, n. 13138/2003). In tema di possesso, l'animus possidendi — da presumersi iuris tantum in presenza del corpus possessionis — consiste unicamente nell'intento di tenere la cosa come propria o di esercitare il diritto come a sé spettante, indipendentemente dalla conoscenza che si abbia del diritto altrui e del regime giuridico del bene su cui si esercita il potere di fatto: ai fini dell'usucapione, l'animus rem sibi habendi non deve necessariamente consistere nella convinzione di esercitare un potere di fatto in quanto titolare del relativo diritto, essendo sufficiente che tale potere venga esercitato come se si fosse titolari del corrispondente diritto, indipendentemente dalla consapevolezza che invece questo appartiene ad altri (Cass. II, n. 6079/2002). Al fine di stabilire se, in conseguenza di una convenzione con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile, si abbia un possesso idoneo all'usucapione, o una mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso, a tal fine dovendosi distinguere se la convenzione si configuri come contratto ad effetti reali o obbligatori, solo nel primo caso potendosi il contratto ritenere idoneo a determinare nell'indicato soggetto l'animus possidendi; deve pertanto escludersi che, nell'ipotesi in cui il godimento dell'immobile sia stato disposto nei confronti del promissario acquirente con apposita clausola del contratto preliminare, la disponibilità del bene da parte di quest'ultimo possa valere come esplicazione del possesso ad usucapionem, essendo il preliminare un contratto ad effetti obbligatori e non reali (Cass. I, n. 7142/2000). È possibile conservare il possesso mediante il solo animus possidendi e, quindi, prescindendo dal concreto esercizio del corpus, quando il possessore, che abbia cominciato a possedere animo et corpore, pur conservando la disponibilità materiale e, quindi, la possibilità di godere di fatto della res, in concreto se ne astenga per ragioni che non dipendono dal mutato stato dei luoghi o dall'eventuale acquisto del possesso da parte di terzi, sicché egli abbia in ogni tempo la possibilità di ripristinare il corpus, senza far ricorso ad azioni violente o clandestine (Cass. II, n. 1253/2000). In tema di possesso, l'animus possidendi non è escluso dalla consapevolezza nel possessore di non avere alcun valido titolo che legittimi il potere, posto che l'animus possidendi consiste unicamente nell'intento di tenere la cosa come propria mediante l'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall'effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui (Cass. II, n. 8422/2003). Capacità necessaria per l'acquisto del possessoSul versante della capacità necessaria per l'acquisto del possesso, si è affermato che, per acquistare il possesso è sufficiente la capacità di intendere e di volere (capacità naturale) della quale può essere dotato in concreto anche il minore di età; inoltre, l'accertamento dell'esistenza di tale stato soggettivo è demandato al giudice di merito, al cui potere discrezionale è rimessa la determinazione dei relativi criteri (Cass. II, n. 22776/2004). Per essere titolare di un rapporto possessorio diretto, trattandosi di un atto giuridico volontario e non di attività negoziale, è sufficiente la capacità naturale di agire, cioè la capacità di intendere e di volere della quale può essere dotato in concreto anche il minore di età, poiché soltanto l'assoluta incapacità di volere vale ad escludere l'elemento intenzionale del possesso (Cass. II, n. 6878/1986). Negozi di trasferimento del possessoIl principio, secondo cui la natura del rapporto di fatto che si costituisce con la consegna del bene in virtù di convenzione, dipende da quella degli effetti (reali od obbligatori) del contratto, con conseguenti esclusioni, in questa seconda ipotesi — in cui viene trasferita la detenzione nomine alieno — del possesso ad usucapionem, non trova applicazione allorché le parti, nello stipulare un contratto preliminare di compravendita, abbiano pattuito la clausola accessoria della consegna immediata del bene con funzione anticipatoria del successivo trasferimento della proprietà al quale tende il negozio, ciò in quanto, in una tale ipotesi, viene attribuito il possesso e non la detenzione della cosa (Cass. II, n. 11415/2003). Sussiste un possesso idoneo all'usucapione in capo ad un soggetto che riceva la consegna di un immobile in base ad una convenzione che, per quanto con effetti solo obbligatori, non si limiti ad assicurare il mero godimento della cosa, senza alcun trasferimento immediato o differito del bene, ma tenda a realizzare il trasferimento della proprietà o di un altro diritto reale su di esso, quando alla convenzione stessa acceda un immediato effetto traslativo del possesso sostanzialmente anticipatore degli effetti traslativi del diritto che con essa le parti si sono ripromesse di realizzare; in tal caso, l'immediato trasferimento del possesso, perfettamente compatibile con la convenzione stessa, caratterizza anche la consegna del bene oggetto della medesima, conferendole effetti attributivi della disponibilità possessoria, e non della mera detenzione, anche in mancanza dell'immediato effetto reale del contratto. La consegna, del resto, essendo il possesso un fenomeno che prescinde dal fondamento giustificativo, è atto neutro, o negozio astratto, che non richiede affatto il requisito del fondamento causale (Cass. II, n. 9106/2000). Il possesso, in quanto “attività” corrispondente all'esercizio di un diritto reale qualificata dall'animus possidendi, ossia dalla volontà di esercitare sulla cosa una signoria di fatto, non è suscettibile di trasferimento disgiunto dal diritto di cui esso costituisce l'esercizio; ne consegue che il contratto preliminare atipico con cui le parti si siano obbligate, rispettivamente, ad alienare ed ad acquistare la sola situazione possessoria, è nullo, ai sensi degli artt. 1418 e 1325, per l'impossibilità dell'oggetto e che, in caso di inadempimento, non è possibile ottenere una sentenza ai sensi dell'art. 2932 in sostituzione del contratto che si sarebbe dovuto concludere (Cass. II, n. 7283/1996; cui adde Cass. II, n. 13222/2014). Nel negozio traslativo della proprietà o di altro diritto reale, non è ravvisabile un costituto possessorio implicito, nel senso che al trasferimento del diritto a favore dell'acquirente segua immediatamente il possesso della cosa, perché tale trasferimento costituisce ai sensi dell'art. 1476, l'oggetto di una specifica obbligazione del venditore per il cui adempimento non sono previste forme tipiche; pertanto, nel caso in cui si protragga il godimento della cosa da parte dell'alienante, occorre indagare caso per caso, secondo il comportamento delle parti e alle clausole contrattuali che non siano di mero stile, se la continuazione da parte dell'alienante dell'esercizio del potere di fatto sulla cosa sia accompagnata dall'animus rem sibi habendi, o configuri una detenzione nomine alieno (Cass. II, n. 31434/2023; Cass. II, n. 6893/2014; Cass. II, n. 12621/1993). CompossessoParticolarmente interessanti si rivelano le puntualizzazioni dei magistrati di Piazza Cavour in tema di compossesso. Infatti, in tale situazione — come quella esistente tra i componenti di una comunione ereditaria in pendenza del giudizio di divisione — è ravvisabile una lesione possessoria solo quando uno dei condividenti abbia alterato e violato, senza il consenso e in pregiudizio degli altri partecipanti, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o restringere il godimento spettante a ciascun compossessore sulla cosa medesima mediante atti integranti un comportamento durevole, tale da evidenziare un possesso esclusivo animo domini su tutta la cosa, incompatibile con il permanere del possesso altrui (Cass. II, n. 25646/2008). In tema di condominio, le parti comuni di un edificio formano oggetto di un compossesso pro indiviso che si esercita diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari, a cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale — come, ad esempio, per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente, sicché la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipenda dall'attività dei rispettivi proprietari — come, ad esempio, per scale, portoni, anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l'acqua calda o per aria condizionata); pertanto, nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano — e soltanto per traslato il proprietario — trae da tali utilità, nel secondo caso nell'espletamento della predetta attività da parte del proprietario; qualora uno dei condomini, senza il consenso degli altri ed in loro pregiudizio, abbia alterato o violato, lo stato di fatto o la destinazione della cosa comune impedendo o restringendo il godimento spettante a ciascun possessore pro indiviso sulla cosa medesima in modo da sottrarla alla sua specifica funzione, sono esperibili da parte degli altri comproprietari le azioni a difesa del compossesso per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato, allo scopo di trarne quella utilitas alla quale la cosa era asservita prima della contestata modificazione; in proposito, peraltro, non si rende necessaria la prova specifica del possesso di detta parte quando essa sia costituita dalla porzione immobiliare in cui l'edificio si articola e l'eccezione feci sed iure feci è opponibile solo quando l'attività materiale del condomino non sia in contrasto con l'esercizio attuale o potenziale di analoga attività da parte di altro condomino, non limitandone i poteri corrispondenti ai diritti spettanti sulle cose condominiali (Cass. II, n. 16496/2005). Su di un immobile di proprietà esclusiva di un soggetto può ben crearsi una situazione di compossesso pro indiviso tra lo stesso soggetto proprietario ed un terzo, con il conseguente possibile acquisto, da parte di quest'ultimo, della comproprietà pro indiviso dello stesso bene, una volta trascorso il tempo per l'usucapione, nella misura corrispondente al possesso esercitato; né tale situazione di compossesso, che consiste nell'esercizio del comune potere di fatto sulla cosa, in tota et in qualibet parte della stessa, da parte di due soggetti, esige la esclusione del possesso del proprietario (perché in tal caso si tratterebbe di possesso esclusivo); né richiede che il compossessore effettivo ignori l'esistenza del diritto altrui, non valendo la contraria eventualità ad escludere l'animus possidendi che sorregge i comportamenti effettivamente tenuti dal possessore il quale abbia usato della cosa uti condominus (Cass. II, n. 13082/2002). In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem, e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando, per converso, necessario, a fini di usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (Cass. II, n. 8152/2001). Il solo fatto della convivenza, anche se determinata da rapporti intimi, non pone di per sé in essere nelle persone che convivono con chi possiede il bene un potere sulla cosa che possa essere configurato come possesso autonomo sullo stesso bene o come una sorta di compossesso (Cass. II, n. 8047/2001). Il compossesso non consiste nell'esercizio, solidaristico e comunitario, di un'unica signoria, rappresentando, piuttosto, la situazione della confluenza su di una stessa cosa di poteri plurimi, corrispondenti, nella loro estrinsecazione, ad altrettanti distinti diritti, di identico o di differente tipo; ne consegue che il convivente more uxorio del soggetto possessore dell'immobile in cui risiede la famiglia di fatto, in ragione di tale sola convivenza, pur qualificata dalla stabilità della relazione e protetta dall'ordinamento, non è compossessore con quello, ma detentore autonomo dell'immobile stesso, che, dunque, non può usucapire (Cass. II, n. 9786/2012). Possesso nomine alienoL'azione di reintegra ex art. 1168, è esperibile anche da parte di chi possegga la cosa per mezzo di altra persona cui abbia trasferito la detenzione qualificata del bene, e può essere esercitata nei confronti dello stesso detentore che abbia mutato la propria detenzione in possesso; costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, se vi sia stata negazione e privazione del possesso da parte del detentore o se si tratti di opposizione alle richieste del possessore riconducibili al godimento del bene, nell'ambito del rapporto obbligatorio in forza del quale è stata trasferita la detenzione (Cass. II, n. 9284/2008). II promissario acquirente di un bene immobile il quale, in virtù di un preliminare di compravendita, da un lato, anticipi in tutto o in parte il pagamento del prezzo e, dall'altro, ottenga l'immediata immissione nel godimento del bene per effetto dell'esecuzione anticipata della consegna della res da parte del promittente venditore, non può essere qualificato come possessore in grado di acquisirne la proprietà a titolo di usucapione, non avendo egli l'animus possidendi che, essendo uno stato di fatto, non può essere trasferito; costui, infatti, consegue la disponibilità materiale del bene in virtù di un contratto di comodato collegato al preliminare e ha, pertanto, la semplice detenzione qualificata della res, esercitata alieno nomine; per converso, l'anticipazione del prezzo si spiega con la stipulazione di un contratto di mutuo gratuito, anch'esso collegato al preliminare; tale detenzione, per trasformarsi in possesso utile ai fini dell'usucapione ventennale, necessita di uno specifico atto di interversio possessionis; quest'ultimo, peraltro, non è un semplice atto di volizione interna, ma deve chiaramente manifestarsi all'esterno attraverso il compimento di atti che consentano di desumere, anche al possessore, che il detentore ha iniziato a esercitare il potere di fatto sulla cosa nomine proprio (Cass. S.U., n. 7930/2008; cui adde Cass. II, n. 17245/2010; Cass. I, n. 4863/2010; Cass. II, n. 1296/2010). Il possesso può essere esercitato anche per il tramite dell'affittuario dell'immobile rilevando a tal fine l'animus e non il titolo (Cass. III, n. 14368/1999). Integra la posizione giuridica del detentore qualificato quella del conduttore in regola con il pagamento del canone; in tale fattispecie, il possessore permane nel rapporto possessorio utile ad usucapire il bene che ne è oggetto tramite il detentore autonomo (Cass. II, n. 2602/2001). Nel contratto d'appalto, il committente non perde il possesso del bene, ma continua ad esercitarlo tramite l'appaltatore ancorché questi sia un detentore autonomo, legittimato ex art. 1168 all'azione di reintegrazione contro il terzo autore dello spoglio (Cass. II, n. 4908/1998). La cessazione, per morte del comodante, del rapporto di comodato, alla base della detenzione nomine alieno del comodatario, non comporta, perdurando da parte di quest'ultimo il potere di fatto sulla cosa, l'automatico mutamento della detenzione in possesso utile ai fini dell'usucapione, essendo all'uopo necessario, ai sensi dell'art. 1141 comma 2, l'interversio possessionis (Cass. II, n. 12505/1993). In presenza di un contratto di donazione non ancora perfetto, per la mancanza della notificazione al donante dell'atto pubblico di accettazione del donatario, ai sensi dell'art. 782, comma 2, va riconosciuto in capo all'accipiens il solo animus detinendi e non l'animus possidendi, trattandosi di negozio traslativo non ancora venuto ad esistenza in quanto privo dell'elemento conclusivo di una fattispecie a formazione progressiva (Cass. II, n. 7821/2015). L'alienazione della proprietà di una cosa non importa necessariamente che l'alienante il quale la trattenga, realizzi automaticamente un'inversione del possesso nomine proprio in detenzione per conto ed a nome dell'acquirente, dovendosi invece accertare, caso per caso, anche in base al materiale comportamento delle due parti contraenti rispetto al bene alienato e prescindendo da eventuali clausole di mero stile sul trasferimento del possesso, se la continuazione da parte dell'alienante dell'esercizio del potere di fatto sulla cosa sia effettivamente accompagnata dall'animus rem sibi habendi (Cass. I, n. 6742/2014; Cass. II, n. 1156/1996). Rinuncia al possessoLa rinuncia al possesso da parte del proprietario di un bene, in quanto limitativa dello ius domini, non può presumersi ma deve risultare da una univoca manifestazione di volontà abdicativa, sicché la semplice astensione dall'esercizio del possesso non è sufficiente a determinarne la perdita, potendosi ritenere che permanga l'animus possidendi quando sia sempre possibile al possessore ripristinarne l'esercizio (Cass. II, n. 14370/1999), La rinuncia al possesso da parte del proprietario di un bene, in quanto limitativa dello ius domini, non può presumersi ma deve risultare da un'univoca manifestazione di volontà abdicativa; tale carattere non può riconoscersi, potendo il possesso essere conservato solo animo, al mero fatto dell'abbandono del domicilio coniugale da parte del proprietario di un fondo rustico, ancorché seguito da assoluto disinteresse per la sorte del medesimo lasciato in godimento ai familiari (Cass. II, n. 39/1992). Ai fini del mantenimento del potere di fatto, non occorre da parte del possessore l'esplicazione di continui e concreti atti di fruizione e di possesso sulla cosa, ma è sufficiente che questa, anche in relazione alla sua destinazione, possa continuare a considerarsi rimasta nella sua virtuale disponibilità, salvo che non risulti esteriorizzato, attraverso chiari ed inequivoci segni, l'animus derelinquendi (Cass. II, n. 8612/1998). Il mancato esercizio per un anno di una servitù di passaggio a intervalli infrannuali non fa perdere al titolare il possesso della stessa ove ne permanga la possibilità e resti, quindi, fermo l'animus possidendi; invero, il carattere saltuario dell'esercizio delle servitù discontinue non ostacola l'esperibilità delle azioni a tutela del possesso, dovendo esso essere valutato in relazione alle peculiari caratteristiche ed esigenze delle servitù stesse, essendo sufficiente, una volta instaurata sul bene la relazione di fatto sostenuta dal relativo animus possidendi, che il bene possa continuare a considerarsi nella virtuale disponibilità del possessore, che può venir meno soltanto in presenza di chiari ed univoci segni dell'animus derelinquendi (Cass. II, n. 3660/1996). Beni suscettibili di possessoLa giurisprudenza ha avuto anche modo di specificare quali beni fossero o meno suscettibili di possesso. Invero, il titolare di impianto di trasmissioni radiotelevisive via etere in ambito locale che utilizzi di fatto e con preuso, anche in mancanza dell'autorizzazione amministrativa, una certa banda di frequenza, è portatore nei confronti di altro utilizzatore privato che si trovi nella medesima condizione ed interferisca sulla stessa frequenza, di posizioni giuridiche soggettive, tutelabili davanti al giudice ordinario, sia in sede possessoria che petitoria (Cass. S.U., n. 17465/2009). Le onde elettromagnetiche utilizzate come veicolo, su una determinata banda di frequenza, delle immagini e suoni prodotti da una emittente, non possono formare oggetto di diritti e di possesso separatamente ed indipendentemente dal complesso degli impianti e delle attrezzature dell'azienda televisiva emittente, nel cui ambito di possesso rientrano; ne consegue che il proprietario di un apparecchio televisivo che si ritenga danneggiato da interferenze nella ricezione dei programmi irradiati da una emittente televisiva, provocate dall'occupazione da parte di altra stazione emittente dalla banda di frequenza da sempre utilizzata dalla prima emittente, non può invocare la tutela possessoria delle onde predette, sulla quale non ha alcun potere di fatto, corrispondente a quella di un diritto reale, a tanto essendo legittimata soltanto l'azienda di diffusione dei programmi radiotelevisivi che lamenti lo spoglio o la turbativa da parte dell'altra emittente (Cass. II, n. 4999/1993). Ai fini del possesso necessario al conseguimento dell'usucapione, va considerata utilmente la signoria esercitata su un fabbricato sebbene in corso di costruzione, posto che anche su un bene in fieri possono esercitarsi con pienezza tutte le facoltà dominicali (Cass. II, n. 4428/2009). In tema di possesso, l'utilizzazione, da parte dei condomini di uno stabile, di un'area condominiale ai fini di parcheggio, non è tutelabile con l'azione di reintegrazione del possesso di servitù, nei confronti di colui che l'abbia recintata nell'asserita qualità di proprietario; per l'esperimento dell'azione di reintegrazione occorre infatti un possesso qualsiasi, anche se illegittimo ed abusivo, purché avente i caratteri esteriori di un diritto reale, laddove il parcheggio dell'auto non rientra nello schema di alcun diritto di servitù, difettando la caratteristica tipica di detto diritto, ovverosia la “realità” (inerenza al fondo dominante dell'utilità così come al fondo servente del peso), in quanto la comodità di parcheggiare l'auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come un'utilità inerente al fondo stesso, trattandosi di un vantaggio del tutto personale dei proprietari (Cass. II, n. 1551/2009). Il diritto al sepolcro, inteso come diritto alla tumulazione, ha natura di diritto reale patrimoniale ed è suscettibile di tutela possessoria (Cass. II, n. 1009/2008). Il diritto sul sepolcro già costituito è un diritto soggettivo perfetto, assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di possesso nonché di trasmissione inter vivos o di successione mortis causa, e come tale opponibile agli altri privati, atteso che lo stesso nasce da una concessione amministrativa avente natura traslativa — di un'area di terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale — che, in presenza di esigenze di ordine pubblico o del buon governo del cimitero, può essere revocata dalla p.a. nell'esercizio di un potere discrezionale che determina l'affievolimento del diritto soggettivo ad interesse legittimo; in difetto di una diversa espressa volontà del fondatore, il sepolcro deve presumersi destinato sibi familiaeque suae (Cass. II, n. 8804/2003; Cass. II, n. 5923/1999; Cass. II, n. 9838/1993; Cass. II, n. 9837/1991). In tema di somministrazione di energia elettrica, l'utente che abbia subito il distacco della fornitura non può esperire le azioni possessorie, giacché l'interruzione di energia in corso di prelievo con fonti di illuminazione attive (o apparecchiature elettriche di accumulo funzionanti) non comporta spoglio di energia, essendo questa già consumata (o accumulata) né è configurabile lo spoglio per quella eroganda, che non può essere oggetto di possesso attuale, perché prima dell'apprensione vi è soltanto potenziale disponibilità realizzabile mediante la concreta utilizzazione solo con la persistente collaborazione dell'ente erogatore; d'altra parte, neppure può sussistere una situazione di possesso in relazione alla potenza assicurata, atteso che in tal caso manca il benché minimo riferimento a un bene reale, evidenziandosi soltanto un obbligo contrattuale dell'ente erogatore a rendere possibile all'utente un assorbimento simultaneo di energia elettrica sino alla predeterminata quantità convenuta (Cass. II, n. 24182/2004). L'utente di energia elettrica che abbia subito l'indebita interruzione dell'erogazione mediante distacco dei fili conduttori o altra operazione materiale ad opera dell'ente somministrante, può soltanto esercitare l'azione contrattuale di inadempimento, ma non invocare la tutela possessoria ex art. 1168, in quanto, pur definendo l'art. 814 le energie come beni mobili, non è concretamente configurabile una situazione di autonomo possesso dell'utente sull'energia elettrica fornitagli in base a contratto di somministrazione, neppure per la quantità di energia presente nel circuito privato dell'utente stesso, atteso che l'interruzione in corso di prelievo di energia con fonti di illuminazione attive (o apparecchiature elettriche di accumulo funzionari) non comporta spoglio di energia, essendo questa di già consumata (o accumulata), né di quella eroganda, che non è ancora oggetto di possesso attuale, mentre prima dell'apprensione non vi è autonomo possesso dell'utente ma soltanto potenziale disponibilità, realizzabile mediante la concreta utilizzazione solo con la persistente collaborazione dell'ente fornitore (Cass. II, n. 9312/1993). Pur definendosi titoli di partecipazione, in quanto attribuiscono un complesso di poteri e di diritti che si riassumono nello status di socio, i titoli azionari, essendo anch'essi essenzialmente caratterizzati dall'incorporazione del diritto nel documento, rientrano nell'ampia categoria dei titoli di credito (nominativi), e, come tutti i titoli di credito, sono qualificabili come beni mobili e sono, in quanto tali, suscettibili di possesso in senso tecnico, dato che la disponibilità del documento attribuisce al soggetto la tutela giuridica degli interessi che quel documento esprime (Cass. I, n. 2103/1982). BibliografiaBarassi, Diritti reali e possesso, II, Milano, 1952; Caterina, Il possesso, in Trattato dei diritti reali, diretto da Gambaro e Morello, I, Milano 2008; Fedele, Possesso ed esercizio del diritto, Torino, 1950; Gentile, Possesso e azioni possessorie, Napoli, 1974; Levoni, La tutela del possesso, II, Milano, 1979; Natoli, Il possesso, ristampa, Milano, 1992; Tenella Sillani, Possesso e detenzione, in Dig. civ., XIV, Torino 1996. |