Codice Civile art. 1141 - Mutamento della detenzione in possesso.

Alberto Celeste

Mutamento della detenzione in possesso.

[I]. Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione.

[II]. Se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga a essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore. Ciò vale anche per i successori a titolo universale [1146].

Inquadramento

Con la norma in commento, si prevede che si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato ad esercitarlo semplicemente come detenzione. Invero, posto che la distinzione tra detenzione e possesso va rinvenuta nell'elemento psicologico — segnatamente, animus detinendi nella detenzione e animus rem sibi habendi nel possesso — se è agevole dimostrare l'elemento esteriore, non altrettanto può dirsi per l'elemento spirituale, nel senso che colui che, intendendo trarre gli effetti dal proprio possesso, dovesse dimostrare il suo stato psicologico, la prova sarebbe oltremodo difficile, oltre che lunga e dispendiosa. In quest'ottica, la norma de qua viene incontro a tale soggetto, stabilendo che basta fornire la prova della detenzione, mentre spetterà a colui che nega il possesso dimostrare che chi detiene la cosa l'ha ricevuta per un titolo che esclude l'animus possidendi. Si aggiunge che, qualora qualcuno abbia cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga ad essere mutato o per causa proveniente da un terzo oppure in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore, e ciò vale anche per i successori a titolo universale. D'altronde, il mutamento di intenzione non può avere rilevanza se resta nella sfera del detentore, costituendo un fatto interno e, come, tale, incontrollabile, laddove, invece, per essere rilevante, va manifestato in modo tale che non sussista dubbio e il titolare possa, per converso, reagire avvalendosi dei rimedi giudiziari che l'ordinamento gli appresta.

Presunzione del possesso

In ordine alla prima parte della norma de qua, ossia in tema di presunzione di possesso utile ad usucapionem, la giurisprudenza ha affermato che l'art. 1141, comma 1, opera se e in quanto non si tratti di rapporto obbligatorio e presuppone, quindi, la mancanza di prova che il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente come detenzione, in conseguenza non di un atto volontario di apprensione, ma di un atto o un fatto del proprietario possessore.

In quest'ottica, si è affermato che, in un contratto ad effetti obbligatori, la traditio del bene non configura la trasmissione del suo possesso ma l'insorgenza di una mera detenzione, sebbene qualificata, salvo che intervenga una interversio possessionis, mediante la manifestazione esterna, diretta contro il proprietario/possessore, della volontà di esercizio del possesso uti dominus, atteso che il possesso costituisce una situazione di fatto, non trasmissibile, di per sé, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicché non opera la presunzione del possesso utile ad usucapionem, previsto dall'art. 1141, quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto (Cass. II, n. 29594/2022: nella specie, si era confermata la decisione di merito che, ravvisando l'esistenza di un contratto di comodato, aveva escluso che l'utilizzo esclusivo del bene ed il compimento di atti di amministrazione, per la conservazione ed il miglioramento delle sue condizioni, integrasse un atto di interversione del possesso nei confronti del proprietario, e successivamente dei suoi eredi, idoneo al mutamento del titolo).

In tale caso l'attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, occorrendo per la trasformazione della detenzione in possesso utile ad usucapionem il mutamento del titolo ex art. 1141, comma 2, che deve essere provato con il compimento di idonee attività materiali in opposizione al proprietario (Cass. II, n. 144/2007).

Quando è dimostrato il potere di fatto, pubblico e indisturbato, esercitato sulla cosa per il tempo necessario ad usucapirla, ne deriva, a norma dell'art. 1141, comma 1, la presunzione che esso integri il possesso, sicché incombe alla parte, che invece correla detto potere alla detenzione, provare il suo assunto, in mancanza dovendosi ritenere l'esistenza della prova della possessio ad usucapionem (Cass. II, n. 26984/2013).

La presunzione di possesso è ricollegata dall'art. 1141 ad un potere di fatto sulla cosa che si manifesta in attività corrispondenti all'esercizio della proprietà (o di altro diritto reale), sussistendo in tale ipotesi un possesso valido ad usucapionem; spetta a colui che contesta tale potere l'onere di provare che l'attività materiale corrispondente al possesso sia iniziata come mera detenzione (o come possesso precario), ovvero per tolleranza del titolare del diritto; ne consegue che, in tali casi, il soggetto che, assumendo di essere possessore, voglia tutelare in giudizio tale situazione, deve allegare e provare gli atti idonei ad integrare una interversione del possesso, a dimostrazione dell'avvenuto mutamento dell'originario animus detinendi in animus possidendi (Cass. II, n. 7817/2006).

La presunzione di possesso utile ad usucapionem di cui all'art. 1141 non opera quando la relazione con la cosa consegua non ad un atto volontario di apprensione, ma ad un atto o ad un fatto del proprietario possessore, poiché l'attività del soggetto che dispone della cosa (configurabile come semplice detenzione o precario) non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. In tal caso la detenzione non qualificata di un bene immobile può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo ad escludere che il persistente godimento sia fondato sul consenso, sia pure implicito, del proprietario concedente (Cass. II, n. 5551/2005. cui adde Cass. II, n. 21690/2014; Cass. II, n. 7271/2003).

L'attività svolta su una cosa per tolleranza di chi ha la facoltà di impedirla non costituisce, ai sensi dell'art. 1144, una situazione possessoria, sicché colui che la esercita non può giovarsi della presunzione di possesso utile ad usucapionem, di cui all'art. 1141, comma 1, che non opera quando la relazione con la cosa non consegua ad un atto volontario di apprensione, potendo il detentore non qualificato (per mancanza di titolo alla detenzione) divenire possessore soltanto qualora ponga in essere un atto di interversione della detenzione in possesso ai sensi dell'art. 1141, comma 2 (Cass. II, n. 18360/2004).

La presunzione di possesso è ricollegata dall'art. 1141 ad un potere di fatto sulla cosa che si manifesta in attività corrispondenti all'esercizio della proprietà (o di altro diritto reale); tuttavia tale presunzione non opera in favore di chi si trovi con la cosa in una relazione materiale che si svolge in nome del possessore e per sua volontà; ne consegue che in tali casi il soggetto che, assumendo di essere possessore, voglia tutelare in giudizio tale situazione, deve allegare e provare atti idonei ad integrare un'interversione del possesso, a dimostrazione dell'avvenuto mutamento dell'originario animus detinendi in animus possidendi (Cass. II, n. 12232/2002).

Posto che legittimato a proporre azione di manutenzione ex art. 1370 è il solo possessore, e non anche il detentore, e che la presunzione di possesso è ricollegata dall'art. 1141 dello stesso codice ad un potere di fatto sulla cosa che si manifesta in attività corrispondenti all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, secondo la definizione contenuta nell'art. 1140, va, per contro, rilevato che detta presunzione non opera in favore di chi si trovi con la cosa in una relazione materiale che si svolge in nome del possessore e per sua volontà, sia che si tratti di detenzione qualificata, sia di mera disponibilità materiale del bene, o detenzione semplice; peraltro, mentre nel primo caso il soggetto che, assumendo di essere possessore, agisca in giudizio a tutela di tale situazione, è tenuto solo ad allegare e comprovare atti idonei ad integrare una interversione del possesso, a dimostrazione dell'intervenuto mutamento dell'originario animus detinendi in animus possidendi, sicché il convenuto che intenda contestare tale pretesa acquisizione del possesso deve dimostrare la inidoneità degli atti posti in essere dalla controparte a tal fine, il detentore non qualificato, per comprovare la propria legittimazione ad ottenere la tutela possessoria, deve, invece, fornire la dimostrazione che la relazione con la cosa si caratterizza come possesso, e solo ove detta prova sia stata fornita, incombe sul convenuto, che neghi la configurabilità della posizione di possessore in capo al ricorrente, l'onere di fornire la prova contraria in ordine al potere di fatto sulla cosa (Cass. II, n. 1824/2000).

Non costituisce atto di interversione della detenzione in possesso, ai sensi dell'art. 1141, comma 2, la destinazione di un immobile da parte del detentore ad esercizio di culto, trattandosi di attività compatibile con l'appartenenza del bene a privati che, come previsto dall'art. 831, comma 2, non manifesta in modo inequivocabile e riconoscibile dall'avente diritto pretese dominicali sul bene trascendenti i limiti della detenzione ed incompatibili con il possesso del titolare della cosa (Cass. II, n. 7821/2015).

Interversione del possesso

In dottrina, si è puntualizzato che l'opposizione del detentore non deve rivestire alcuna forma particolare e può essere attuata anche con la semplice dichiarazione di volontà comunicata dallo stesso al titolare del diritto; tale dichiarazione, tuttavia, deve essere inequivoca, ossia tale da rilevare l'intento del detentore di continuare a tenere la cosa non più in nome altrui, ma per conto ed in nome proprio (Alvino, Interversione del possesso con particolare riguardo all'ipotesi dell'opposizione fatta contro il possessore, in Giust. civ., 1971, I, 480; sulla natura recettizia dell'atto di opposizione, Gentile, 178; contra, Sacco, in Tr. C. M., 1988, 183, il quale, sulla premessa che l'opposizione del detentore è costituita da una dichiarazione, sostiene che, pur non potendo equiparare tale dichiarazione ad un atto volitivo interno, né ad un comportamento concludente, non costituisce una dichiarazione di volontà, sicché, in caso di contestazione, la prova è da considerarsi libera). Conseguentemente, non possono costituire opposizione: l'inadempimento, da parte del detentore, degli obblighi derivanti dal negozio in forza del quale egli detiene (Montel, in Tr. Vas., 1962, 232); la mera continuazione del rapporto di fatto dopo la scadenza del termine stabilito per la consegna della cosa al possessore mediato, dovendosi, l'opposizione del detentore, manifestare con fatti positivi e non già meramente omissivi (Sertorio, Sull'inversione del titolo del possesso, in Giur. agr. 1966, 51).

Relativamente all'ipotesi contemplata nel capoverso della norma de qua, la giurisprudenza ha chiarito che l'art. 1141 non consente al detentore di trasformarsi in possessore mediante una sua interna determinazione di volontà, ma richiede, per il mutamento del titolo, o l'intervento di “una causa proveniente da un terzo”, per tale dovendosi intendere qualsiasi atto di trasferimento del diritto idoneo a legittimare il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità, efficacia dell'atto medesimo, compresa l'ipotesi di acquisto da parte del titolare solo apparente, oppure l'opposizione del detentore contro il possessore, opposizione che può aver luogo sia giudizialmente che extragiudizialmente e che consiste nel rendere noto al possessore, in termini inequivoci e contestando il di lui diritto, l'intenzione di tenere la cosa come propria (Cass. II, n. 5419/2001).

Nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si realizza un'anticipazione degli effetti traslativi, fondandosi la disponibilità conseguita dal promissario acquirente sull'esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori, sicché la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem ove non sia dimostrata una interversio possessionis nei modi previsti dall'art. 1141 (Cass. II, n. 5211/2016).

Ai fini dell'interversione del possesso, di cui all'art. 1141, comma 2, l'edificazione di un fabbricato sul terreno ricevuto in detenzione, espressamente autorizzata dal proprietario del suolo, non costituisce un'attività posta in essere “contro” il possessore, e non può, conseguentemente, essere invocata dal detentore quale atto di “opposizione” idoneo a mutare il titolo del rapporto con la cosa (Cass. II, n. 27584/2013).

Ai fini del mutamento della detenzione in possesso, non è necessaria l'opposizione del detentore nei confronti del possessore, richiesta dal comma 2 dell'art. 1141, qualora il mutamento del titolo scaturisca da un atto dello stesso possessore a beneficio del detentore (Cass. II, n. 483/2024Cass. II, n. 13008/2010).

Il comodato di un alloggio ad uso abitativo costituisce detenzione, non quindi possesso ad usucapionem, in favore tanto del comodatario, quanto dei familiari con lo stesso conviventi, con la conseguenza che il comodatario che si opponga alla richiesta di risoluzione del comodato sostenendo di avere usucapito il bene, deve provare l'intervenuta interversione del possesso e non solo il mero potere di fatto sull'immobile (Cass. III, n. 11374/2010; Cass. III, n. 24222/2009).

Poiché il comodatario, quale detentore della cosa comodata, non può acquistare il possesso ad usucapionem senza prima avere mutato, mediante una interversio possessionis, la sua detenzione in possesso, deve ritenersi che l'intenzione, manifestata da chi eserciti un potere di fatto su di un bene, di stipulare per iscritto un contratto di comodato con il proprietario del bene stesso sia incompatibile con la sussistenza del possesso utile ai fini dell'usucapione, in quanto contiene, ad un tempo, l'esplicito riconoscimento del diritto altrui e l'esclusione dell'intenzione di possedere per conto e in nome proprio (Cass. II, n. 15877/2013).

La presunzione di possesso utile ad usucapionem, di cui all'art. 1141, non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore, come nell'ipotesi della mera convivenza nell'immobile con chi possiede il bene; in tal caso, la detenzione può mutare in possesso soltanto con un atto di interversione, consistente in una manifestazione esteriore, rivolta contro il possessore, affinché questi possa rendersi conto dell'avvenuto mutamento, da cui si desuma che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio (Cass. II. 27411/2019). 

Sempre in tema di usucapione, dalla presunzione discendente dall'art. 1141, comma 1, deriva un'inversione dell'onere probatorio in punto di animus possidendi, cosicché non spetta al possessore dimostrare l'esistenza di tale elemento soggettivo, ma alla parte che si opponga all'avvenuta maturazione dell'usucapione dimostrarne la mancanza (Cass. II, n. 25095/2022: nella specie, si era cassata la sentenza con cui il giudice, nel valutare se l'accoglimento della domanda di rivendicazione potesse essere efficacemente contrastata dal maturare dell'usucapione, aveva invertito il riparto degli oneri probatori rispetto alla regola di cui all'art. 1141, comma 1, chiedendo ai coniugi convenuti, quali costruttori ed unici utilizzatori dell'immobile, di dimostrare l'animus possidendi e non già all'attore in rivendicazione di dimostrare il difetto di tale elemento soggettivo).

L'interversione nel possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d'esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente animus detinendi dell'animus rem sibi habendi; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento, e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all'esercizio del possesso da parte sua; a tal fine, sono inidonei atti che si traducano nell'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale, o si traducano in meri atti di esercizio del possesso, verificandosi in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (Cass. II, n. 2392/2009; Cass. II, n. 25652/2010).

Ai fini del mutamento della detenzione in possesso, chi abbia iniziato il godimento del bene a titolo di detenzione non può acquistarne il possesso finché il titolo non venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta nei confronti del possessore; quest'ultimo mutamento richiede, in particolare, il compimento di uno o più atti estrinseci, dai quali sia possibile desumere la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta, attraverso la negazione dell'altrui possesso e l'affermazione del proprio (Cass. II, n. 21252/2007).

Il fatto “proveniente dal terzo” che, ai sensi dell'art. 1141, comma 2, può costituire causa idonea ad operare il mutamento della detenzione in possesso non può consistere in un mero comportamento materiale, ma deve consistere in un atto che, indipendentemente dalla sua validità ed efficacia, sia diretto a trasferire al detentore il diritto corrispondente al possesso da questi vantato (Cass. II, n. 26228/2006). In proposito, si è precisato che la successione mortis causa non determina, di per sé, il mutamento della detenzione in possesso, ma può integrare quella causa proveniente da un terzo che, ai sensi dell'art. 1141, comma 2, comporta l'investitura, non importa se valida oppure no, in un diritto reale sul bene detenuto

Qualora il potere di fatto sulla cosa sia iniziato a titolo di detenzione (nella specie, comodato), per integrare il possesso utile ad usucapionem occorre un atto di opposizione con cui sia chiaramente manifestato nei confronti del proprietario l'intento di mutare tale detenzione in vero e proprio possesso uti dominus, corrispondente cioè all'esercizio del diritto di proprietà (Cass. II, n. 5854/2006).

Di contro, la mera mancata riconsegna del bene al comodante, nonostante le reiterate richieste di questi, a seguito di estinzione del comodato è inidonea a determinare l'interversione della detenzione in possesso, traducendosi nell'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, suscettibile, in sé, di integrare un'ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale all'obbligo restitutorio gravante per legge sul comodatario (Cass. II, n. 8213/2016).

In argomento, si è chiarito che il comodato precario di un bene immobile costituisce detenzione, non quindi possesso ad usucapionem, tanto in favore del comodatario quanto dei familiari con lo stesso conviventi, con la conseguenza che il comodatario che si oppone alla richiesta di risoluzione del comodato sostenendo di aver usucapito il bene non può limitarsi a provare il potere di fatto sull'immobile, ma deve dimostrare l'avvenuta interversione del possesso, cioè il compimento di attività materiali in opposizione al proprietario concedente (Cass. VI/II, n. 12080/2018: nella specie, si era confermato la decisione che aveva negato l'avvenuto perfezionamento dell'usucapione in un caso nel quale una comodataria era subentrata ex lege al marito nel precedente rapporto di mezzadria e aveva detenuto il fondo assieme ai familiari conviventi con il tacito consenso dei proprietari, senza mai compiere atti in contrasto con il diritto di questi ultimi).

La interversione idonea a trasformare la detenzione in possesso non può avvenire mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in un uno o più atti esterni, sebbene non riconducibili a tipi determinati, dai quali sia consentito desumere la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta in opposizione al possessore; la interversione del possesso, quindi, pur potendo realizzarsi mediante il compimento di attività materiali in grado di manifestare inequivocabilmente l'intenzione di esercitare il possesso esclusivamente nomine proprio, richiede sempre, ove il mutamento del titolo in base al quale il soggetto detiene non derivi da causa proveniente da un terzo, che l'opposizione risulti inconfondibilmente rivolta contro il possessore e cioè contro colui per conto del quale la cosa era detenuta, in guisa da rendere esteriormente riconoscibile all'avente diritto che il detentore ha cessato di possedere nomine alieno e che intende sostituire al preesistente proposito di subordinare il proprio potere a quello altrui, l'animus di vantare per sé il diritto esercitato, convertendo così in possesso la detenzione, anche soltanto precaria, precedentemente esercitata (Cass. I, n. 4404/2006).

L'interversione della detenzione in possesso può avvenire anche attraverso il compimento di attività materiali, se esse manifestano in modo inequivocabile e riconoscibile dall'avente diritto l'intenzione del detentore di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio, vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa (Cass. II, n. 12968/2006; Cass. II, n. 12820/2004; Cass. II, n. 7337/2002; Cass. II, n. 12149/1999).

L'apposizione di un lucchetto che impedisce l'accesso all'immobile non è idonea all'interversione del possesso, essendo un fatto compatibile con la tutela della detenzione, che non muta il titolo contro il possessore, se a lui non opposto per escluderne il possesso solo animo (Cass. II, n. 8115/2014).

Qualora un soggetto detenga un'azienda commerciale in virtù di un mandato stipulato con il proprietario, neanche l'estinzione di tale contratto per morte del mandante vale a trasformare il mandatario in possessore del bene ove l'interversione non si manifesti in uno o più atti esterni dai quali sia possibile desumere la modificata relazione del mandatario con la cosa detenuta, attraverso la negazione dell'altrui possesso e l'affermazione del proprio (Cass. I, n. 4404/2006).

In tema di mutamento della detenzione in possesso l'articolo 1141, comma 2, menziona l'atto di opposizione al possessore al fine di indicare che il mutamento della detenzione in possesso deve realizzarsi con atto esteriore percepibile; lo stesso può compiersi anche senza la partecipazione di colui che al momento ne risulta possessore, che pertanto non appare necessaria; é privo di alcun argomento convincente, pertanto, e si pone in contrasto la ratio legis (che la fine considerato si limita a richiedere un atto esteriore univocamente indirizzato all'acquisto del possesso) una lettura della ricordata disposizione escluderebbe il predetto mutamento (Cass. II, n. 9090/2007).

Ai fini del mutamento della detenzione in possesso, chi abbia iniziato il godimento del bene a titolo di detenzione non può acquistarne il possesso finché il titolo non venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta nei confronti del possessore; quest'ultimo mutamento richiede, in particolare, il compimento di uno o più atti estrinseci, dai quali sia possibile desumere la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta, attraverso la negazione dell'altrui possesso e l'affermazione del proprio (Cass. II, n. 21252/2007).

Il coerede che dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus; non è, al riguardo, univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato anche nell'interesse degli altri (Cass. II, n. 10734/2018).

Il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l'intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo (uti dominus), non ha la necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell'art. 1164, dovendo, peraltro, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui, non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l'erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore (Cass. II, n. 9100/2018).

Bibliografia

Barassi, Diritti reali e possesso, II, Milano, 1952; Caterina, Il possesso, in Trattato dei diritti reali, diretto da Gambaro e Morello, I, Milano 2008; Fedele, Possesso ed esercizio del diritto, Torino, 1950; Gentile, Possesso e azioni possessorie, Napoli, 1974; Levoni, La tutela del possesso, II, Milano, 1979; Natoli, Il possesso, ristampa, Milano, 1992; Tenella Sillani, Possesso e detenzione, in Dig. civ., XIV, Torino 1996.

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