Codice Civile art. 1158 - Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari.

Alberto Celeste

Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari.

[I]. La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni [1166].

Inquadramento

Un altro importantissimo effetto del possesso è l'usucapione, che può definirsi come il mezzo con cui, a seguito del possesso protratto per un certo tempo, e con la sussistenza di altri requisiti stabiliti dalla legge, si produce l'acquisto, a titolo originario, della proprietà (o di altri diritti reali di godimento). La ratio dell'istituto va rinvenuta, per un verso, nell'esigenza di rendere certa e stabile la proprietà, nel senso che, altrimenti, sarebbe difficile, se non impossibile, la prova della provenienza del diritto di proprietà, dovendosi risalire al proprietario originario, e, per altro verso, nell'esigenza di favorire chi occupa l'immobile e lo rende produttivo, nell'interesse suo e della collettività, a fronte del proprietario che è inerte o lo trascura. Dunque, requisiti per il maturarsi dell'usucapione sono il possesso ed il tempo. Sotto il primo profilo, il possesso non deve essere vizioso (ne vi nec clam), ossia non deve essere acquistato in modo violento, legittimandosi, al contrario, la violenza nei rapporti tra i consociati (ne cives ad arma ruant), né clandestino, non potendosi attribuire valore ad una condotta, se non fraudolenta, quantomeno occulta, e quindi tale da impedire all'interessato di reagire con i rimedi predisposti dall'ordinamento. Sotto il secondo profilo, il possesso deve essere continuativo per almeno venti anni, senza subire interruzioni, che possono essere civili, ossia quelle contemplate negli artt. 2943-2945 o naturali qualora il possessore sia stato privato del possesso per oltre un anno.

Fondamento dell'istituto

La dottrina tende ad individuare l'usucapione nel modo di acquisto della proprietà a titolo originario, la cui realizzazione richiede esclusivamente la sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge, ovvero il possesso e, per gli immobili nell'ipotesi ordinaria, il decorso del tempo protrattosi per vent'anni. Pertanto, una volta acquisita per usucapione la titolarità del diritto di proprietà, il proprietario viene investito, fra le altre, della facoltà di disporre del bene. Secondo l'interpretazione maggioritaria, questa facoltà non può essere vista come un quid pluris postulato dalla sola sentenza di accertamento, in quanto l'intervento del giudice è strumentale a verificare il compimento dell'usucapione ed ha, pertanto, una mera funzione dichiarativa della conseguente acquisizione del diritto. La funzione che gli interpreti attribuiscono a questo tipo di provvedimento è, dunque, solo quella di rendere definitivamente incontestabile il fatto che il diritto di proprietà sia acquisito in capo al soggetto che ha usucapito, precludendo eventuali ulteriori turbative da parte di soggetti terzi (per tutti, Vitucci, 3; Botta, 628). D'altro canto, si è messo in luce che la ratio dell'istituto è strettamente legata al rispetto dell'esigenza di certezza del diritto e, in particolare, delle situazioni dominicali: invero, nel consentire a colui che, a fronte dell'inerzia del titolare, ne gestisce economicamente i beni di acquisire la loro proprietà, il legislatore codicistico ha voluto convertire una situazione di mero fatto, consolidatasi nel tempo, in una situazione giuridica piena e definitiva, che sia, in quanto tale, certa e stabile e, dunque, opponibile erga omnes (De Martino, in Comm. S.B. 1984, 63; Ruperto, 1022).

Anche la giurisprudenza, dal canto suo, ha chiarito la ratio dell'istituto.

Invero, l'acquisto della proprietà per usucapione dei beni immobili ha per fondamento una situazione di fatto caratterizzata dal mancato esercizio del diritto da parte del proprietario e dalla prolungata signoria di fatto sulla cosa da parte di chi si sostituisce a lui nell'utilizzazione di essa; la pienezza e l'esclusività di questo potere che soddisfano il requisito dell'univocità del possesso e lo rendono idoneo a determinare il compiersi della prescrizione acquisitiva vanno dal giudice di merito apprezzate e valutate non in astratto ma con riferimento alla specifica natura del bene, alla sua destinazione economica e produttiva, alle utilità che esso secondo un criterio di normalità è capace di procurare al proprietario ed il cui conseguimento costituisce secondo un analogo criterio il precipuo contenuto delle sue facoltà di godimento (Cass. II, n. 4807/1992).

Al principio dell'ammissibilità di un'usucapione pro quota del diritto di proprietà non si sottraggono i muri di confine che appartengano ad uno solo dei proprietari dei fondi finitimi, non ostando a ciò la circostanza per la quale l'altro proprietario potrebbe, pur sempre, ottenerne coattivamente la comproprietà mediante il pagamento della metà del valore del muro e del suolo sottostante; la comunione forzosa costituisce, difatti, una particolare forma di acquisto a titolo derivativo della comproprietà del bene de quo, per nulla incompatibile, come tale, con l'usucapione, disciplinata, a sua volta, come generale ed alternativo modo di acquisto a titolo originario di tutti i diritti reali (Cass. II, n. 8122/2000).

Dalla retroattività degli effetti dell'acquisto di un diritto per usucapione, stabilita per garantire alla scadenza del termine necessario, la piena realizzazione dell'interesse all'adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto, deriva che se la Pubblica Amministrazione occupa sine titulo un fondo privato e vi installa un elettrodotto, con l'acquisto a titolo originario del diritto parziario, che non avviene con la realizzazione dell'opera pubblica perché agli iura in re aliena è inapplicabile la c.d. occupazione acquisitiva o accessione invertita, cessa l'illiceità permanente, e perciò si estingue non solo la tutela reale, ma anche quella obbligatoria per il risarcimento del danno provocato al proprietario del fondo per il ventennale possesso del diritto fino ad usucapirlo, nonché il credito indennitario; ne consegue che l'accertamento dell'avvenuta usucapione della servitù di elettrodotto esclude il presupposto del risarcimento da illecito, retroagendo gli effetti dell'usucapione, quale acquisto del diritto reale a titolo originario, al momento dell'iniziale esercizio della relazione di fatto con il fondo altrui, e togliendo ab origine il connotato di illiceità al comportamento di chi abbia usucapito (Cass. II, n. 4434/2009).

L'usucapione compiutasi all'esito di possesso ventennale da parte di un soggetto privo di titolo trascritto estingue le ipoteche iscritte o rinnovate a nome del precedente proprietario, quantunque non ancora perente, tale effetto estintivo riconducendosi non già ad una presunta usucapio libertatis bensì all'efficacia retroattiva dell'usucapione stessa (Cass. II, n. 8792/2000).

Immemorabile

L'istituto dell'immemorabile — non più applicabile ai rapporti privatistici in quanto abrogato dal codice civile del 1865 e non richiamato in vigore dall'attuale codice civile — è tuttavia operante, invece, nei rapporti di diritto pubblico ed in particolare in quelli che hanno ad oggetto beni demaniali; esso, a differenza dell'usucapione, non è un modo di acquisto del diritto, ma costituisce una presunzione di legittimità del possesso attuale, fondata sulla vetustas, e cioè sul decorso di un tempo talmente lungo che si sia perduta memoria dell'inizio di una determinata situazione di fatto, senza che ci sia memoria del contrario, di modo che la presunzione di corrispondenza dello stato di diritto allo stato di fatto implica che rispetto a quest'ultimo si presuma esistente il titolo legittimo e che, conseguentemente, possa ritenersi la legittimità dell'esercizio di diritti il cui acquisto non sarebbe attualmente possibile da parte di coloro che li esercitano; perché possa ritenersi realizzata la prova di siffatta situazione, essa deve provenire da soggetti appartenenti ad almeno due generazioni, vale a dire non solo dagli ultracinquantenni della generazione attuale ma anche, secondo il loro ricordo, dai rispettivi genitori (Cass. II, n. 4051/1983).

Conflitto con l'acquisto a titolo derivativo

Il principio secondo il quale il conflitto tra l'acquisto a titolo derivativo e l'acquisto per usucapione è sempre risolto a favore del secondo, indipendentemente dalla trascrizione della sentenza che accerta l'usucapione e dell'anteriorità della trascrizione di essa o della relativa domanda rispetto alla trascrizione dell'acquisto a titolo derivativo, trova applicazione anche in relazione all'acquisto di un bene per aggiudicazione in sede di esecuzione forzata, essendo quest'ultimo un acquisto non a titolo originario, ma a titolo derivativo, in quanto trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato da quest'ultimo all'acquirente (Cass. II, n. 15503/2000; Cass. II, n. 443/1985).

Ambito di applicazione

I magistrati di Piazza Cavour hanno avuto modo di perimetrare l'àmbito di operatività dell'istituto dell'usucapione.

In tema di acquisto di iura in re aliena per usucapione, può legittimamente dirsi apparente quella servitù al cui esercizio risultino obbiettivamente destinate opere non soltanto permanenti, ma anche visibili dal fondo servente, sì da rendere presumibile la conoscenza delle medesime da parte del proprietario di tale fondo; non può, pertanto, ritenersi apparente — e non è, per l'effetto, suscettibile di acquisto per usucapione — una pretesa servitù di riscaldamento (consistente nel diritto, accampato da un condomino, ed a suo dire esercitato per oltre vent'anni, di utilizzazione dell'impianto di riscaldamento realizzato da altro condomino per suo uso esclusivo), correlandosi la stessa all'installazione di tubi e di impianti non visibili dal presunto immobile servente (Cass. II, n. 321/1998).

In tema di giudizio volto all'accertamento della proprietà di un bene immobile per intervenuta usucapione, la circostanza che esso sia destinato a pertinenza rispetto ad un altro bene di proprietà dell'istante non fa venire meno la necessità di procedere all'accertamento richiesto, non potendo tale destinazione essere considerata, di per sé, alla stregua di un modo di acquisto della proprietà (Cass. II, n. 3069/2006).

I beni facenti parte del patrimonio disponibile dello Stato, in quanto assoggettati alle comuni regole di diritto privato, sono usucapibili e, perciò, tale forma di acquisto può essere riconosciuta in favore di privati che si siano pubblicamente impossessati di essi, occupandoli, per sopperire alle loro esigenze abitative in seguito ad eventi bellici (nella fattispecie, fin dal 1946), comportandosi uti domini, provvedendo ad installarvi gli impianti di cui erano privi, ad effettuare le opere necessarie a renderli abitabili, senza che la Pubblica Amministrazione abbia manifestato in proposito alcuna opposizione per un periodo continuativo di circa cinquanta anni (di gran lunga superiore a quello necessario ad usucapire), con la conseguenza che il potere di fatto dagli stessi esercitato corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà (presumendosi l'animus possidendi, indipendentemente dall'effettiva esistenza del relativo diritto o dalla conoscenza del diritto altrui) non può considerarsi viziato per contrasto con la volontà della Pubblica Amministrazione, dal momento che il comportamento accondiscendente della stessa amministrazione, tenuto durante tutto il lungo periodo trascorso del possesso esercitato, in relazione ad un bene del suo patrimonio disponibile, è idoneo a dimostrare, per facta concludentia, la volontà di non opporsi all'altrui possesso (Cass. II, n. 5158/2006).

La proprietà delle aree interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, su cui grava il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, può essere acquistata per usucapione, non comportandone tale vincolo indisponibilità, inalienabilità e incommerciabilità (Cass. II, n. 8262/2002).

 

Irrilevanza della buona fede

L'erronea convinzione che il possessore di un bene immobile abbia avuto della demanialità del bene (in realtà costituente oggetto di proprietà privata da parte di un terzo) non preclude l'acquisto del medesimo per usucapione, sia perché l'animus possidendi non consiste nella convinzione di essere proprietario (o titolare di un altro diritto sulla cosa), bensì nell'intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è un requisito del possesso utile ai fini dell'usucapione, ma solamente, nel concorso di altre condizioni, una ragione di abbreviazione dei relativi termini; sia perché, in particolare, non costituisce ostacolo al perfezionarsi dell'usucapione l'eventuale erronea supposizione della non usucapibilità del bene oggetto del possesso, non richiedendo la legge, oltre l'animus possidendi, una sorta di animus usucapiendi (Cass. II, n. 2565/1997).

L'elemento psicologico del possesso utile per l'usucapione ordinaria della proprietà di un immobile consiste nella intenzione del possessore di comportarsi come proprietario del bene, e prescinde dallo stato soggettivo di buona fede, che non è richiesto dall'art. 1158; pertanto, quel che rileva ai fini dell'usucapione non è la convinzione di esercitare un proprio diritto o l'ignoranza di ledere un diritto altrui, bensì la volontà di disporre del bene come se fosse proprio (Cass. II, n. 5964/1996).

Possesso continuato

A questo punto, è interessante verificare come la giurisprudenza abbia delineato in concreto i requisiti necessari per il maturare della prescrizione acquisitiva.

Ai fini della configurabilità del possesso ad usucapionem, è necessaria la sussistenza di un comportamento possessorio continuo e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un diritto reale, manifestato con il compimento di atti conformi alla qualità ed alla destinazione del bene e tali da rivelare sullo stesso, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria, in contrapposizione all'inerzia del titolare (Cass. II, n. 18392/2006; Cass. II, n. 4436/1996).

Ai fini dell'usucapione ordinaria di beni immobili è richiesto un possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto, non equivoco, accompagnato dall'animo di tenere la cosa come propria, che si protragga per oltre venti anni, cui corrisponda per la stessa durata la completa inerzia del proprietario, il quale si astenga dall'esercitare le sue potestà e non reagisca al potere di fatto esercitato dal possessore; ne consegue che il fatto di aver concesso in locazione a terzi un fabbricato, non può esser ritenuto, isolatamente considerato, un atto di dominio, perché il contratto di locazione può esser stipulato anche da soggetto diverso dal proprietario, purché abbia la disponibilità di fatto della cosa in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, mentre il possesso deve corrispondere all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, non ravvisabile nel mero godimento di una cosa ove non si traduca in un'attività materiale incompatibile con l'altrui diritto (Cass. II, n. 19186/2005).

Ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione, il possessore deve esplicare con pienezza, esclusività e continuità il potere di fatto corrispondente all'esercizio del relativo diritto, manifestando — con il puntuale compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione della cosa secondo la sua specifica natura — un comportamento rivelatore anche all'esterno di un'indiscussa e piena signoria di fatto su di essa, contrapposta all'inerzia del titolare; pertanto, la verifica in ordine all'idoneità del possesso a determinare il compiersi dell'usucapione deve essere effettuata dal giudice non in astratto ma con riferimento alla specifica destinazione economica e alle utilità che, secondo un criterio di normalità, il bene è capace di procurare (Cass. II, n. 25922/2005).

Posto che il possesso continuo e non interrotto attraverso il quale, con il decorso del tempo legislativamente previsto, si perviene all'acquisto a titolo originario della proprietà di un bene immobile, è quello che si esplica attraverso l'esercizio delle facoltà di godimento tipiche del diritto di proprietà, comprendenti tutte le forme di utilizzazione e disposizione del bene, ove il soggetto che intende usucapire la proprietà di un terreno sia titolare di un diritto di servitù sullo stesso, risulta idonea a tale scopo solo l'esplicazione di quelle attività corrispondenti all'esercizio delle residue forme di utilizzazione e disposizione che sono espressioni del diritto di proprietà, e non sono, invece, connaturate al diritto di servitù, né espressione non univoca di entrambi i diritti (Cass. II, n. 708/2001).

Ai fini della continuità del possesso, necessaria per l'acquisto a titolo di usucapione, quel che rileva è il comportamento del possessore, non già la volontà contraria del proprietario (Cass. II, n. 15092/2003).

L'acquisto della proprietà per usucapione dei beni immobili ha per fondamento una situazione di fatto caratterizzata dal mancato esercizio del diritto da parte del proprietario e dalla prolungata signoria di fatto sulla cosa da parte di chi si sostituisce a lui nell'utilizzazione di essa; la pienezza e l'esclusività di questo potere che soddisfano il requisito dell'univocità del possesso e lo rendono idoneo a determinare il compiersi della prescrizione acquisitiva vanno dal giudice di merito apprezzate e valutate non in astratto ma con riferimento alla specifica natura del bene, alla sua destinazione economica e produttiva, alle utilità che esso secondo un criterio di normalità è capace di procurare al proprietario ed il cui conseguimento costituisce secondo un analogo criterio il precipuo contenuto delle sue facoltà di godimento (Cass. II, n. 4807/1992).

La continuità del possesso va posta in relazione con la destinazione del bene che ne forma oggetto e l'intermittenza dei relativi atti di godimento, quando rivestono carattere di normalità in relazione a detta destinazione, non esclude la persistenza del potere di fatto sulla cosa (Cass. II, n. 9238/2000; Cass. II, n. 3081/1998).

Sotto il profilo contenutistico, si è precisato (Cass. II, n. 25498/2014) che non è ravvisabile una piena ed indiscussa signoria di fatto su un terreno di ampia dimensione (nella specie, trecento ettari) nella condotta di conduzione al pascolo di un numero esiguo di bovini (nella specie, dieci), nonché nella realizzazione di modeste opere accessorie (quali la costruzione di tratti di recinzione per non far disperdere gli animali e il riadattamento di un manufatto per custodirvi il mangime), trattandosi di attività qualitativamente e quantitativamente non corrispondenti all'esistenza di un completo dominio sulla cosa, necessario ai fini dell'acquisto della res per usucapione, tanto più ove esse coesistano con condotte di sorveglianza, custodia, sopralluogo e rilievo poste in essere dal proprietario.

Sotto il profilo processuale, si è precisato (Cass. II, n. 13156/2020) che, ove il difetto della continuità del possesso risulti ex actis dalla produzione della parte che quella continuità invochi, il giudice, anche se l'interruzione non sia stata dedotta dalla controparte e pur in contumacia della stessa, deve rigettare la domanda o l'eccezione, giacché, in tal caso, non giudica ultrapetita in violazione dell'art. 112 c.p.c., rilevando un fatto che avrebbe dovuto essere eccepito ad iniziativa della controparte, bensì si limita a constatare il difetto, risultante dagli atti del giudizio fornitigli dalla parte interessata, di una delle condizioni necessarie all'accoglimento della domanda o dell'eccezione

Laddove la giurisprudenza ha spesso fatto ricorso al concetto di possesso “continuo”, benché l'articolo in commento usi, invece, l'espressione possesso “continuato”, la dottrina si è chiesta se le due parole esprimano lo stesso contenuto (per la tesi affermativa, Sacco, in Tr. G. S.-P. 1960, 393). Certamente entrambe fanno riferimento, non ad una “ingerenza continua del possessore”, sebbene ad un “possesso non venuto meno, e comunque il possesso continuato si esplica in una signoria permanente sulla cosa. Taluni autori hanno negato che la continuità del possesso postuli la continuità degli atti di godimento, ritenendo, invece, sufficiente che il possessore sia in condizione di realizzarli in qualsiasi momento (Montel — Sertorio, 300).

Decorrenza del termine

Secondo la dottrina, il computo del tempo viene effettuato secondo i criteri di cui all'art. 2963, espressamente richiamato dall'art. 1165; di conseguenza, il decorso di questo periodo comincia nel giorno successivo a quello in cui è possibile datare il compimento dei primi atti di godimento non equivoci in cui si sostanzia il possesso, mentre il termine finale si identifica con l'ultimo giorno, non festivo, di possesso (Montel, Sertorio, 301). Su quest'ultimo termine, si è sottolineato che il periodo può dirsi completato solo ove sussistano tutti gli elementi che la legge richiede perché possa esservi possesso utile per l'usucapione: il dies a quo è, dunque, quello successivo al momento in cui si realizza l'ultimo requisito del possesso (De Martino, in Comm. S.B. 1984, 67).

La giurisprudenza ha aggiunto che l'accertamento relativo al possesso ad usucapionem alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell'usucapione è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici (Cass. II, n. 4035/2007).

Animus possidendi

In ordine all'elemento psicologico, i magistrati di Piazza Cavour hanno offerto le seguenti puntualizzazioni.

Ai fini della prova dell'intervenuta usucapione, la coltivazione di un terreno, in modo pubblico, pacifico, continuo ed ininterrotto per i venti anni richiesti dall'art. 1158 ben può configurare lo ius possessionis mentre la sussistenza dell'animus possidendi è desumibile in via presuntiva ed implicita dall'esercizio dell'attività materiale corrispondente al diritto di proprietà (Cass. II, n. 15446/2007; contra appare, più di recente, Cass. II, n. 6123/2020, ad avviso della quale la mera coltivazione del fondo non è sufficiente, perché non esprime in modo inequivocabile l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus).

Ai fini dell'usucapione, l'animus rem sibi habendi non deve necessariamente consistere nella convinzione di esercitare un potere di fatto in quanto titolare del relativo diritto, essendo sufficiente che tale potere venga esercitato come se si fosse titolari del corrispondente diritto, indipendentemente dalla consapevolezza che invece esso appartiene ad altri (Cass. II, n. 25245/2013; Cass. II, n. 2857/2006).

Per converso, al fine di escludere la sussistenza del possesso utile all'usucapione, non è sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l'altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l'animus possidendi non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell'intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà (Cass. II, n. 26641/2013).

Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus, ma anche dell'animus; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale; pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all'usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l'animus possidendi nell'indicato soggetto (Cass. II, n. 14092/2010; Cass. II, n. 1300/2010; Cass. II, n. 15145/2004).

Ai fini dell'usucapione, il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo, in quanto, anche dopo l'invalido trasferimento della proprietà, l'accipiens può possedere il bene animo domini, ed anzi, proprio la circostanza che la traditio venga eseguita in virtù di un contratto che, pur invalido, è comunque volto a trasferire la proprietà del bene, costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l'accipiens e la res tradita sia sorretto dall'animus rem sibi habendi (Cass. II, n. 14395/2004; Cass. II, n. 815/1999).

In tema di possesso, l'animus possidendi che, ai sensi dall'art. 1141 si presume in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale, non è escluso dalla consapevolezza nel possessore di non avere alcun valido titolo che legittimi il potere, posto che l'animus possidendi consiste unicamente nell'intento di tenere la cosa come propria mediante l'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall'effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui (Cass. II. n. 12002/2010; Cass. II, n. 8422/2003).

L'animus possidendi, necessario all'acquisto della proprietà per usucapione da parte di chi esercita il potere di fatto sulla cosa, non consiste nella convinzione di essere proprietario (o titolare di altro diritto reale sulla cosa), bensì nell'intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è requisito del possesso utile ai fini dell'usucapione; di conseguenza, la consapevolezza di possedere senza titolo, ed il compimento di attività negoziali o di altra natura, finalizzate a ottenere il trasferimento della proprietà del bene posseduto o la stabilità sul piano formale della situazione giuridica rispetto ad esso non esclude che il possesso sia utile ai fini dell'usucapione (Cass. II, n. 9671/2014; Cass. II, n. 10230/2002).

In tema di possesso, l'animus possidendi — da presumersi iuris tantum in presenza del corpus possessionis — consiste unicamente nell'intento di tenere la cosa come propria o di esercitare il diritto come a sé spettante, indipendentemente dalla conoscenza che si abbia del diritto altrui e del regime giuridico del bene su cui si esercita il potere di fatto: ai fini dell'usucapione, l'animus rem sibi habendi non deve necessariamente consistere nella convinzione di esercitare un potere di fatto in quanto titolare del relativo diritto, essendo sufficiente che tale potere venga esercitato come se si fosse titolari del corrispondente diritto, indipendentemente dalla consapevolezza che invece questo appartiene ad altri (Cass. II, n. 6079/2002).

Al fine di stabilire se, in conseguenza di una convenzione con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile, si abbia un possesso idoneo all'usucapione, ovvero una mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso, a tal fine dovendosi distinguere se la convenzione si configuri come contratto ad effetti reali o obbligatori, solo nel primo caso potendosi il contratto ritenere idoneo a determinare nell'indicato soggetto l'animus possidendi; deve pertanto escludersi che, nell'ipotesi in cui il godimento dell'immobile sia stato disposto nei confronti del promissario acquirente con apposita clausola del contratto preliminare, la disponibilità del bene da parte di quest'ultimo possa valere come esplicazione del possesso ad usucapionem, essendo il preliminare un contratto ad effetti obbligatori e non reali (Cass. I, n. 7142/2000; Cass. I, n. 5500/1996).

Resta inteso che, al fine di stabilire se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso oppure di semplice detenzione - dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come tale inidonea, ai sensi dell'art. 1144, a fondare la domanda di usucapione - assume rilievo la circostanza che l'attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, circostanza che assume efficacia di valore presuntivo circa l'esclusione dell'esistenza di una mera tolleranza e che non ricorre nel caso in cui la suddetta relazione di fatto si fondi su rapporti caratterizzati da vincoli particolari tra le parti, (Cass. II, n. 17880/2019, in fattispecie inerente ad un rapporto societario; Cass. II, n. 9661/2006).

Rinuncia

Il codice civile stabilisce che la rinuncia all'usucapione è possibile solo dopo che la stessa si sia compiuta (artt. 2937, comma 2, e 1165); la rinuncia può intervenire solo ad opera dell'usucapiente, unico soggetto legittimato a disporre del diritto acquisito (art. 2937).

Ad avviso della giurisprudenza, la rinuncia tacita alla usucapione è configurabile soltanto allorché sussista incompatibilità assoluta fra il comportamento del possessore e la volontà del medesimo di avvalersi della causa di acquisto del diritto, senza possibilità di diversa interpretazione (Cass. II, n. 10026/2002; cui adde Cass. II, n. 17321/2015).

La rinuncia tacita a far valere l'acquisto per usucapione di un diritto reale su un bene immobile può risultare da un comportamento della parte contrario all'acquisto e non richiede la necessità della forma scritta ad substantiam (Cass. II, n. 3122/1999).

La parte che rinunci a far valere l'acquisto per usucapione maturatosi per effetto del possesso ininterrotto del fondo protrattosi per un certo periodo di tempo non rinuncia ad un diritto di proprietà già acquisito, bensì solo ad avvalersi della tutela giuridica apprestata dall'ordinamento per garantire la stabilità dei rapporti giuridici, sicché a tale rinunzia indipendentemente dalla forma, esplicita o tacita, di essa, è inapplicabile l'art. 1350, n. 5), che impone l'osservanza della forma scritta, a pena di nullità, per gli atti di rinuncia a diritti reali, assoluti o limitati, su beni immobili (Cass. I, n. 4945/1996).

Al contrario della giurisprudenza maggioritaria, parte della dottrina nega la configurabilità di una rinuncia formale all'usucapione (Masi, in Tr. Res., 1982, 504).

Consegna del bene

Sussiste un possesso idoneo all'usucapione in capo ad un soggetto che riceva la consegna di un immobile in base ad una convenzione che, per quanto con effetti solo obbligatori, non si limiti ad assicurare il mero godimento della cosa, senza alcun trasferimento immediato o differito del bene, ma tenda a realizzare il trasferimento della proprietà o di un altro diritto reale su di esso, quando alla convenzione stessa acceda un immediato effetto traslativo del possesso sostanzialmente anticipatore degli effetti traslativi del diritto che con essa le parti si sono ripromesse di realizzare. In tal caso l'immediato trasferimento del possesso, perfettamente compatibile con la convenzione stessa, caratterizza anche la consegna del bene oggetto della medesima, conferendole effetti attributivi della disponibilità possessoria, e non della mera detenzione, anche in mancanza dell'immediato effetto reale del contratto; la consegna, del resto, essendo il possesso un fenomeno che prescinde dal fondamento giustificativo, è atto neutro, o negozio astratto, che non richiede affatto il requisito del fondamento causale (Cass. II, n. 9106/2000).

Nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull'esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori; pertanto, la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di un'intervenuta interversio possessionis nei modi previsti dall'art. 1141 (Cass. S.U., n. 7930/2008).

Il principio, secondo cui la natura del rapporto di fatto che si costituisce con la consegna del bene in virtù di convenzione, dipende da quella degli effetti, reali od obbligatori, del contratto, con conseguenti esclusioni, in questa seconda ipotesi (in cui viene trasferita la detenzione nomine alieno), del possesso ad usucapionem, non trova applicazione allorché le parti, nello stipulare un contratto preliminare di compravendita, abbiano pattuito la clausola accessoria della consegna immediata del bene con funzione anticipatoria del successivo trasferimento della proprietà al quale tende il negozio; ciò in quanto, in una tale ipotesi, viene attribuito il possesso e non la detenzione della cosa (Cass. II, n. 11415/2003; Cass. II, n. 7690/1993).

Al fine di stabilire se, in conseguenza di una convenzione con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile, si abbia un possesso idoneo all'usucapione, ovvero una mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso, a tal fine dovendosi distinguere se la convenzione si configuri come contratto ad effetti reali o obbligatori, solo nel primo caso potendosi il contratto ritenere idoneo a determinare nell'indicato soggetto l'animus possidendi; deve pertanto escludersi che, nell'ipotesi in cui il godimento dell'immobile sia stato disposto nei confronti del promissario acquirente con apposita clausola del contratto preliminare, la disponibilità del bene da parte di quest'ultimo possa valere come esplicazione del possesso ad usucapionem, essendo il preliminare un contratto ad effetti obbligatori e non reali (Cass. I, n. 7142/2000; Cass. I, n. 5500/1996).

Comunione e compossesso

In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem, e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando per converso necessario, ai fini dell'usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell'interessato attraverso una attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene, non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione consentiti al singolo partecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri (Cass. II, n. 17462/2009).

Il compossessore pro indiviso di un immobile, che poi consegua il possesso esclusivo di una porzione di esso in esito a divisione, può invocare, ai fini dell'usucapione di tale porzione, anche il precedente compossesso, in virtù della sopravvenuta qualità di successore nel compossesso degli altri condividenti e della possibilità, prevista dall'art. 1146, comma 2, di accessione del proprio possesso a quello esercitato dai condividenti medesimi (Cass. II, n. 4428/2009; Cass. II, n. 1049/1989).

Il coerede che dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso del terreno; a tal fine, egli, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede gode del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa comune (Cass. II, n. 7221/2009; Cass. II, n. 5226/2002; Cass. II, n. 6383/1988).

Il coerede o il partecipante alla comunione può usucapire l'altrui quota indivisa della cosa comune, dimostrando l'intenzione di possedere non a titolo di compossesso ma di possesso esclusivo (uti dominus) e senza opposizione per il tempo al riguardo prescritto dalla legge, senza la necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell'art. 1164, potendo, invece, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibili con il permanere del compossesso altrui; viceversa, non sono al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad un estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore (Cass. II, n. 16841/2005).

Su di un immobile di proprietà esclusiva di un soggetto può ben crearsi una situazione di compossesso pro indiviso tra lo stesso soggetto proprietario ed un terzo, con il conseguente possibile acquisto, da parte di quest'ultimo, della comproprietà pro indiviso dello stesso bene, una volta trascorso il tempo per l'usucapione, nella misura corrispondente al possesso esercitato; né tale situazione di compossesso, che consiste nell'esercizio del comune potere di fatto sulla cosa, in tota et in qualibet parte della stessa, da parte di due soggetti, esige l'esclusione del possesso del proprietario (ché in tal caso si tratterebbe di possesso esclusivo); né richiede che il compossessore effettivo ignori l'esistenza del diritto altrui, non valendo la contraria eventualità ad escludere l'animus possidendi che sorregge i comportamenti effettivamente tenuti dal possessore il quale abbia usato della cosa uti condominus (Cass., n. 13082/2002).

Dunque, è da ritenersi ammissibile l'usucapione della comproprietà pro indiviso, atteso che, sebbene il vigente diritto positivo non disciplini espressamente il compossesso pro indiviso, nulla impedisce la possibilità di un esercizio di fatto dell'attività corrispondente alla comunione del diritto di proprietà e, quindi, neppure la possibilità di pervenire, in presenza degli altri requisiti previsti dalla legge, all'acquisto della comproprietà a titolo di usucapione (Cass. II, n. 16695/2023).

Sul versante processuale, in tema di condominio, si è avuto modo di precisare (Cass. II, n. 25014/2020) che la proposizione di una domanda diretta all'estensione della proprietà comune mediante declaratoria di appartenenza al condominio di un'area adiacente al fabbricato condominiale, siccome acquistata per usucapione, implicando non solo l'accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati, esorbita dai poteri deliberativi dell'assemblea e dai poteri di rappresentanza dell'amministratore di condominio, il quale può esercitare la relativa azione solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino. Al contempo, ove un condomino, convenuto in un giudizio di rivendica di un bene comune, proponga un'eccezione riconvenzionale di usucapione, al fine limitato di paralizzare la pretesa avversaria, non si configura un'ipotesi di litisconsorzio necessario in relazione ai restanti comproprietari, risolvendosi detta eccezione, che pur amplia il thema decidendum, in un accertamento incidenter tantum, destinato a valere soltanto fra le parti, mentre, invece, in caso di domanda riconvenzionale di usucapione, il contraddittorio va esteso a tutti i condòmini perché l'azione è diretta ad ottenere un effetto di giudicato esteso a questi ultimi (Cass. II, n. 10745/2019).

Sistema tavolare

Nei territori in cui vige il sistema tavolare basato sul principio della pubblicità costitutiva, il valore costitutivo della iscrizione è limitato agli atti di acquisto inter vivos, e non si estende ai trasferimenti per causa di morte o agli acquisti per usucapione, ed il conflitto tra l'acquirente per atto fra vivi dall'intestatario tavolare che abbia proceduto per primo ad iscrivere il suo diritto e chi abbia acquistato il bene per usucapione si risolve in base al r.d. n. 499/1929 (art. 5), che prevede il principio di pubblica fede che assiste le risultanze dei libri fondiari, per cui l'acquisto effettuato in base a dette risultanze si presume avvenuto in buona fede, ed è onere del terzo che sostiene di aver acquistato il bene per usucapione provare che colui che ha acquistato dal titolare del bene in base al libro fondiario era in malafede, essendo stato a conoscenza della sussistenza dell'usucapione maturata ma non giudizialmente dichiarata ed iscritta, o essendo stato in grado di apprenderlo facendo uso della ordinaria diligenza; ciò che rileva, ai fini della opponibilità all'acquirente di un bene sulla fede del libro fondiario, di una servitù acquisita per usucapione non è la effettiva conoscenza da parte dell'acquirente dell'esercizio di fatto sul bene di una condotta corrispondente ad una servitù (nella specie, di passaggio), quanto piuttosto la possibilità di conoscenza, la conoscibilità di detta situazione da parte sua (Cass. II, n. 16961/2009).

In tema di usucapione di beni soggetti al regime tavolare, la mancata “intavolazione” della sentenza di acquisto del diritto di proprietà per usucapione è inopponibile a chi abbia acquistato sulla fede del libro fondiario, a meno che non risulti provata la conoscenza effettiva o la conoscibilità dell'avvenuta usucapione anteriore (Cass. II, n. 15196/2008).

Vendita forzata

È ammissibile e deve essere esaminata nel merito l'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., avverso l'esecuzione iniziata in base a decreto di trasferimento immobiliare, adottato in virtù dell'art. 586 c.p.c. a seguito di vendita forzata, quando l'opponente, nei cui confronti sia esercitata la pretesa esecutiva e chiesto il rilascio e che non si identifichi con il soggetto che ha subito l'espropriazione, si afferma proprietario del bene immobile oggetto del suddetto decreto in base ad acquisto fattone per usucapione ed asseritamente verificatosi anteriormente all'emissione del decreto di trasferimento in danno dell'espropriato (Cass. III, n. 10609/2009).

Bibliografia

Botta, Acquisto per usucapione e validità dell'atto di trasferimento dell'immobile, in Not. 2007, 6; Guerinoni, L'usucapione, in Trattato dei diritti reali, diretto da Gambaro e Morello, I, Milano, 2008; Montel-Sertorio, Usucapione, in Nss. D.I., XX, Torino, 1975; Natali, L'acquisto di servitù per usucapione, in Immob. & proprietà 2006, 212; Peratoner, Usucapione e trascrizione, in Giur. it. 2005, I; Ruperto, Usucapione (diritto vigente), in Enc. dir., XLV, Milano, 1992; Vitucci, Acquisto per usucapione e legittimazione a disporre, in Giust. civ. 2004, II.

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