Codice Civile art. 1198 - Cessione di un credito in luogo dell'adempimento.InquadramentoLa norma regola una specie di datio in solutum, ossia quella che avviene mediante la cessione del credito vantato dal debitore verso un terzo in luogo dell'adempimento. Secondo la tesi che attribuisce efficacia obbligatoria e non reale alla dazione, in entrambe le fattispecie delineate dalle due disposizioni l'effetto estintivo non discende dall'accordo, bensì dal conseguimento della prestazione. La fattispecie rientra nell'istituto della cessione del credito, con la differenza che si tratta di cessione pro solvendo ex lege, in deroga alla previsione dell'art. 1267 (Breccia, in Tr. I.Z., 1991, 558). Tuttavia, la sopravvivenza dell'obbligazione originaria non equivale alla garanzia della solvenza, ma assume una funzione analoga (Grassetti, Datio in solutum, in Nss. D.I., 1960, 174). Secondo altra prospettazione, in questa evenienza il creditore diviene titolare di due pretese concorrenti, con la conseguenza che alla cessio pro solvendo deve essere riconosciuta un'efficacia traslativa (Zaccaria, La prestazione in luogo di adempimento tra novazione oggettiva e negozio modificativo del rapporto, Milano, 1987, 198). Per la tesi della natura dispositiva è altro autore (Di Majo, in Comm. S.B., 1988, 360). Superate sono le tesi che riconducevano l'istituto alle figure del mandato a riscuotere ovvero della cessione dei beni al creditore. In base alla configurazione della fattispecie, la giurisprudenza esclude che si tratti di cessio pro solvendo con efficacia novativa (Cass. n. 340/1975). Anche la girata di titoli di credito (cambiali e assegni bancari), effettuata dal debitore al proprio creditore, integra un'ipotesi di cessione del credito pro solvendo in luogo di adempimento (Cass. n. 12246/1995; Cass. n. 9827/1992; Cass. n. 4205/1980). In tema di onere della prova, si è sostenuto che grava sul debitore cedente del proprio credito dimostrare la riscossione del credito ceduto (Cass. n. 9141/2007; Cass. n. 2344/1959). Le conseguenze giuridicheLa collocazione nell'ambito della cessio pro solvendo implica che il debito originario diviene provvisoriamente inesigibile. Inoltre, il risultato utile che eventualmente superi l'importo dovuto deve essere restituito. Viceversa, il credito originario diventa nuovamente esigibile per la differenza eventualmente non soddisfatta (Bianca, 433). Nel caso di inadempimento del terzo debitore, il creditore può scegliere se insistere per ottenere l'adempimento della prestazione oggetto del credito ceduto ovvero se agire per l'adempimento del credito originario, a seguito di risoluzione dell'accordo di cessione, conseguibile attraverso una semplice manifestazione di volontà, intesa come esercizio di uno ius poenitendi (Zaccaria, 227). Alla non realizzazione della causa della cessione nel caso di inutile tentativo di esazione del debitore ceduto si riferisce altra dottrina (Di Majo, in Comm. S.B., 1988, 361), sicché il creditore non potrebbe che agire verso il proprio debitore originario. Il credito originario non ritorna esigibile se la mancata realizzazione del credito ceduto per insolvenza del terzo debitore sia dipesa da negligenza del cessionario nell'iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore stesso. La giurisprudenza puntualizza che la cessione del credito in luogo dell'adempimento non comporta l'immediata liberazione del debitore originario, la quale consegue solo alla realizzazione del credito ceduto, ma soltanto l'affiancamento al credito originario di quello ceduto, con la funzione di consentire al creditore di soddisfarsi mediante la realizzazione di quest'ultimo credito; all'interno di questa situazione di compresenza, il credito originario entra in fase di quiescenza, e rimane inesigibile per tutto il tempo in cui persiste la possibilità della fruttuosa escussione del debitore ceduto, in quanto solo quando il medesimo risulta insolvente il creditore può rivolgersi al debitore originario. Ne consegue che finché non è esigibile il credito ceduto pro solvendo, tale non è nemmeno il credito originario; mentre quando quest'ultimo diviene esigibile, non per ciò stesso lo diviene anche il credito originario, atteso l'onere della preventiva escussione (da parte del cessionario) del debitore ceduto. Sicché, non essendovi estinzione del debito originario — con trasformazione novativa in obbligazione accessoria di garanzia del debito ceduto —, ma rimanendo in vita entrambi i debiti, con impossibilità di chiedere al cedente l'adempimento del debito originario in difetto di previa infruttuosa escussione del debitore ceduto, solo da tale momento, in conformità con il principio posto dall'art. 2935, inizia a decorrere la prescrizione relativa al debito ceduto (Cass. n. 3469/2007; Cass. n. 6558/2005). Pertanto, nella ipotesi di cessione di un credito pro solvendo, in cui il creditore cessionario diviene titolare di due crediti concorrenti, l'uno verso il proprio debitore e l'altro verso il debitore ceduto, si è in presenza di distinte obbligazioni, ciascuna avente una propria autonoma causa ed un'attitudine ad essere oggetto di autonomi atti di disposizione, con l'unico limite costituito dal fatto che l'obbligazione originaria è destinata ad estinguersi con la riscossione del credito dal debitore ceduto, ma senza che tale collegamento, concernente il momento estintivo delle due obbligazioni, comporti la necessità di una loro vita parallela in capo allo stesso titolare (Cass. n. 9495/2002). La cessione pro solutoLe parti possono concordemente derogare dallo schema della cessione pro solvendo e prevedere una cessione pro soluto. In tal caso il cedente deve garantire il nomen verum, cioè l'esistenza del credito ceduto, e non il nomen bonum, cioè la solvibilità del debitore (Bianca, 433). Sicché la cessione del credito in luogo di adempimento ha un'immediata efficacia estintiva dell'obbligazione e si identifica appieno con il modello regolato dall'art. 1266. La giurisprudenza sostiene che, in ipotesi di cessione di cambiali in luogo dell'adempimento, la volontà di conferire ai titoli efficacia pro soluto, con conseguente immediata estinzione dell'obbligazione di pagamento, deve essere espressa in modo univoco ed inequivocabile, mentre nel caso più comune di cessione pro solvendo l'estinzione dell'obbligazione originaria si verifica solo con la riscossione del credito verso il debitore ceduto, con conseguente onere di quest'ultimo, in applicazione dell'art. 2697, comma 2, di provare non solo la cessione, ma anche l'intervenuta estinzione del debito (Cass. n. 7820/2015). Si ricadeva nella cessione pro soluto ex lege, senza possibilità di deroga convenzione, con riguardo alla cessione dei crediti maturati nei confronti dello Stato, di altre pubbliche amministrazioni o di enti pubblici economici, prevista ai fini della regolarizzazione del pagamento dei contributi e dei premi dell'assicurazione obbligatoria e dei relativi oneri accessori (Cass. n. 4102/1993). Ma tale ipotesi normativa è stata abrogata. La cessione del credito quale mezzo anormale di pagamentoLa cessione di credito, se effettuata in funzione solutoria di un debito scaduto ed esigibile, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro od altri titoli di credito equivalenti, in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale, alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali, ed è suscettibile di revocatoria fallimentare. La cessione di credito pro solvendo, in quanto diretta all'estinzione di un'obbligazione del cedente come effetto ultimo di un negozio giuridico soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello per cui il pagamento è dovuto, integra, ai fini dell'art. 67, comma 1, n. 2, l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 166, d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), un mezzo anormale per il pagamento stesso, fermo restando che può essere stipulata anche a scopo di garanzia (in tal caso sulla diversità del regime probatorio v. Cass. n. 10092/2020), sicché, attesa la diversità, in tal caso, delle condizioni per l'assoggettamento a revocatoria fallimentare, è necessario accertare in concreto l'effettiva funzione solutoria in ragione della sua eventuale destinazione all'eliminazione o alla riduzione di una pregressa esposizione passiva. L'individuazione della finalità dipende unicamente dal contesto oggettivo e soggettivo della cessione medesima, e non da quello del successivo pagamento del credito ceduto, producendosi l'estinzione dell'obbligazione originaria solo con la riscossione di quel credito, per cui la stessa deve essere provata dal curatore che agisca per la revoca della cessione e per le restituzioni conseguenti (Cass. n. 23261/2014; Cass. n. 4213/1980). Si presume la conoscenza dello stato di insolvenza in capo al cessionario, il quale può vincerla non con una prova diretta dell'insussistenza di tale stato (che solo da un punto di vista logico rappresenta un presupposto dell'azione), ma con la dimostrazione di circostanze idonee a fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l'imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell'impresa (Cass. n. 25284/2013). Si deve, di contro, escludere la revocabilità della cessione solo quando essa sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito che venga così estinto (Cass. n. 26063/2017; Cass. n. 9388/2011), ossia quando sia stata stipulata a scopo di garanzia di un debito sorto contestualmente, dovendo intendersi la contestualità in senso eminentemente sostanziale e causale, e non già per estinguere un debito preesistente e scaduto (Cass. n. 1617/2009). BibliografiaBianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano 1997; Bigliazzi Geri, voce Buona fede nel diritto civile, in Dig. civ., 1988; Di Majo, Le modalità delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1986; Di Majo, L'adempimento dell'obbligazione, Bologna 1993; Giorgianni, voce Obbligazione (diritto privato), in Nss. D.I., Torino, 1965; Nicolò, voce Adempimento (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1958; Rescigno, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., Milano 1979; Rodotà, voce Diligenza (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1964; Romano, voce Buona fede (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1959; Rovelli, voce Correttezza, in Dig. civ., 1989; Schlesinger, Il pagamento al terzo, Milano, 1961. |