Codice Civile art. 1246 - Casi in cui la compensazione non si verifica.

Cesare Trapuzzano

Casi in cui la compensazione non si verifica.

[I]. La compensazione si verifica qualunque sia il titolo dell'uno o dell'altro debito, eccettuati i casi:

1) di credito per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato [1168];

2) di credito per la restituzione di cose depositate [1766 ss.] o date in comodato [1803 ss.];

3) di credito dichiarato impignorabile [1923 1; 545 c.p.c.];

4) di rinunzia alla compensazione fatta preventivamente dal debitore;

5) di divieto stabilito dalla legge [447 2, 1272 3, 2271] (1).

(1) V. art. 56 2 r.d. 16 marzo 1942, n. 267.

Inquadramento

La norma è strutturata in modo da sancire il principio generale della compensazione indipendentemente dalla natura del titolo da cui derivano i rispettivi debiti. I casi in cui la compensazione non è possibile sono concepiti in termini di eccezione alla regola (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 335). Qualora, a fronte di determinati crediti, la compensazione sia vietata, secondo l'elenco di cui alla previsione in commento, la compensazione non può essere eccepita dalla parte contro cui opera la limitazione, ma può essere opposta dall'altra parte (Ragusa-Maggiore, 27), salvo che si tratti di crediti alimentari (Schlesinger, 729). Le esclusioni sono previste per la compensazione stricto sensu e non sono suscettibili di applicazione estensiva.

Nei casi indicati la compensazione è impedita qualora si tratti di compensazione in senso tecnico, ma non è inibito il mero calcolo relativo ad un unico rapporto, seppure complesso, secondo il meccanismo della c.d. compensazione impropria o atecnica (Cass. n. 2879/1967). Inoltre la compensazione non può essere opposta con riguardo agli eventuali debiti del mutuatario verso il mutuante nell'ipotesi di mutui di scopo, in guisa della causa che connota l'utilizzazione delle somme ottenute in mutuo che impedisce ogni utilizzabilità alternativa, sicché il mutuante non potrà eccepire la compensazione in ragione di un credito vantato verso il mutuatario allo scopo di rifiutarsi di consegnare la somma mutuata (Cass. n. 2796/1972). Ancora non può formare oggetto di compensazione il credito del socio verso la società con il debito conseguente alla sottoscrizione di nuove azioni, a tutela delle corrispondenze tra capitale nominale e capitale reale (Cass. n. 13095/1992). In ultimo la S.C. ha sancito che i divieti di compensazione previsti dalla norma concernono anche la compensazione giudiziale (Cass. n. 573/1951).

La restituzione di cose oggetto di spoglio

Innanzitutto la norma esclude che possano costituire oggetto dell'eccezione di compensazione i crediti relativi alla restituzione di cose di cui il proprietario sia stato spogliato, a cui devono essere equiparate le obbligazioni di corrispondere l'equivalente di tali cose, ossia la aestimatio, quando non sia possibile la restituzione in natura. Ma si ritiene che più in generale il divieto possa estendersi all'obbligo di restituzione di cose illegittimamente sottratte ovvero al credito che abbia origine illecita (De Lorenzi, 74; Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 331). E tanto in ragione dell'antigiuridicità della fonte dell'obbligazione (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 336; Schlesinger, 728).

Della norma è stata fatta un'applicazione specifica in tema di spoglio, ove si è ritenuto che al proprietario che agisce per la restituzione di case delle quali sia stato ingiustamente spogliato, non può essere apposto in compensazione un suo debito, quale che ne sia il titolo, tranne che egli abbia chiesto oltre alla reintegrazione il risarcimento dei danni, nel qual caso, costituendo i danni un accessorio rispetto alla domanda principale di reintegrazione, la compensazione tra i danni richiesti dallo spogliato ed il debito dello stesso è possibile (Cass. n. 2092/1965). Anche la giurisprudenza dà una lettura ampia della norma, affermando che non è consentito al creditore trattenere in compensazione beni del debitore acquisiti sine titulo, principio che non conosce eccezioni fondate sull'asserita intenzionalità o particolare gravità dell'inadempimento di quest'ultimo e non autorizza appropriazioni indebite in via di reazione o rappresaglia (Cass. n. 5816/1998). Così la compensazione è vietata qualora il mandatario abbia distratto il denaro consegnatogli dal mandante (Cass. n. 4648/1979).

La restituzione di cose depositate o date in comodato

La previsione esclude poi che possano costituire oggetto dell'eccezione di compensazione le obbligazioni di restituzione delle cose date in deposito o in comodato e ciò anche con riguardo alle obbligazioni di restituzione dell'equivalente monetario, ossia della aestimatio rei. Il divieto sarebbe peraltro confermato anche sotto il profilo della carenza dei requisiti della fungibilità ed omogeneità della prestazione (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 331; Schlesinger, 728). La previsione è posta a tutela dell'affidamento del depositante e del comodante, in ragione della connotazione etico-fiduciaria del deposito e del comodato (De Lorenzi, 75; Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 338; Ragusa-Maggiore, 27). Secondo un'opinione il divieto si estenderebbe al deposito irregolare di cui all'art. 1782 (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 339; De Lorenzi, 75).

La S.C.ha specificamente applicato la norma escludendo la compensazione delle somme contenute in un libretto al portatore o depositate in conto corrente bancario (Cass. n. 1149/1956). Al contempo, avendo natura di deposito regolare, non è suscettibile di compensazione il deposito di una somma di denaro presso un notaio, effettuato dal venditore di un immobile a garanzia dell'adempimento dell'obbligo, dallo stesso assunto, di provvedere alla cancellazione di ipoteca gravante sul predetto immobile, trattandosi di deposito di natura fiduciaria e cauzionale, escludente ogni disponibilità, da parte del notaio, della somma depositata (Cass. n. 4071/1995). Il divieto, per converso, postulando l'esistenza di un contratto di deposito o di comodato, non può trovare applicazione al caso in cui si ponga un problema di compensazione fra il committente e l'agente, relativamente alle somme corrisposte dai clienti all'agente e che questi deve versare al committente, poiché tali somme, fintanto che non sono rimesse dall'agente al committente non possono considerarsi oggetto di un contratto di deposito corrente fra le parti, essendo la loro temporanea detenzione riconducibile all'obbligo dell'agente di riscuoterle e versarle, che trae titolo direttamente dal contratto di agenzia (Cass. n. 10025/2010; Cass. n. 12454/1999).

I crediti impignorabili

Inoltre la compensazione non può riguardare i crediti dichiarati impignorabili e, qualora l'impignorabilità sia solo parziale, il divieto di compensazione sarà limitato alla frazione impignorabile (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 346). La pignorabilità costituisce in realtà un ulteriore requisito della compensazione (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 332; Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 346; Schlesinger, 728). I crediti alimentari sono al contempo dichiarati impignorabili e non compensabili. Nondimeno si ammette la compensazione tra reciproci crediti alimentari (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 346).

La giurisprudenza ritiene che il divieto si applichi avuto riguardo alla natura del credito al quale la compensazione sia opposta (Cass. n. 1061/1971). Inoltre ammette la compensazione avente ad oggetto i crediti impignorabili quando l'eccezione sia sollevata dal creditore titolare del credito impignorabile (Cass. n. 1061/1971). I crediti di lavoro sono impignorabili e quindi non compensabili nei limiti di 1/5 (Cass. n. 9904/2003; Cass. n. 120/1974). Il credito dell'amministrazione, anche quando non abbia natura tributaria, costituisce un'obbligazione pubblica, regolata da norme che deviano dal regime comune delle obbligazioni civili, in ragione della tutela dell'interesse della P.A. creditrice alla pronta e sicura esazione delle entrate, sicché è impignorabile e non può costituire oggetto di compensazione (Cass. n. 9514/2009).  La compensazione del tfr con crediti del datore di lavoro è legittima, posto che il divieto previsto dall'art. 1246, n. 3, opera solamente per la compensazione propria e non anche per quella impropria (Cass. n. 21646/2016).

La rinunzia alla compensazione

L'esclusione della compensazione opera anche quando vi sia stata in via convenzionale rinunzia preventiva alla sollevazione dell'eccezione, salvo che la compensazione sia opposta dalla parte non rinunciante a cui non è preclusa la possibilità di avvalersene (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 349). La possibilità di rinunzia è chiaro indice rivelatore della natura dispositiva della disciplina della compensazione, ispirata ad interessi di natura prevalentemente privatistica (Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 332; Perlingieri, in Comm. S.B., 1988,  348). È preventiva la rinuncia effettuata prima che ricorrano tutte le condizioni integratrici della compensazione, con la conseguenza che si ha rinunzia preventiva anche successivamente alla coesistenza dei crediti che non siano ancora liquidi ed esigibili (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 351). La rinunzia può anche essere tacita (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 351; Schlesinger, 729; Di Prisco, in Tr. Res., 1999, 332) e può concernere anche crediti futuri (Schlesinger, 729). Nel caso di più creditori della stessa prestazione la rinuncia proveniente da uno non impedisce agli altri di valersene (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 349). La rinunzia è sempre una manifestazione di volontà unilaterale, che in quanto tale è estranea all'ipotesi dell'accordo preventivo a non eccepire la compensazione (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 349). Qualora la rinunzia preventiva a far valere la compensazione sia contenuta in condizioni generali di contratto, si tratta di clausola vessatoria.

Anche secondo la S.C. la rinunzia preventiva che impedisce di avvalersi della compensazione può avvenire per contegno concludente e può riguardare crediti futuri (Cass. n. 846/1953). La mera inerzia a far valere un diritto non costituisce una rinunzia alla compensazione (Cass. n. 7771/1987).

I divieti di legge

I crediti che sono espressamente indicati dalla legge come non compensabili sono quelli con funzione alimentare, quelli che attengono alla materia societaria, alla materia fallimentare e in tema di cessione del credito ed espromissione (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 346). Quanto al divieto sancito dall'art. 2271, che esclude la possibilità di compensare il debito di un terzo verso la società semplice con il credito che detto terzo vanta verso un socio della stessa società, in realtà a monte difetta il requisito di reciprocità dei soggetti interessati, atteso che la società di persone, sebbene priva di personalità giuridica, ha una soggettività giuridica autonoma dai soci che costituiscono la compagine sociale ed è autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive. Per legge non può aversi compensazione rispetto ai crediti dello Stato e degli altri enti pubblici per i quali vale la regola solve et repete (Schlesinger, 729). È discussa la compensabilità nel rapporto tra società e socio qualora il socio sia debitore proprio in tale qualità, ossia in occasione della costituzione o modificazione del capitale sociale. In specie sarebbe esclusa la compensazione nella sola ipotesi di debito del sottoscrittore al versamento in denaro ai fini della costituzione e omologazione societaria (Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 356).

Ai sensi dell'art. 56 l. fall. (per la nuova disciplina, v. l’art. 155 d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”), la compensazione dei reciproci debiti e crediti nei confronti del fallito o dell'impresa in liquidazione coatta amministrativa è ammissibile anche se i crediti non siano scaduti prima del fallimento o della messa in liquidazione coatta amministrativa(Cass. n. 518/2006). Nell'ipotesi di sottoscrizione di un aumento del capitale sociale l'oggetto del conferimento, da parte del socio, non deve necessariamente identificarsi in un bene suscettibile di espropriazione forzata bensì in una res dotata di consistenza economica; ne consegue la legittimità del conferimento attuato mediante compensazione tra il debito del socio verso la società ed un credito vantato dal medesimo nei confronti dell'ente, atteso che la società stessa, pur perdendo formalmente il suo credito al conferimento, acquista concretamente un valore economico, consistente nella liberazione da un corrispondente debito (Cass. n. 4236/1998, Giust. civ. 1998, 11, I, 2819, con nota di Vidiri). Per converso è preclusa la compensazione tra debito di conferimento e credito verso la società in relazione al capitale originario, né per il versamento dei decimi prescritti, perché la società ancora non esiste, né per i versamenti successivi, perché i conferimenti iniziali possono essere costituiti solo da beni idonei a formare oggetto di garanzia patrimoniale (Cass. n. 936/1996). Tra i crediti alimentari non rientra l'assegno di mantenimento fissato in sede di separazione tra coniugi, che ha lo scopo di consentire l'assistenza materiale del coniuge debole e che può costituire oggetto di compensazione (Cass. n. 6519/1996). 

Viceversa ha natura sostanzialmente alimentare l'assegno di mantenimento a beneficio dei figli, il che implica la non compensabilità (Cass. n. 11689/2018;  Cass. n. 23569/2016).

Bibliografia

Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, III, Milano 1964; Buccisano, La novazione oggettiva e i contratti estintivi onerosi, Milano 1968; De Lorenzi, voce Compensazione, in Dig. civ., 1988; Favero, voce Confusione, in Enc. dir., Milano 1961; Giacobbe-Guida, Remissione del debito (diritto vigente), in Enc. dir., Milano, 1988; Magazzù, voce Novazione (diritto civile), in Enc. dir., Milano 1978; Ragusa-Maggiore, voce Compensazione (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1961; Rescigno, voce Novazione (diritto civile), in Enc. dir., Milano 1965; Schlesinger, voce Compensazione, in Nss. D. I., Torino, 1959; Tilocca, voce Remissione del debito, in Nss. D. I., Torino, 1968.

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