Codice Civile art. 1260 - Cedibilità dei crediti.

Cesare Trapuzzano

Cedibilità dei crediti.

[I]. Il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito [1198], anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale [447] o il trasferimento non sia vietato dalla legge [323, 378, 1471, 1823] (1).

[II]. Le parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione.

(1) V. d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180.

Inquadramento

La cessione del credito è indicativa sia della fattispecie volontaria causativa dell'effetto traslativo del credito sia della produzione dell'effetto medesimo, ossia la vicenda modificativa dal lato attivo del rapporto obbligatorio, qualificata come successione a titolo particolare nella situazione creditoria (Perlingieri, 1) e così la relativa disciplina contiene profili riguardanti sia la fattispecie che l'effetto (Breccia, 778). Con riferimento alla fattispecie causativa si tratta di contratto bilaterale tra il cedente e il cessionario, al quale rimane estraneo il debitore ceduto, che ha immediata efficacia traslativa (Bianca, 579; Panuccio, 847). Deve ritenersi superato l'orientamento secondo cui si tratta di contratto trilaterale che esige la partecipazione necessaria anche del debitore ceduto (Sotgia, 157). Nondimeno la cessione del credito, sebbene normalmente consiste in un contratto bilaterale, si può attuare anche attraverso negozi che hanno una struttura diversa o mediante atti non negoziali (Perlingieri, 6). In particolare, nel caso di incedibilità relativa del credito, ossia rispondente ad un interesse disponibile del debitore, secondo alcuni la cessione richiede l'accettazione del debitore sicché si tratterebbe di negozio trilaterale (Perlingieri, 7); secondo altri in questa evenienza l'assenso del debitore ceduto è fuori del contratto e rappresenta un mero atto di autorizzazione privata (Bianca, 581). Sul piano degli effetti, è discusso invece se la cessione di credito sia una figura del tutto autonoma di contratto traslativo di diritti soggettivi (in questo senso Mancini, in Tr. Res., 1999, 380).

Alla natura immediatamente traslativa del contratto di cessione, che si perfeziona per effetto dello scambio dei consensi, e all'estraneità in via normale del debitore ceduto allude anche la S.C. (Cass. n. 4713/2019; Cass. n. 15364/2011; Cass. n. 13954/2006; Cass. n. 1312/2005; Cass. n. 7919/2004; Cass. n. 3887/1975). Qualora il cessionario, in ragione della produzione dell'effetto traslativo immediato, agisca contro il debitore ceduto il cedente non è un litisconsorte necessario (Cass. n. 21995/2018; Cass. n. 8980/2012; Cass. n. 16383/2006).

La causa

Il titolo giustificativo della cessione del credito può essere oneroso o gratuito. Tuttavia un titolo idoneo è indispensabile affinché l'effetto traslativo si realizzi. Il negozio, tipico o atipico che sia, deve avere una causa sufficiente secondo l'ordinamento giuridico (Breccia, 779; Carraro, 118). Sotto questo aspetto la cessione di credito è retta dagli stessi principi che governano il trasferimento dei diritti reali. Il fatto che si esiga necessariamente una causa per il trasferimento del credito non implica che detta causa debba essere indicata nell'atto di cessione e che debba darsene la relativa prova. Infatti la validità della causa si presume finché non sia fornita prova del contrario (Bianca, 587; Perlingieri, 5). In senso diverso altra dottrina osserva che la cessione ha una causa generica, rappresentata dal trasferimento del credito, che affinché possa essere operativa sul piano giuridico deve essere integrata con un titolo oneroso o gratuito, quali la vendita, la donazione, la garanzia, che ne costituisca il fondamento e ne rappresenti la giusta causa (Panuccio, 850; Mancini, in Tr. Res., 1999, 383; contra Carraro, 118). Sicché ad una causa generica fissa si accompagna una causa specifica variabile. È invece superata la tesi secondo cui la cessione è un negozio astratto, che non necessita di una causa particolare e contingente (Sotgia, 156; contra Perlingieri, 4; Panuccio, 849).

La giurisprudenza aderisce alla tesi secondo cui la cessione del credito è un negozio a causa genericaovvero ha natura di negozio astratto, restando irrilevanti per il debitore i vizi inerenti al rapporto causale sottostante (Cass. n. 28093/2021) – che deve essere accompagnato da una causa specifica variabile, la quale può assolvere a diverse funzioni (vendita, donazione, adempimento e garanzia), in cui il trasferimento del credito può avvenire a titolo gratuito o oneroso ed al quale si applica il principio della presunzione di causa, che può anche non essere indicata nello stesso negozio (Cass. n. 8145/2009; Cass. n. 13253/2006). Il cessionario che agisca nei confronti del debitore ceduto è tenuto a dare prova soltanto del negozio di cessione, quale atto produttivo di effetti traslativi, e non anche a dimostrare la causa della cessione stessa; né il debitore ceduto può interferire nei rapporti tra cedente e cessionario, in quanto il suo interesse si concreta nel compiere un efficace pagamento liberatorio, sicché egli è soltanto abilitato ad indagare sull'esistenza e sulla validità estrinseca e formale della cessione, specie quando questa gli sia stata notificata dal solo cessionario (Cass. n. 12611/2021Cass. n. 18016/2018 ; Cass. n. 13691/2012; Cass. n. 14610/2004).

La cessione in luogo di adempimento

Il debitore può concordare con il creditore che la prestazione che deve essere adempiuta sia sostituita dalla cessione di un credito che il medesimo debitore vanta verso un terzo. In tale evenienza la cessione ha una causa solutoria. Detta cessione può essere pro solvendo, e in tal caso l'estinzione dell'obbligazione originaria si realizza solo quando il credito ceduto venga riscosso dal creditore cessionario, ovvero pro soluto, e in tal caso l'obbligazione originaria si estingue già al momento della cessione in luogo di adempimento. Ai sensi dell'art. 1198 si presume la cessione pro solvendo sicché affinché l'obbligazione originaria si estingua immediatamente è necessario un patto espresso (Perlingieri, 5). La cessio pro solvendo rende inesigibile l'obbligazione originaria e produce il trasferimento immediato del credito ceduto sicché il cessionario ha il diritto esclusivo di pretendere la prestazione verso il debitore ceduto. Il cessionario esercita un diritto proprio, diversamente da ciò che accade in tema di pegno di credito, che non ha effetti traslativi e conferisce al creditore pignoratizio solo il diritto di riscuotere un credito altrui. Ove il cessionario riscuota il credito ceduto pro solvendo l'obbligazione originaria si estingue; ove per converso il credito ceduto scada infruttuosamente l'obbligazione originaria diviene nuovamente esigibile e il cessionario può pretenderne l'adempimento (Perlingieri, 6).

Anche la S.C. conferma tale distinzione: la cessione del credito in luogo dell'adempimento di cui all'art. 1198 non comporta l'immediata liberazione del debitore originario, che consegue solo alla realizzazione del credito ceduto, ma comporta l'affiancamento al credito originario di quello ceduto, con la funzione di consentire al creditore di soddisfarsi mediante la realizzazione di quest'ultimo credito; all'interno di questa situazione di compresenza il credito originario entra in fase di quiescenza e rimane inesigibile per tutto il tempo in cui persiste la possibilità della fruttuosa escussione del debitore ceduto, in quanto solo quando il medesimo risulti insolvente il creditore potrà rivolgersi al debitore originario (Cass. n. 6558/2005). In ipotesi di cessione di cambiali in luogo dell'adempimento la volontà di conferire ai titoli efficacia pro soluto, con conseguente immediata estinzione dell'obbligazione di pagamento, deve essere espressa in modo univoco e inequivocabile mentre nel caso più comune di cessione pro solvendo l'estinzione dell'obbligazione originaria si verifica solo con la riscossione del credito verso il debitore ceduto, con conseguente onere di quest'ultimo di provare non solo la cessione, ma anche l'intervenuta estinzione del debito (Cass. n. 7820/2015; Cass. n. 9141/2007).

La cessione a scopo di garanzia

La cessione del credito può avvenire anche a scopo di garanzia. Siffatto scopo è normalmente raggiunto condizionando risolutivamente la cessione, la quale ha efficacia traslativa immediata, all'adempimento del debitore garantito, di modo che l'adempimento di quest'ultimo comporti automaticamente il ritorno della titolarità del credito ceduto in capo al cedente (Dolmetta e Portale, 277; Mancini, in Tr. Res., 1999, 384). Lo scopo di garanzia può comunque essere previsto attraverso altre fattispecie (Perlingieri, 5). La cessione a fine di garanzia è ammissibile soltanto qualora il credito ceduto abbia ad oggetto danaro ovvero altra cosa fungibile appartenente allo stesso genus dell'oggetto del credito garantito. Diversamente da quanto avviene in caso di cessio pro solvendo, la cessione a scopo di garanzia non implica l'inesigibilità del credito originario, con la conseguenza che il creditore originario può rivolgersi indifferentemente al cedente o al ceduto: l'adempimento del cedente risolve la cessione mentre l'adempimento del ceduto estingue anche l'obbligazione principale (Dolmetta e Portale, 277). Qualora il credito ceduto a scopo di garanzia sia di ammontare superiore al credito garantito, il cessionario che riceva il pagamento dal debitore ceduto ha l'obbligo di restituire la parte eccedente l'importo garantito al cedente. Il patto in forza del quale il cessionario può trattenere l'intero importo del credito ceduto, e non solo la parte corrispondente all'importo garantito, è compatibile con la cessio pro solvendo in luogo di adempimento e non con la cessione a scopo di garanzia (Dolmetta e Portale, 277). La cessione a scopo di garanzia si distingue dal pegno di crediti, che è un diritto di garanzia che non dà mai luogo al trasferimento della titolarità del credito.

Anche la giurisprudenza ammette la stipulazione della cessione del credito, quale negozio a causa variabile, a fine di garanzia e senza che venga meno l'immediato effetto traslativo della titolarità del credito tipico di ogni cessione, in quanto è proprio mediante tale effetto traslativo che si attua la garanzia (Cass. n. 29608/2018; Cass. n. 15677/2009). La funzione di garanzia può caratterizzare sia la cessione di credito — negozio traslativo a causa variabile, nel quale il credito viene ceduto e, quindi, riscosso nel proprio nome e nel proprio interesse dal cessionario, divenutone il titolare in forza dell'effetto traslativo tipico della cessione, dispiegandosi la funzione di garanzia fino al momento in cui il credito del cessionario trovi piena soddisfazione mediante la sua riscossione — sia il mandato irrevocabile all'incasso, ove il pagamento viene ricevuto a nome del mandante, ma nell'interesse del mandatario, ed esplicandosi perciò in tal caso la funzione di garanzia in via di fatto, atteso che il mandatario, seppur eserciti al momento della riscossione del credito la legittimazione del mandante, viene a disporre delle somme incassate in vista di una finalità solutoria, nel suo precipuo interesse (Cass. n. 2517/2010).

La forma

La cessione richiede la forma propria del negozio mediante il quale si realizza (Breccia, 781; Perlingieri, 8; Carraro, 119). In linea di principio la cessione in se considerata non è sottoposta ad alcun vincolo particolare di forma, ai sensi dell'art. 1325, n. 4, e può essere stipulata anche oralmente, salvo che per il negozio traslativo cui accede sia prescritto uno specifico vincolo formale (Bianca, 587; Dolmetta e Portale, 259). Sicché qualora la cessione avvenga mediante donazione di non modico valore è richiesta la forma scritta ad substantiam; qualora sia contenuta in una transazione si esige la forma scritta ad probationem; qualora la cessione riguardi un credito assistito da una garanzia ipotecaria è richiesta la forma scritta ad regularitatem al fine pubblicitario di eseguire l'annotazione a margine dell'iscrizione. In base ad un'opinione la deroga al principio della libertà della forma opererebbe per la cessione di credito solo quando essa avvenga a titolo gratuito (Mancini, in Tr. Res., 1999, 385). La cessione dei crediti vantati da privati in favore della p.a. deve risultare ex lege da atto pubblico o scrittura privata autenticata; in mancanza il contratto sarà inefficace ma non invalido. Le parti possono stabilire una forma convenzionale per la cessione di credito.

Secondo la giurisprudenza la cessione è sottratta ad ogni esigenza di forma, se non richiesta dal negozio costituente la causa del trasferimento dei crediti, e può essere dimostrata anche mediante prova testimoniale o presuntiva (Cass. n. 18016/2018; Cass. n. 1396/1974). L'art. 69 r.d. n. 2440/1923, che esige per l'efficacia della cessione del credito di un privato verso la P.A. la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, è norma eccezionale, che riguarda la sola amministrazione statale ed è insuscettibile di applicazione analogica o estensiva ad amministrazioni diverse (Cass. n. 22315/2020 ; Cass. n. 30658/2017), fatta salva la facoltà delle parti di richiamare la normativa sulla contabilità di Stato, al fine di sottoporre il negozio e le sue successive vicende alla più stringente disciplina prevista per i contratti dell'amministrazione statale (Cass. n. 29420/2023).

.

L'oggetto

Qualunque situazione giuridica rilevante che costituisca titolo ad una prestazione nei confronti di una persona determinata e qualificata può costituire oggetto di cessione (Perlingieri, 2; Mancini, in Tr. Res., 1999, 385). I crediti derivanti da contratti a prestazioni corrispettive sono cedibili anche quando la controprestazione non sia stata adempiuta, benché il cessionario sia esposto a tutte le eccezioni contrattuali, ivi compresa l'eccezione di inadempimento (Panuccio, 857). Il contenuto della cessione può anche essere rappresentato da una prestazione di fare o non fare o da un diritto personale di godimento (Perlingieri, 2). Ma nel senso che le prestazioni di fare non potrebbero costituire oggetto della cessione si è espressa altra dottrina (Panuccio, 860; Sotgia, 159). Ne consegue che sono passibili di cessione i diritti potestativi, le prestazioni relative ad obbligazioni naturali, i crediti derivanti da promesse unilaterali, da illecito aquiliano o contrattuale, i crediti restitutori, i crediti sottoposti a termine iniziale o a condizione sospensiva, i crediti compensabili o prescrittibili, quelli derivanti da titoli annullabili o che siano contestati in sede giudiziale (Perlingieri, 3; Panuccio, 858); in ordine alle obbligazioni naturali il cessionario non può pretendere l'adempimento dal debitore ceduto ma può trattenere quanto da questi spontaneamente corrisposto (Breccia, 787). Sono cedibili anche i crediti futuri, purché siano determinabili con riguardo ad uno specifico rapporto (Breccia, 787; Perlingieri, 2; Mancini, in Tr. Res., 1999, 386). In ordine ai crediti aventi ad oggetto prestazioni divisibili è ammessa la cessione parziale (Perlingieri, 3; Panuccio, 858).

Secondo la S.C. non solo i crediti ma tutti i diritti a contenuto patrimoniale possono formare oggetto di cessione (Cass. n. 2173/1943). Il diritto di credito relativo al risarcimento del danno non patrimoniale, così come risulta trasmissibile iure hereditatis, può anche formare oggetto di cessione per atto inter vivos, non presentando carattere strettamente personale (Cass. n. 4300/2019 ; Cass. n. 22601/2013, in Resp. civ. e prev. 2014, 2, II, 539, con nota di Argine) ed essendo attuale e non futuro (Cass. n. 8869/2021). Al contempo può costituire oggetto di cessione il risarcimento dei danni cagionati da un immobile (Cass. n. 24146/2014). Affinché possa avvenire la cessione di crediti futuri è necessario che al momento in cui la cessione si perfeziona il rapporto da cui il credito trae origine sia già esistente e in tal caso l'effetto traslativo si verificherà solo quando il credito venga ad esistenza (Cass. n. 19501/2009; Cass. n. 2798/1978, Giust. civ. 1978, I, 1782). In senso difforme altro arresto sostiene che rientra nel concetto di credito futuro, suscettibile di cessione, anche un credito semplicemente sperato, ossia meramente eventuale, senza che l'aleatorietà che in tal caso caratterizza il contratto di cessione ne comporti l'invalidità, essendo insita nella nozione di cosa futura, espressamente prevista come possibile oggetto di prestazione dall'art. 1348 (Cass. n. 4040/1990). Inoltre il credito futuro può costituire oggetto di cessione solo nel caso in cui quest'ultima sia stipulata a titolo oneroso, atteso che un'eventuale cessione a titolo gratuito non si sottrarrebbe alla sanzione della nullità per violazione del divieto di donare beni futuri (Cass. n. 8333/2001). Solo nel caso di cessione di crediti futuri il contratto di cessione ha efficacia obbligatoria poiché l'effetto traslativo è differito al momento in cui il credito viene in essere (Cass. n. 6422/2003).

L'incedibilità legale e convenzionale

L'incedibilità oggettiva, che dipenda dalla natura del credito, la quale deve essere distinta dall'incedibilità soggettiva, che dipenda dai divieti di acquisto posti a carico di determinati soggetti, può essere legale o convenzionale in ragione della fonte da cui l'incedibilità discende (Breccia, 782; Perlingieri, 2). Sul piano letterale la norma distingue tra incedibilità derivante dalla natura strettamente personale del credito e incedibilità derivante dai divieti stabiliti dalla legge, ma a ben vedere anche i crediti che ricadono nella prima specie sono incedibili in ragione di una prescrizione legislativa, almeno indiretta, e dunque ricadono nella categoria dell'incedibilità legale; si parla al riguardo di incedibilità legale implicita (Dolmetta e Portale, 268; Panuccio, 859). Rientrano pertanto nella categoria dei crediti incedibili ex lege i crediti alimentari, i crediti per stipendio degli impiegati pubblici, i crediti per assegni familiari, i crediti verso la p.a. derivanti da contratti in corso e da appalti pubblici. Fra i crediti implicitamente incedibili devono essere annoverati quelli aventi ad oggetto un facere infungibile e quelli derivanti da rapporti familiari (Dolmetta e Portale, 269) nonché i crediti accessori ad un credito principale incedibile, come quello verso il fideiussore (Panuccio, 860; Sotgia, 159). L'esistenza dell'incedibilità implicita è invece negata da un autore, il quale ritiene che l'incedibilità stabilita dalla legge deve essere sancita in modo espresso, altrimenti il credito è cedibile (Mancini, in Tr. Res., 1999, 396). L'incedibilità volontaria è quella stabilita per patto espresso tra creditore e debitore. Tale patto ha efficacia obbligatoria (Panuccio, 860) in quanto non è opponibile al cessionario, salvo che il debitore non provi che questi conosceva l'esistenza di tale patto al tempo della cessione (Breccia, 785; Panuccio, 861). Il patto di incedibilità del credito, che sia inserito in condizioni generali predisposte unilateralmente, costituisce clausola vessatoria (Breccia, 785). La clausola limitativa della cessione deve rispondere a un interesse meritevole di tutela per l'ordinamento. A tal fine è necessario ponderare se, in ragione del concreto assetto del rapporto obbligatorio, la persona del creditore appaia effettivamente essenziale (Perlingieri, 2; contra Bianca, 578; Sotgia, 159). La prova che deve dare il debitore ai fini di rendere opponibile il patto al cessionario non riguarda la conoscenza in concreto, ma la mera conoscibilità secondo ordinaria diligenza, sicché il patto sarà opponibile anche al cessionario che al tempo della cessione lo ignori, quando tale ignoranza sia a lui imputabile. Tale principio non vale per i terzi non acquirenti, come il creditore pignoratizio o l'usufruttuario, che non assumono il ruolo di parte nella cessione e dunque non hanno alcun onere di diligenza; per l'effetto il patto potrà ad essi essere opposto solo qualora si provi la concreta conoscenza (Perlingieri, 3). Ove la clausola di incedibilità non sia opponibile al cessionario comunque il cedente risponde verso il debitore ceduto a titolo di responsabilità contrattuale (Perlingieri, 3). Qualora invece il patto sia opponibile al cessionario, la cessione non produce alcun effetto (Perlingieri, 3; Bianca, 578). In senso contrario altra dottrina rileva che la cessione di un credito incedibile, per disposizione di legge o per volontà delle parti, in quest'ultimo caso qualora la clausola sia opponibile al cessionario, sarà inefficace verso il debitore ceduto secondo il meccanismo dell'inefficacia relativa ma produrrà comunque i suoi effetti tra cedente e cessionario, rendendo quest'ultimo destinatario delle utilità e dei rischi connessi alla posizione del creditore (Dolmetta e Portale, 270). Nei casi di incedibilità relativa, ossia dipendente da un interesse disponibile del debitore, come accade nelle ipotesi di incedibilità convenzionale e in alcuni casi di incedibilità legale, la cessione può comunque produrre effetti qualora vi sia l'assenso del debitore. Siffatta possibilità è invece esclusa per le ipotesi di incedibilità legale assoluta (Bianca, 578). La clausola di incedibilità non impedisce il pignoramento o il sequestro del credito. L'incedibilità può anche essere pattuita tra il creditore e un terzo; tuttavia è controverso se tale patto sia opponibile all'acquirente successivo che ne sia a conoscenza ovvero se sia a quest'ultimo comunque inopponibile ai sensi dell'art. 1379 (Perlingieri, 3).

La giurisprudenza, ai fini di rendere opponibile al cessionario il patto che vieta la cessione, richiede la conoscenza effettiva di detto patto al tempo della cessione (Cass. n. 825/2015).

Il fallimento

Al fallimento del cedente sono opponibili solo le cessioni notificate al debitore ceduto o da questi accettate con atto di data certa prima della dichiarazione di fallimento. Qualora la cessione sia opponibile al cedente il curatore, in presenza dei presupposti di legge, potrà intraprendere l'azione revocatoria fallimentare per rendere inefficace la cessione nei confronti della massa. In specie la cessione stipulata dal cedente poi fallito per estinguere un debito preesistente configura un mezzo anomalo di pagamento; la cessione in garanzia, contestuale al sorgere del credito garantito, è equiparata ai fini della revocatoria alle garanzie convenzionali (Dolmetta e Portale, 278).

La natura consensuale del contratto di cessione di credito comporta che esso si perfeziona per effetto del solo consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ma non anche che dal perfezionamento del contratto consegua sempre il trasferimento del credito dal cedente al cessionario, in quanto, nel caso di cessione di un credito futuro, il trasferimento si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza e anteriormente il contratto, pur essendo perfetto, esplica efficacia meramente obbligatoria; pertanto, nel caso di cessione di crediti futuri e di sopravvenuto fallimento del cedente, la cessione, anche se sia stata tempestivamente notificata o accettata, non è opponibile al fallimento se, alla data della dichiarazione di fallimento, il credito non era ancora sorto e non si era verificato l'effetto traslativo della cessione (Cass. n. 17590/2005). Viceversa qualora il credito ceduto sia attuale al fallimento del cedente possono essere opposte soltanto le cessioni di credito che siano state notificate al debitore ceduto o siano state dal medesimo accettate, con atto avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, atteso che il disposto dell'art. 2914, comma 1, n. 2 — secondo il quale sono inefficaci, nei confronti del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione, le cessioni di credito che, sebbene anteriori al pignoramento, siano state notificate al debitore o da lui accettate dopo il pignoramento — opera anche in caso di fallimento del creditore cedente (Cass. n. 9831/2014).

Il factoring

Il factoring è il contratto con il quale il cedente trasferisce, a titolo oneroso, la globalità dei crediti, presenti e futuri, derivanti dallo svolgimento della propria attività imprenditoriale, al factor, il quale, assumendosi o meno il rischio dell'insolvenza del debitore ceduto, solitamente anticipa al cedente parte del valore nominale del credito. Il factor di norma non si limita ad acquistare crediti: usualmente, infatti, lo stesso offre al cedente in cambio di un'apposita commissione una vasta gamma di servizi come la gestione, la contabilizzazione, l'amministrazione, il sollecito e l'incasso dei crediti d'impresa; l'eventuale smobilizzo del credito ceduto in anticipo rispetto alla scadenza di quest'ultimo; la consulenza commerciale; il recupero dei crediti insoluti; eventualmente l'assunzione del rischio del credito nei confronti di uno o più dei debitori (Ferrigno, 598; Frignani, 1). Il factoring non può essere assimilato puramente e semplicemente alla più generale figura della cessione del credito e ciò perché elemento caratterizzante della fattispecie contrattuale in questione è l'erogazione alla clientela, ad opera del factor, dei predetti servizi, sicché il trasferimento dei diritti di credito (lungi dal costituire l'oggetto dell'accordo contrattuale) rappresenta soltanto lo strumento mediante il quale il factor è posto in condizione di erogare i servizi stessi. Nel contratto di factoring pertanto il rapporto sinallagmatico intercorre tra i servizi resi dal factor al cliente e il pagamento di questi ultimi ad opera del cedente. La materia della cessione dei crediti d'impresa è disciplinata dalla l. n. 52/1991. In primo luogo la l. richiede specifici requisiti soggettivi tanto per il cedente che per il cessionario. Parti del contratto di factoring possono essere infatti solo imprenditori; sicché detta disciplina non si applica agli esercenti una libera professione e ai lavoratori autonomi. Il cessionario inoltre può essere solo una banca o un intermediario finanziario, iscritto all'apposito albo istituito presso la Banca d'Italia ed obbligato alla certificazione del proprio bilancio annuale. Nessuna particolare caratterizzazione è prevista per il debitore ceduto sicché quest'ultimo potrà essere chiunque impresa, lavoratore autonomo o consumatore abbia intrattenuto, intrattenga ovvero intratterrà rapporti contrattuali con il cedente (Clarizia, 506). Quanto ai requisiti oggettivi prescritti dalla legge, i crediti d'impresa suscettibili di trasferimento sono solo i crediti pecuniari, derivanti da contratti già stipulati dal cedente nell'esercizio dell'impresa, con conseguente esclusione dei crediti di natura fiscale ovvero conseguenti a responsabilità da illecito (Clarizia, 437), così come dei crediti maturati quando l'imprenditore ha perso detta qualità. I crediti d'impresa possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno; qualora oggetto di cessione dovessero essere crediti d'impresa futuri, questi ultimi potranno essere ceduti — anche in massa — purché derivanti da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi e sia indicato il debitore ceduto. Con riferimento al termine biennale entro detto periodo dovrà non solo essere stipulato il relativo contratto, ma dovrà anche sorgere il credito ceduto. L'indicazione del debitore ceduto, la cui mancanza comporta la nullità del contratto per indeterminabilità dell'oggetto, non rileva ai fini della validità del negozio di cessione, essendo detta indicazione funzionale alla possibilità di ricorrere al meccanismo di opponibilità della cessione ai terzi. La mera indicazione del nome del debitore non è comunque di per sé sufficiente salvo che non siano ceduti tutti i crediti vantati nei confronti dello stesso debitore a consentire l'individuazione dei crediti trasferiti: occorre quindi indicare almeno la categoria cui detti crediti appartengono.

Secondo la S.C. anche dopo l'entrata in vigore della l. n. 52/1991 il factoring è rimasto un contratto atipico complesso (Cass. n. 16850/2017; Cass. n. 10833/2007; Cass. n. 2746/2007; Cass. n. 17116/2004). Esso è caratterizzato da una causa prevalente di scambio (Cass. n. 3829/2013). Il contratto di factoring, ove postuli una cessione dei crediti a titolo oneroso in favore del factor, attribuisce a quest'ultimo la titolarità dei crediti medesimi e quindi la legittimazione alla loro riscossione in nome e per conto proprio, e non in qualità di semplice mandatario del cedente, sicché il pagamento eseguito dal debitore ceduto si configura quale adempimento di un debito non del cedente verso il factor ma proprio del debitore ceduto verso quest'ultimo (Cass. n. 19716/2015). Ai fini della determinatezza dell'oggetto della cessione in massa di crediti futuri, occorre che sia indicato il debitore ceduto in ordine a crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a 24 mesi, ma non è necessario anche che i crediti sorgano nel biennio di durata del contratto (Cass. n. 30611/2018).

Ai fini dell'opponibilità ai terzi della cessione in massa dei crediti operata mediante contratto di factoring, il criterio del pagamento, con data certa, del corrispettivo della cessione è previsto in alternativa agli ordinari criteri della notifica del trasferimento al debitore o della sua accettazione aventi data certa, espressamente fatti salvi dall'art. 5 della legge n. 52 del 1991 ( Cass. n. 4927/2023 ).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano 1997; Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991; Carraro, La cessione volontaria dei crediti, in Riv. dir. civ., 1958; Clarizia, Il factoring, Torino, 2002; Dolmetta e Portale, Cessione del credito e cessione in garanzia nell'ordinamento italiano, in Banca, borsa e tit. di cred. 1985; Ferrigno, Factoring, Contr. e impr., Padova, 1988; Frignani, Factoring, Enc. giur. it., Milano, 1989; Panuccio, Cessione dei crediti, in Enc. dir., Milano, 1960; Perlingieri, Cessione dei crediti, in Enc. giur., Roma, 1988; Sotgia, Cessione dei crediti e di altri diritti, in Nss. D. I., Torino, 1959.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario